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BORDERLINE

Ultimo Aggiornamento: 22/11/2007 01:29
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22/11/2007 01:29

Secondo il DSM IV per porre diagnosi di DBP non è necessario che tutti i criteri riportati vengano soddisfatti: ne bastano solo cinque. Da ciò consegue che due soggetti con la stessa diagnosi di DBP possono avere in comune solo un criterio diagnostico e quindi differire notevolmente nel quadro clinico.

Secondo la teoria cognitivista classica questi soggetti presentano alcuni schemi mentali che condizionano il proprio mondo emotivo e le relazioni interpersonali. La loro visione del mondo è dominata dall’incertezza, in quanto si sentono estremamente insicuri rispetto ai sentimenti che gli altri nutrono nei loro confronti, al grado di fiducia che possono riporre nel mondo esterno, e alla sua stabilità.
Beck sintetizza gli schemi mentali del DBP in tre punti principali:
- il mondo è pericoloso e cattivo;
- io sono impotente e vulnerabile;
- io sono intrinsecamente inaccettabile.
Questa triade cognitiva svolgerebbe un ruolo centrale nell’influenzare la percezione della realtà e sarebbe alla base del quadro clinico del disturbo.

Secondo Linehan alla base del disturbo c’è una disfunzione della regolazione emotiva, probabilmente condizionata da una predisposizione biologica, e aggravata dall’interazione con un ambiente familiare invalidante. I soggetti borderline reagiscono agli stimoli con emozioni molto più intense e durature rispetto alle altre persone. Questa modalità di risposta non riguarda solo le emozioni “negative” come la rabbia, la paura e la tristezza, ma anche le emozioni più piacevoli come la gioia, la sorpresa, ecc.
Chi interagisce che una persona borderline ricava spesso l’impressione di una persona con una forte coloritura emotiva, di una vita “a tinte forti”. Ne deriva spesso un forte coinvolgimento emotivo con possibilità di innesco di circoli interpersonali che possono essere positivi, suscitando una sensazione di rivitalizzazione emotiva e di piacevole coinvolgimento; o negativi come ad es. nel circolo relazionale indotto dalle reazioni rabbiose del soggetto borderline, in cui l’interlocutore si lascia trascinare in una relazione rabbiosa che finisce col confermare gli assunti di base del borderline. “Io sono intrinsecamente inaccettabile” e “il mondo è cattivo e pericoloso”.


Perché la diagnosi di DBP risulta difficile?

Il quadro clinico del DBP appare in genere piuttosto confuso e variabile da un periodo all’altro della vita. La presenza di una sintomatologia variegata e complessa conduce spesso a diagnosi psichiatriche svariate: disturbo depressivo, distimia, disturbo bipolare, disturbi d’ansia, psicosi, disturbo istrionico, ecc. Non è infrequente che queste persone ricevano la giusta diagnosi solo dopo numerose diagnosi psichiatriche errate o parziali. È anche frequente, tuttavia, l’associazione di questo disturbo ad altri disturbi di personalità (disturbo narcisistico di personalità, disturbo antisociale di personalità, disturbo istrionico di personalità, ecc.) o ad altre diagnosi psichiatriche (depressione, distimia, disturbo bipolare, disturbo schizoaffettivo, ecc.).


Quali sono le cause del disturbo?

Le cause del disturbo restano sostanzialmente sconosciute, non esistono dati certi anche se sono state sviluppate numerose teorie, alcune delle quali vengono considerate piuttosto attendibili.
Vi sono evidenze che in alcuni soggetti possa essere coinvolta una componente genetica o altri fattori biologici.
Per la maggior parte dei pazienti entrano in gioco fattori psicologici, come per es. aver subito un trauma infantile (maltrattamento, violenza sessuale, abbandono).
Secondo gli psicologi evoluzionisti alla base del disturbo vi sarebbe un tipo particolare di relazione che si instaura nella prima fase della vita tra il bambino e la figura che lo accudisce, in particolare essi parlano di “attaccamento disorganizzato”, intendendo con questo termine l’impossibilità da parte del bambino di farsi un’idea stabile di come funziona la figura accudente e in particolare della modalità di risposta ai segnali di richiesta di accudimento che il bambino istintivamente emette nel momento del bisogno (fame, bisogno di essere pulito, dolore, ecc.). Quello che manca nella relazione madre- figlio non è tanto la coerenza della risposta, quanto una sintonia tra il gesto di accudimento e l’emozione ad esso associata, che il bambino percepisce soprattutto attraverso l’espressione del viso materno. Si tratta spesso di madri che pur accudendo normalmente il bambino sul piano materiale, sono turbate a livello emotivo per i motivi più disparati. Secondo la Main l’aspetto centrale alla base di questo tipo di attaccamento sarebbe la presenza di un genitore che, invece di fornire un “base sicura” alla richiesta di cura e accudimento da parte del bambino, diventa fonte di paura, o perché esso stesso “impaurito e bisognoso di accudimento” o addirittura perché apertamente abusante e/o maltrattante; molto spesso si tratta di genitori con vissuti estremamente dolorosi, ad esempio perché hanno avuto un lutto non elaborato, oppure sono stati a loro volta vittime di maltrattamenti o abusi nel corso della loro vita; talvolta si tratta di persone affette da malattie psichiatriche.


