00 22/11/2007 04:15
3.1 Intorno al concetto di inconscio [ S.Freud: Das Unbewusste (1915), " Theoretísche Schriften ", e Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Wien, pp. 98-110 e pp. 136-140)



Abbiamo imparato dalla psicanalisi che l'essenza del processo di rimozione non consiste nel togliere di mezzo, nell'annientare un'idea rappresentativa di un istinto, ma nell'impedirle di diventare conscia. Diciamo allora che si trova nello stato " inconscio ", e possiamo portare buone prove per affermare che, pur rimanendo inconscia, può ancora produrre effetti, anche tali da' penetrare nel conscio. Tutto ciò che è rimosso deve rimanere inconscio, ma fin d'ora vogliamo anche affermare che il rimosso non s'identifica con l'inconscio. L'inconscio è più ampio e il rimosso ne costituisce soltanto una parte.

Come possiamo giungere alla conoscenza dell'inconscio? Naturalmente è da noi conoscibile solo come conscio, dopo che ha subito una trasformazione o una traduzione in qualcosa di conscio. Il lavoro psicanalitico ci permette di costatare ogni giorno che tale traduzione è possibile. A tale scopo si esige soltanto che la persona sotto analisi superi certe resistenze, precisamente quelle che precedentemente avevano trasformato il materiale in questione in qualcosa di rimosso, cacciandolo dalla coscienza.

Ci viene contestato da parecchie parti il diritto di ammettere che qualcosa di mentale sia inconscio e di usare di tale presupposto per scopi scientifici. Noi invece siamo in grado di affermare che l'ipotesi dell'inconscio è necessaria e legittima, e che possediamo diverse prove dell'esistenza dell'inconscio.

E' un'ipotesi necessaria perché i dati della conoscenza sono molto lacunosi; sia nei sani che negli ammalati intervengono spesso degli atti mentali per la cui spiegazione sono presupposti altri atti, di cui però la coscienza non dà alcuna prova. Tali atti sono non soltanto le paraprassie o i sogni dei sani e tutti i sintomi psichici e le ossessioni, come si chiamano, degli ammalati, ma anche la nostra personale, quotidiana esperienza ci informa di idee che ci capitano in mente, senza che ci sia nota la loro provenienza e di conclusioni razionali, la cui elaborazione ci rimane nascosta . Tutti questi atti consci rimangono sconnessi e incomprensibili, se vogliamo mantenere la pretesa che tutti debbano essere costatati dalla coscienza, mentre invece si ordinano in un'evidente connessione, qualora noi interpoliamo gli atti inconsci che abbiamo dedotto. Tale guadagno di senso e di connessione è un motivo giustificato per spingerci al di là dell'esperienza immediata. Se poi dalla supposizione dell'inconscio si manifesta la possibilità di un'azione efficace sul decorso dei processi consci, abbiamo raggiunto in tale successo una prova inconfutabile dell'esistenza di quanto si era supposto. Si deve allora ammettere che è un'affermazione insostenibile quella per cui tutto ciò che avviene nella mente debba anche essere noto alla coscienza.

A sostegno dell'esistenza di uno stato mentale inconscio si può, procedendo, affermare che la coscienza abbraccia in ogni momento solo un piccolo contenuto, cosicché la maggior parte di ciò che chiamiamo conoscenza conscia è costretta a trovarsi per un tempo lunghissimo in uno stato di latenza, ossia in uno stato di incoscienza mentale. L'opposizione all'inconscio dovrebbe apparire del tutto inconcepibile, se si pensa a tutti i nostri ricordi latenti. Ma a questo punto si incappa nell'obiezione che tali ricordi latenti non si devono definire come mentali, ma corrispondono a residui di processi somatici, da cui può di nuovo emergere l'elemento mentale. Si può facilmente rispondere che il ricordo latente, all'opposto, è indubitabilmente il residuo di un processo mentale. Più importante è tuttavia aver chiaro in mente che quell'obiezione riposa sulla supposizione - non espressa, ma assunta come assioma - dell'identificazione di conscio e mentale. Tale identificazione è una petitio principio che esclude la questione se tutto ciò che è mentale sia anche conscio, oppure si tratta di convenzione, di nomenclatura . In quest'ultimo caso naturalmente, quell'identificazione è, come ogni convenzione inoppugnabile. Ma rimane aperta la questione, se tale convenzione sia così vantaggiosa da dover essere assunta. Si può rispondere che l'identificazione convenzionale di mentale (psichico) e conscio è del tutto inopportuna. Distrugge infatti le continuità mentali, ci spinge nelle difficoltà insolubili del parallelismo psicofisico, soggiace alla critica di sopravvalutare il ruolo della coscienza senza ragione evidente, e ci costringe ad abbandonare anzitempo il campo della ricerca psicologica, senza alcun compenso in altri campi.

