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3.2 La rimozione[S. Freud :Die Verdrängung (1915), in " Theoretische Schriften ", Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Wíen, 1931, pp. 83-971]

Una vicissitudine che l'impulso istintuale può subire è di incontrare delle resistenze volte a renderlo inefficace. In certe condizioni che indagheremo tra breve più da vicino, tale impulso entra in uno stato di rimozione. Se si trattasse dell'azione di uno stimolo esterno, il mezzo più opportuno sarebbe ovviamente la fuga. Ma nel caso dell'istinto la fuga non può giovare, perché l'Io non può sfuggire a se stesso. In un periodo successivo un buon mezzo contro l'impulso istintuale sarà trovato nel rifiuto conseguente ad un giudizio (condanna). Ebbene, una fase preliminare della condanna, una misura intermedia tra la fuga e la condanna è la rimozione, il cui concetto non poteva essere formulato prima degli studi psicanalitici.

Non è facile arrivare alla possibilità di una rimozione procedendo per deduzione. Perché infatti dovrebbe un impulso istintuale subire un tale destino? Evidentemente la condizione che deve verificarsi in tal caso è che la realizzazione della meta istintuale procuri dispiacere invece che piacere; ma tale caso non è facile immaginarlo. Istinti di tal fatto non vi sono; l'appagamento di un istinto procura sempre piacere. Si devono allora presupporre delle circostanze particolari, una specie di processo che trasforma il piacere inerente all'appagamento in un dispiacere.

Per delimitare meglio il concetto di rimozione, prendiamo a discutere alcune altre situazioni in cui viene a trovarsi l'istinto. Può succedere che uno stimolo esterno, per il fatto, per esempio, che corrode o distrugge un organo del corpo, si interiorizzi, e costituisca cosi una nuova sorgente di eccitazione costante e di aumento di tensione . In tal, modo acquista una somiglianza notevole con un istinto. Sappiamo che in questi casi si verifica dolore. La meta di tale pseudo - istinto è tuttavia soltanto la cessazione dell'alterazione dell'organo e del dolore ad essa connesso. Dalla cessazione del dolore non può emergere un altro, diretto piacere. Il dolore è inoltre imperativo; cede soltanto all 'azione di un agente tossico o di una distrazione mentale.

Il caso del dolore è troppo poco chiaro perché possa aiutarci ne la nostra ricerca. Prendiamo il caso in cui uno stimolo istintuale come la fame rimanga insoddisfatto. Diventa allora imperativo mantiene una costante tensione di bisogno, non può essere placato altro che dall'azione dell'appagamento. Siamo qui ben lontani dalla situazione della rimozione

Non si verifica dunque certamente il caso della rimozione quando la tensione, in seguito al mancato appagamento dell'impulso istintuale, diventa insopportabilmente grande. I metodi di cui allora dispone l'organismo per difendersi saranno discussi altrove. Atteniamoci qui piuttosto all'esperienza clinica che incontriamo nella prassi psicanalitica. Apprendiamo allora che l'appagamento dell'istinto sottoposto a rimozione sarebbe possibile, e costituirebbe in ogni caso una fonte di piacere, ma sarebbe inconciliabile colle altre esigenze e cogli altri propositi, e quindi genererebbe sì piacere da una parte, ma dall'altra dispiacere . Quindi, la condizione perché si verifichi una rimozione è che i motivi del dispiacere derivante dall'inappagamento siano più forti di quelli del piacere dell'appagamento. Inoltre, l'osservazione psicanalitica delle nevrosi di transfert ci costringe a concludere che la rimozione non è un meccanismo di difesa presente fin dall'inizio, ma che può verificarsi solo quando è avvenuto una netta separazione tra attività psichica conscia e attività psichica inconscia, e che la sua essenza consiste solo nell'allontanare qualcosa dal conscio e nel tenervelo lontano. Tale concezione della rimozione riceverebbe la sua integrazione dalla supposizione che prima di tale stadio dell'organizzazione psichica, il compito della difesa dagli impulsi istintuali sia assolto dalle altre vicissitudini degli istinti, come la conversione nell'opposto o la riflessione sulla persona propria.

Al momento ci sembra pure che la rimozione e l'inconscio siano correlati in modo talmente rigoroso da essere costretti a rimandare l'approfondimento dell'essenza della rimozione a quando noi avremo una migliore conoscenza del modo come si svolgono le forze psichiche e della differenza tra conscio e inconscio. Prima di allora possiamo solo esporre alcuni caratteri della rimozione osservati clinicamente in modo puramente descrittivo, anche se in tal modo corriamo il rischio di ripetere letteralmente molte cose già dette altrove.

Abbiamo dunque buone ragioni per supporre l'esistenza di una rimozione originaria, una prima fase della rimozione, consistente nel fatto che viene interdetto l'ingresso nella coscienza all'idea che rappresenta psichicamente l'istinto. Si ha così una fissazione; il rappresentante in questione resta da quel momento immobile, e l'istinto ad esso fissato. Ciò succede in seguito alle proprietà dei processi inconsci di cui parleremo.