Come evolve il DBP?

Il decorso del disturbo è variabile e spesso prolungato per tutto l’arco della vita. Vengono descritte due modalità di decorso:
-decorso ad andamento fluttuante: si evidenzia una sintomatologia che nel corso della vita presenta fasi di incremento alternate a fasi di parziale attenuazione;
-decorso progressivamente declinante: con l’avanzare dell’età la sintomatologia si attenua progressivamente.


Come si può curare il DBP?

Anche se molte persone sono ancora scettiche circa la terapia del disturbo, si nutre una fiducia sempre maggiore in alcune forme di psicoterapie. Per alcune di esse esistono evidenze di efficacia.
Negli ultimi anni è stata sperimentata con un discreto successo una tecnica di derivazione cognitivo-comportamentale, chiamata “terapia dialettico-comportamentale”, finalizzata a ridurre i comportamenti autolesivi in pazienti borderline di sesso femminile.
Questa psicoterapia è stata la prima per la quale è stata documentata un’efficacia nel trattamento del DBP attraverso studi controllati.
Il trattamento si struttura in sedute di gruppo, che si tengono 1 o 2 volte la settimana per almeno un anno, associate a sedute individuali con cadenza settimanale. Il nucleo centrale del trattamento consiste nell’apprendere modalità di regolazione di un sistema emotivo considerato discontrollato. In particolare si sottolinea l’attenzione rivolta alla validazione delle emozioni. Si cerca in questo modo di contrastare gli effetti negativi provocati, durante l’infanzia, da un ambiente familiare fortemente invalidante. Per ambiente invalidante si intende un ambiente incapace di attribuire alle emozioni del bambino il giusto significato, e le risposte adeguate; talvolta si tratta di genitori che hanno difficoltà a leggere le emozioni proprie e altrui. In questo ambito rientrano anche tutte le manifestazioni di abuso o di trascuratezza.
Il lavoro in gruppo è arricchito da tecniche psicoeducazionali e si articola nei seguenti moduli:

1) abilità di mindfulness (versioni psicologiche e comportamentali delle tecniche di meditazione derivate da pratiche spirituali orientali, in particolare dalla filosofia Zen),

2) abilità di efficacia interpersonale,

3) abilità di regolazione emozionale,

4) abilità di tolleranza della sofferenza mentale.

Altre tecniche psicoterapeutiche utilizzate sono la psicoterapia di stampo analitico modificata da Kernberg; la psicoterapia cognitivo-comportamentale adattata al DBP.

La farmacoterapia può essere indicata per trattare l’impulsività, i disturbi affettivi e il discontrollo comportamentale; l’attenuazione di tale sintomatologia consente al soggetto borderline di accedere ad un trattamento psicoterapeutico con maggiore efficacia.
I farmaci più utilizzati nel caso di sintomi psicotici, impulsività e ostilità sono gli antipsicotici a basso dosaggio; attualmente si prediligono quelli di nuova generazione fra cui olanzapina, risperidone, quetiapina. Per l’instabilità affettiva vengono utilizzati gli stabilizzanti dell’umore (carbamazepina, acido valproico, lamotrigina, ecc.) e gli antidepressivi serotoninergici. Maggiore prudenza viene raccomandata per l’uso delle benzodiazepine a causa del rischio di induzione di dipendenza.
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