Ad ogni modo è chiaro che la questione se gli stati latenti della vita mentale, la cui esistenza è incontestabile, debbano essere ritenuti di natura mentale o fisica minaccia di degenerare in una lite verbale. E' quindi consigliabile portare sul tappeto solo ciò che della natura di questi stati controversi sappiamo con certezza. Ora essi ci sono assolutamente inaccessibili se considerati nel loro carattere fisico; nessun concetto fisiologico, nessun processo chimico può darci un'indicazione della loro natura. D'altra parte è assodato che hanno numerosissimi punti di contatto coi processi psichici consci; possono tramutarsi in essi o venir da essi sostituiti mediante un certo loro trattamento e possono essere descritti con quelle categorie che applichiamo agli atti psichici consci, come rappresentazioni, scopi, decisioni e simili. In verità possiamo affermare di alcuni di questi stati latenti che si distinguono da quelli consci appunto soltanto per la mancanza di coscienza. Pertanto non esiteremo a considerarli come oggetti di un'indagine psicologica, nella più intima connessione cogli atti psichici consci.

Il rifiuto ostinato del carattere psichico di questi atti psichici latenti si spiega col fatto che la maggior parte dei fenomeni che entrano in considerazione non sono diventati oggetto di studio al di fuori della psicanalisi. Chi non conosce i fatti patologici, chi considera accidentale le paraprassie delle persone normali, e chi si accontenta della vecchia sapienza secondo cui i sogni sono insulsaggini, deve solo prescindere da alcuni altri problemi della psicologia della coscienza per potersi risparmiare l'adozione dell'ipotesi di un'attività mentale inconscia. Del resto già prima della nascita della psicanalisi gli esperimenti ipnotici, in particolare la suggestione postipnotica hanno dimostrato l'esistenza e il modo d'agire dell'inconscio psichico.

Ma l'ipotesi dell'inconscio è anche del tutto legittima, in quanto la sua ammissione non ci fa deviare di un passo dal nostro abituale, comunemente accettato modo di pensare. La coscienza rende consapevole ciascuno di noi dei nostri stati psichici; che anche gli altri uomini abbiano una coscienza lo possiamo solo concludere per analogia, per essere in grado, sulla base delle loro espressioni e delle loro azioni di renderci conto del loro comportamento. Dal punto di vista psicologico sarebbe indubbiamente più esatto dire che attribuiamo, senza particolare considerazione, la nostra stessa costituzione e la nostra stessa coscienza a tutti gli altri, e che questa identificazione è il presupposto del nostro comprendere. Questa conclusione - o questa identificazione - era stata una volta estesa dall'Io agli altri uomini, animali, piante, agli esseri inanimati e a tutto il mondo, e si dimostrò utile finché la somiglianza con l'Io individuale fu assai grande, ma divenne impossibile quando " l'altro " si dimostrò troppo diverso dall'Io. Attualmente il nostro giudizio critico diventa già insicuro quando si parla della coscienza degli animali, si rifiuta di ammetterla nelle piante, e considera misticismo l'attribuzione della coscienza alle cose inanimate. Ma anche là dove la primitiva tendenza all'identificazione ha superato la prova, ossia nel caso che " gli altri " siano i nostri simili, la supposizione di una coscienza si basa su di una deduzione, e non può partecipare della certezza immediata che abbiamo della nostra propria coscienza.

La psicanalisi domanda soltanto che questo procedimento deduttivo sia applicato anche nei riguardi della propria persona, anche se in tal caso non è presente alcuna inclinazione naturale. Se così facciamo, dobbiamo dire che gli atti e le espressioni che osservo in me e che non so connettere colla mia ordinaria vita psichica, devono essere giudicati come se appartenessero a un'altra persona, e devono essere spiegati attraverso l'attribuzione ad essa di una vita mentale. L'esperienza inoltre ci mostra che, quando si tratta degli altri, sappiamo interpretare molto bene quegli atti che ci rifiutiamo di considerare psichici in noi, inserendoli in un opportuno nesso psichico . Qualche particolare ostacolo viene qui evidentemente a intralciare la nostra ricerca quando si tratta della nostra persona. e ci impedisce di raggiungere una giusta conoscenza.