La seconda fase della rimozione, la rimozione vera e propria, riguarda i derivati psichici del rappresentante represso o quelle successioni di pensiero che, provenendo d'altrove, hanno poi stabilito delle relazioni associative con esso. A causa di tali associazioni queste rappresentazioni subiscono la stessa vicenda del materiale rimosso nella prima fase. La rimozione vera e propria è quindi una post- pressione. Del resto è uno sbaglio sottolineare soltanto la ripulsione che viene dal conscio per agire su ciò che deve essere rimosso. Interviene infatti anche l'attrazione che il rimosso della prima fase esercita su tutto ciò con cui esso può mettersi in relazione. Verosimilmente la tendenza alla rimozione non raggiungerebbe il suo scopo se queste due forze non cooperassero, se cioè non vi fosse qualcosa di previamente rimosso pronto ad accogliere ciò che viene ulteriormente respinto dalla coscienza.

Sotto l'influsso dello studio delle psiconevrosi, che ci presenta le significative azioni della rimozione, siamo tentati a sopravvalutare il loro contenuto psicologico e a dimenticare facilmente che la rimozione non impedisce al rappresentante istintuale di continuare ad esistere nell'inconscio e di organizzarsi ulteriormente, di formare suoi derivati, e di stabilire delle relazioni. La rimozione effettivamente disturba soltanto le relazioni con un solo preciso sistema psichico, quello conscio.

La psicanalisi ci può ancora indicare qualche altro elemento d'interesse per la comprensione delle azioni della rimozione nelle psiconevrosi. Ci dice, per esempio, che il rappresentante istintuale si sviluppa con minore difficoltà e con più ricco contenuto quando è sottratto all'influsso della coscienza. Allora prolifica, per così dire, nel buio, e trova forme estreme di espressione, le quali, quando vengano tradotte e presentate al nevrotico, non solo appaiono a lui estranee, ma lo impauriscono come fantasmi dotati di una straordinaria e pericolosa forza istintuale. Tale ingannevole forza è il risultato di uno sviluppo incontrollato nella fantasia e del suo accumulo in seguito all'interdizione del suo appagamento. Il fatto che quest'ultimo risultato sia legato alla rimozione, ci indica in quale direzione vada ricercato l'autentico significato di quest'ultima.

Ritornando ora all'aspetto opposto della rimozione, affermiamo che non è corretto dire che la rimozione tenga lontano dalla coscienza tutti i derivati del rimosso della prima fase. Se questi derivati sono abbastanza lontani dal rappresentante rimosso sia mediante l'introduzione di distorsioni , sia mediante l'inserzione di un numero considerevole di anelli intermedi, allora l'accesso alla coscienza è senz'altro libero. È come se l'opposizione ad essi da parte della coscienza fosse una funzione della loro distanza dal rimosso della prima fase . Nell'applicazione della tecnica psicanalitica provochiamo continuamente il paziente a esporre quei derivati del rimosso primitivo, che, a causa della loro lontananza o della loro distorsione, possono sfuggire alla censura dell'inconscio. Infatti, le idee che gli chiediamo di esprimere senz'alcun riguardo alle rappresentazioni e ad ogni critica, e dalle quali noi ricostruiamo una cosciente traduzione del rappresentante rimosso, sono appunto di questo tipo. Osserviamo in tali casi che il paziente può tessere tutta una serie di idee associate fino a che, nel suo processo, non incappa in un pensiero sul quale agisce in modo talmente intenso il rapporto alla cosa rimossa, che egli è costretto a ripetere il suo tentativo di rimozione. Anche i sintomi nevrotici devono aver soddisfatto a detta condizione, perché sono anch'essi derivati del rimosso, il quale, grazie ad essi, ha potuto finalmente conquistare quell'ingresso alla coscienza che gli era stato negato.

Non si può stabilire in forma generale quanto grande debba essere la distorsione e la lontananza dalla cosa rimossa, perché l'opposizione della coscienza risulti nulla. In questo campo si stabilisce un delicato equilibrio, il cui gioco ci è nascosto, ma il cui modo di operare ci lascia intravedere che si tratta dell'intervento di una forza di frenaggio ogni qualvolta l'intensità d'invadenza dell'inconscio è tale da violare la barriera opposta all'appagamento. La repressione quindi agisce in maniera del tutto individuale . Ogni derivato dell'elemento rimosso può avere la sua particolare vicenda; un aumento o una diminuzione anche minima di distorsione fa sì che l'esito cambi totalmente. E a questo riguardo è anche comprensibile come gli oggetti preferiti degli uomini, i loro ideali, derivino dalle medesime percezioni ed esperienze da cui derivano quelli che sono da loro massimamente temuti, e che i due tipi originariamente si distinguono solo per differenze minime. Può darsi infatti, come abbiamo scoperto indagando le origini del feticcio, che il rappresentante istintuale originario si spezzi in due parti, di cui l'una soggiace alla rimozione, mentre il resto, appunto a causa di questa intima connessione, subisce la vicenda della idealizzazione.