Questo processo di deduzione, quando l'applichiamo alla nostra persona nonostante la ritrosia interna che sentiamo, non conduce propriamente alla rivelazione dell'inconscio, ma, correttamente interpretato, all'ipotesi di un'altra, di una seconda persona, unita nella mia persona all'altra a me nota. Solo che allora la critica trova giustificati motivi per opporre diverse obiezioni. In primo luogo una coscienza di cui il portatore non sa nulla è qualcosa di diverso da una coscienza estranea e c'è addirittura da chiedersi se una tale coscienza, priva com'è del suo carattere più importante, possa meritare di essere discussa. Coloro che si sono opposti all'ammissione dello psichico inconscio non potranno essere soddisfatti se lo si sostituisce con coscienza inconscia. In secondo luogo, l'analisi ci mostra che i singoli processi psichici latenti da noi dedotti godono di una grandissima mutua indipendenza, come se non avessero tra loro alcuna connessione e non sapessero gli uni degli altri. Dovremmo allora non soltanto essere disposti ad accettare che in noi vi sia una seconda coscienza, ma anche una terza, una quarta, forse una serie illimitata di stati consci, ignoti tra loro e a noi. In terzo luogo, interviene come argomento della massima gravità l'esperienza, derivata dall'indagine analitica, che una parte di quei processi latenti possiede caratteri e proprietà che ci sembrano strani, addirittura incredibili, e in opposizione diretta alle proprietà della coscienza che ci sono note. Abbiamo dunque motivo per interpretare diversamente quella deduzione quando è applicata alla propria persona, e dire che in noi non è una seconda coscienza che viene dimostrata, ma l'esistenza di atti psichici, privi di coscienza. Dobbiamo anche rifiutare come scorretto ed equivoco il termine " subcoscienza ". I noti casi di double conscience (divisione di coscienza) non dimostrano nulla contro la nostra tesi. Possono infatti essere compiutamente descritti come casi di separazione delle attività psichiche in due gruppi, per cui la stessa coscienza si applica alternativamente ora all'uno ora all'altro.

Nella psicanalisi dobbiamo solo chiarire che i processi psichici sono in sé inconsci, e paragonare la loro percezione mediante la coscienza alla percezione del mondo esterno mediante gli organi di senso . Ci auguriamo anzi di ottenere con questo paragone un guadagno nelle nostre conoscenze. L'ipotesi psicanalitica dell'attività psichica inconscia ci appare da una parte come un'ulteriore estensione dell'animismo primitivo che vedeva rispecchiata dappertutto la nostra coscienza, e, d'altra parte, come un prolungamento della correzione apportata da Kant alle nostre teorie della percezione esterna. Come Kant ci ha avvertiti di non trascurare le condizioni soggettive delle nostre percezioni , e a non identificarle con ciò che viene percepito, il quale rimane sconosciuto , così la psicanalisi ci avverte di non sostituire la percezione conscia col processo psichico inconscio, che è il suo oggetto. Come il mondo fisico, così anche quello psichico non è necessariamente nella realtà come appare a noi. Con piacere ad ogni modo costateremo che la correzione della percezione interna non presenta così grosse difficoltà come quella esterna, ossia che l'oggetto interno è meno ignoto del mondo esterno.

Prima di procedere vogliamo stabilire il dato di fatto importante, ma anche increscioso, che la proprietà di essere inconscio costituisce solo un aspetto dell'elemento psichico, aspetto che non lo caratterizza adeguatamente. Vi sono atti psichici di valore molto diverso, pur convenendo tutti nel carattere di essere inconsci. L'inconscio comprende da una parte atti che sono semplicemente latenti, temporaneamente inconsci, ma che per il resto non si distinguono minimamente da quelli consci, e, d'altra parte, processi come quelli rimossi che, se diventassero consci, si opporrebbero nel modo più crudo agli altri processi consci . Si porrebbe fine a tutte le incomprensioni se d'ora in poi nella descrizione dei diversi atti psichici noi prescindessimo dalle distinzioni che sono consci o inconsci, e li classificassimo e connettessimo solo per le loro relazioni agli istinti e alle mete, e secondo la loro composizione e appartenenza a sistemi psichici tra loro subordinati. Questo però è per varie ragioni inattuabile, e perciò non possiamo sfuggire all'ambiguità di adoperare le parole " conscio " e " inconscio " ora nel senso descrittivo ora in quello sistematico; in quest'ultimo caso ci si riferirebbe alla loro appartenenza a determinati sistemi e al loro possesso di particolari caratteristiche. Si potrebbe tentare di evitare la confusione, indicando i sistemi psichici noti con nomi scelti arbitrariamente ma in cui non si accenna alla coscienza. Dovremmo però specificare su cosa basiamo la nostra distinzione dei sistemi, e allora non si potrebbe prescindere dall'indicazione della coscienza, perché essa costituisce il punto di partenza di tutte le nostre indagini.

Possiamo forse trar giovamento dall'uso, almeno scritto, delle abbreviazioni C per " coscienza " e Inc. per " inconscio ", quando adoperiamo le due parole nel senso sistematico.

Passiamo ora all'esposizione positiva di come sia risultato dalla psicanalisi che un atto mentale attraversa, in genere due fasi, tra le quali è interposta una specie di esame (censura). Nella prima fase è inconscio e appartiene al sistema Inc.; se viene respinto dalla censura, gli è negato il passaggio alla seconda fase; si chiama allora " rimosso " ed è costretto a rimanere inconscio. Se invece supera l'esame, entra nella seconda fase e viene ad appartenere al secondo sistema, che abbiamo stabilito di chiamare C. Però con tale appartenenza non è univocamente stabilita la sua relazione alla coscienza. Non è ancora conscio, ma capace di coscienza (secondo, l'espressione di J. Breuer), ossia può, realizzandosi certe condizioni, diventare oggetto della coscienza senza particolare resistenza. In riferimento a questa capacità di diventare conscio, chiamiamo il sistema C anche col nome di "preconscio ". Se risultasse che il passaggio alla coscienza del preconscio viene determinato anche da una certa censura, faremo una distinzione più netta tra sistema Prec. e sistema C. Per intanto è sufficiente dichiarare che il sistema Prec. partecipa delle caratteristiche del sistema C e che la censura rigorosa esercita il suo compito nel passaggio dall'Inc. al Prec. (o C).

Coll'ammissione di questi due (o tre) sistemi psichici la psicanalisi si è scostata ancora di un passo dalla " psicologia della coscienza " descrittiva, procurandosi una nuova problematica e un nuovo contenuto. Finora si distingueva dalla psicologia per la sua concezione dinamica dei processi psichici; ora si aggiunge il fatto che tien conto di una topica psichica e indica di un determinato atto psichico il sistema in cui o i sistemi tra cui si trova. A motivo di questo suo impegno ha ottenuto anche il nome di psicologia del profondo. Vedremo che può essere ulteriormente arricchita tenendo conto di un altro punto di vista.

Se vogliamo prendere in seria considerazione tale topica degli atti psichici, dobbiamo rivolgere il nostro interesse a un dubbio che sorge a questo punto. Quando un atto psichico (limitiamoci qui ai tipi di rappresentazione) viene trasportato dal sistema Inc. a. quello C. (o Prec.), dobbiamo supporre che a tale trasposizione sia legata una nuova fissazione, per così dire una seconda registrazione della rappresentazione in questione, che viene così ad occupare una nuova zona psichica, accanto alla quale continua ad esistere l'altra primitiva trascrizione inconscia? O dobbiamo piuttosto credere che tale trasposizione consiste in un cambiamento di stato che si verifica su di un medesimo materiale e nella stessa zona? Questa questione può apparire astrusa, ma va sollevata se vogliamo formarci un'idea più precisa della topica psichica della dimensione del profondo. E' una questione difficile, perché va al di là del puro elemento psicologico per sfiorare le relazioni dell'apparato psichico con l'anatomia. Sappiamo che tali relazioni in generale esistono. E' infatti un risultato inoppugnabile della ricerca che l'attività psichica è legata alle funzioni del cervello più che a quelle di qualunque altro organo. Si è poi compiuto un altro passo in avanti, senza saperlo ben misurare, quando si è scoperta la diversa importanza delle parti del cervello e del loro specifico rapporto con parti determinate del corpo e colle attività psichiche ". Ma tutti i tentativi di giungere a una localizzazione dei processi psichici e di elaborare una teoria secondo cui le rappresentazioni sarebbero immagazzinate nelle cellule nervose, e le eccitazioni trasportate dalle fibre nervose, sono completamente naufragati. Lo stesso destino sarebbe riservato a una dottrina che volesse riconoscere l'attività psichica conscia alla corteccia cerebrale, riservando i processi inconsci alle zone subcorticali del cervello. E' aperto qui uno iato che non è possibile per ora riempire, né appartiene ai compiti della psicologia farlo. La nostra topica psichica non ha niente a che fare per il momento con l'anatomia; ha riferimento alle regioni dell'apparato psichico, dovunque esse possano trovarsi nel corpo, e non alle regioni anatomiche.

Il nostro lavoro è dunque a questo riguardo libero e può procedere secondo le esigenze che gli sono proprie. Sarà poi utile ricordare che le nostre ipotesi pretendono di avere soltanto un valore illustrativo. La prima delle due possibilità che abbiamo preso in considerazione, ossia che la fase C della rappresentazione indichi una nuova registrazione di ciò che si trova registrato anche in altre zone, è indubbiamente la più grossolana, ma anche la più comoda. La seconda ipotesi, che si tratti di una mutazione di stato puramente funzionale è a priori più verosimile, ma è meno plastica, meno maneggevole. Alla prima ipotesi, quella topica, è connessa la possibilità di una separazione del sistema Inc. e C., e inoltre la possibilità che una rappresentazione sia presente simultaneamente in due punti dell'apparato mentale e anzi che essa, se non è impedita dalla censura, proceda regolarmente da una zona all'altra, eventualmente senza perdere la sua prima occupazione o registrazione.

Ciò potrà sembrare strano, ma può essere suffragato dalle osservazioni della prassi psicanalitica. Se comunichiamo ad un paziente una rappresentazione a suo tempo da lui rimossa, ma che noi abbiamo riscoperta, le nostre parole all'inizio non modificano nulla del suo stato mentale. Soprattutto non eliminano la rimozione e non reprimono i suoi effetti, come forse ci si potrebbe aspettare dal momento che la rappresentazione prima inconscia diventa ora conscia. Noi otteniamo all'opposto in un primo tempo un rinnovo della rimozione di quella rappresentazione. Il paziente però ha ora in realtà la stessa rappresentazione in due forme differenti, in due parti diverse del suo apparato psichico: in primo luogo ha il ricordo conscio della traccia uditiva della rappresentazione che gli abbiamo comunicato, secondariamente egli porta insieme, come sappiamo con certezza, il ricordo inconscio di ciò che ha vissuto nella forma precedente. In realtà non viene meno la rimozione, finché la rappresentazione conscia, dopo il superamento delle resistenze, non si sia posta in connessione con la traccia mnestica inconscia. E' solo quando quest'ultima diventa conscia che l'operazione ha successo. Questo fatto potrebbe indicare, a una considerazione superficiale, che la rappresentazione conscia e quella inconscia sono registrazioni diverse e separatamente collocate di un medesimo contenuto. Ma riflettendo meglio ci si accorge che l'identità esistente tra quanto noi comunichiamo e il ricordo rimosso del paziente è solo apparente. L'aver udito e l'aver sperimentato sono due cose del tutto diverse dal punto di vista psicologico, anche se il contenuto è lo stesso.

Non siamo quindi in grado per il momento di decidere tra le due possibilità esaminate. Forse proseguendo potremo imbatterci in fattori che ci faranno decidere per l'una o per l'altra [...]

Nella schizofrenia le parole subiscono quello stesso processo che, sulla base dei pensieri onirici latenti, costruisce le immagini del sogno, e che abbiamo chiamato processo psichico primario. Le parole si condensano e si scambiano vicendevolmente le loro cariche, senza residui. Il processo può andare talmente avanti che una sola parola, se è particolarmente adatta in grazia delle sue numerose associazioni, può rappresentare tutta una catena di pensieri. […] Nella schizofrenia vi è la rinuncia alle cariche oggettuali, e viene conservata la carica delle presentazioni verbali degli oggetti. Quella che abbiamo potuto chiamare presentazione conscia dell'oggetto, si sdoppia ora in presentazione della parola e presentazione della cosa, la quale ultima consiste nella carica, se non delle immagini mnestiche dirette, almeno delle tracce mnestiche più remote derivate da quella. Questo crediamo sia il momento di sapere in che cosa si distingue la rappresentazione conscia da quella inconscia. Esse non sono, come avevamo supposto, registrazioni diverse dello stesso contenuto in diverse zone mentali, e neppure stati funzionari diversi di una carica nella stessa zona, ma la rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più quella della parola corrispondente, la rappresentazione inconscia invece soltanto quello della cosa, Il sistema Inc. contiene le cariche cosali proprie degli oggetti; il sistema Prec. deriva dal fatto che quella rappresentazione della cosa viene sovraccaricata in grazia della connessione con le rappresentazioni verbali ad essa corrispondenti . Possiamo supporre che tali sovraccariche siano quelle che determinano una organizzazione psichica superiore, e fanno in modo che sia possibile separare un processo primario da quello secondario che predomina nel sistema Prec. Possiamo ora anche esprimere con precisione ciò che la rimozione nega alla rappresentazione da essa repressa: la traduzione in parole che di per sé dovrebbero connettersi all'oggetto. La rappresentazione che non è tradotta in parole, o anche l'atto che non viene sovraccaricato , rimangono da quel momento nell'Inc. in uno stato di rimozione.

Vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che già da molto tempo abbiamo avuto l'intuizione che oggi ci permette di capire uno dei caratteri più salienti della schizofrenia. Nelle ultime pagine della Interpretazione dei sogni, pubblicata nel 1900, è spiegato come i processi mentali, ossia gli atti di carica, che sono lontani dalle percezioni, sono privi di qualità e inconsci, e la loro capacità di diventare consci la raggiungono solo attraverso la loro connessione coi residui delle percezioni delle parole […]

[…] Per quanto riguarda la schizofrenia - che qui trattiamo solo per quel tanto che è indispensabile per una conoscenza generale dell'Inc. - sorge necessariamente il dubbio se il processo qui chiamato rimozione abbia qualcosa in comune con le nevrosi di transfert. La formula secondo cui la rimozione è un processo che interviene tra il sistema Inc. e quello Prec. (o C) col risultato di un allontanamento di qualcosa dalla coscienza, esige una modificazione per potervi comprendere i casi della dementia praecox e di altre affezioni narcisistiche. Comunque sia, il tentativo di fuga dell'Io, che si esprime nell'allontanamento della carica conscia, resta sempre un fattore comune. Quanto questo tentativo di fuga sia più radicale e profondo nelle nevrosi narcisistiche lo può mostrare anche l'osservazione più superficiale.

Se nella schizofrenia quella fuga consiste nella sottrazione della carica istintuale dalla zona dove è la rappresentazione dell'oggetto, può parere strano che la parte di tale rappresentazione che appartiene al sistema Prec., ossia la rappresentazione verbale ad essa corrispondente, ottenga una carica più intensa. Ci si aspetterebbe piuttosto che la rappresentazione verbale, costituendo la parte preconscia, debba subire il primo attacco della rimozione, e che non possa assolutamente essere ricaricata dopo che e la rimozione penetrata fino alle rappresentazioni inconsce della cosa. E' effettivamente un punto difficile da capire . Abbiamo potuto sperimentare che la carica della rappresentazione verbale non è interessata all'atto di rimozione, ma piuttosto rappresenta il primo di quei tentativi di guarigione e di cura della schizofrenia, che dominano in modo sorprendente il quadro clinico della schizofrenia.

Questi tentativi sono volti a riacquistare l'oggetto e può ben darsi che a questo scopo imbocchino la strada che, porta all'oggetto attraverso la sua parte verbale,, sebbene, allora debbano accontentarsi delle parole invece che delle cose. La nostra attività psichica si muove effettivamente in due direzioni opposte: o partendo dagli istinti attraverso il sistema Inc. arriva all'attività mentale conscia; oppure, sulla base di una stimolazione esterna, attraverso il sistema C e Inc. arriva alle cariche inconsce dell'Io e degli oggetti. Questa seconda via deve rimanere percorribile nonostante sia intervenuta la rimozione, e quindi deve rimanere, fino a un certo punto, aperta ai tentativi della nevrosi per riguadagnare i suoi oggetti. Quando pensiamo in astratto, siamo in pericolo di trascurare i rapporti tra le parole e le rappresentazioni inconsce degli oggetti, e non si può negare che il nostro modo di filosofare nel suo contenuto e nelle sue espressioni presenti una sgradita somiglianza col modo di agire degli schizofrenici. D'altra parte, possiamo tentare di caratterizzare il modo di pensare degli schizofrenici, dicendo che trattano le cose concrete come se fossero astratte.







Esercizi di analisi





1. Cosa significa rimozione:

1. eliminazione definitiva di un contenuto psichico;
2. impedire ad una rappresentazione di diventare conscia.

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