Quello che viene prodotto da un aumento o da una diminuzione della distorsione può risultare dall'altra parte, per così dire, dell'apparato, ossia da una modifica nelle condizioni di produzione del piacere o dispiacere. Si sono elaborate delle tecniche speciali allo scopo di determinare quali variazioni si devono introdurre nel gioco delle forze psichiche, perché quella stessa cosa che normalmente genera dispiacere, possa invece produrre piacere. Ogni volta che entra in azione un simile espediente tecnico, viene tolta la rimozione di un rappresentante istintuale, che diversamente sarebbe stato ripudiato. Queste tecniche sono state finora perfezionate solo per le battute di spirito. Di regola l'eliminazione della rimozione è tolta solo temporaneamente; subito dopo si ristabilisce.

Esperienze simili sono comunque sufficienti a renderci attenti agli ulteriori caratteri della rimozione. Essa non è soltanto, come si e appena detto, individuale, ma è anche estremamente mobile. Non ci si può rappresentare il processo della rimozione come un avvenimento che vale una volta per tutte e che ha esito definitivo, come quando un vivente muore, e da allora è morto per sempre; la rimozione esige un continuo dispendio di forza, la cessazione del quale mette in pericolo il suo esito, cosicché si rende necessario un nuovo atto di rimozione. Siamo legittimati a pensare che l'elemento rimosso eserciti nella direzione del conscio una pressione continua, contro la quale per conservare l'equilibrio, deve essere mantenuta una pressione contraria. Il mantenimento della rimozione presuppone quindi un costante dispendio di forza, e quindi la sua abolizione significa, dal punto di vista economico, un risparmio. La mobilità della rimozione si esprime del resto anche nelle caratteristiche psichiche dello stato di sonno, durante il quale avviene la formazione dei sogni. Quando ci si sveglia vengono riemesse quelle cariche repressive che erano state ritirate.

Finalmente, non dobbiamo dimenticare che quando affermiamo di un movimento istintuale che è rimosso, diciamo ben poco. Pur valendo per esso sempre la condizione di rimozione, può trovarsi in stati diversissimi, può essere inattivo, ossia molto poco carico di energia psichica, oppure la sua carica può assumere gradi diversi che lo rendono capace di attività. Effettivamente, la sua attivazione non porta direttamente all'abolizione della rimozione, ma solo alla stimolazione di tutti quei processi che si aprono un varco alla coscienza attraverso aggiramenti. Quando i derivati dell'inconscio non sono rimossi, il destino di una singola rappresentazione viene deciso dalla quantità di quell'attività o di quella carica. Succede ogni giorno che tale tipo di derivato eluda la rimozione finché possiede una piccola quantità di energia, sebbene il suo contenuto sia capace di produrre un conflitto colla parte predominante della coscienza. Il momento quantitativo si mostra quindi decisivo per il conflitto; appena la rappresentazione di disturbo che sta al fondo si rinforza oltre una certa misura, il conflitto diventa attuale, e proprio questa sua attivazione provoca la rimozione. Un aumento della carica energetica agisce quindi, in relazione alla rimozione, come un avvicinamento all'inconscio, una sua diminuzione come un allontanamento da esso o come una distorsione. Comprendiamo allora che le tendenze repressive possono sostituire la rimozione di qualcosa di sgradevole col suo indebolimento.

Nelle discussioni fin qui svolte abbiamo trattato della rimozione di un rappresentante istintuale, e abbiamo inteso con tale nome una rappresentazione o un gruppo di rappresentazioni caricate di una certa quantità di energia psichica (libido, interesse) proveniente dall'istinto. L'osservazione clinica ci obbliga ora a dividere quello che finora abbiamo considerato unito, perché ci indica che si deve tener conto di un'altra cosa atta a rappresentare l'istinto. diversa dalla rappresentazione immaginativa, altra cosa che subisce una vicenda di rigetto del tutto diversa dalla prima. Per indicare quest'altro elemento psichico si è adottato il nome di quota affettiva: corrisponde all'istinto staccato dalla sua rappresentazione, e trova espressione, proporzionale alla sua quantità, in quei processi che vengono sentiti come affettività. D'ora in poi, quando descriveremo qualche caso di repressione, dovremo separatamente seguire quello che, in seguito alla rimozione, avviene alla rappresentazione, e quello che avviene all'energia istintuale che le è legata.

Volentieri vorremmo dire qualcosa di generale sui due tipi di vicenda: sarà possibile dopo qualche osservazione orientativa. Il destino generale della rappresentazione di un istinto non può essere praticamente altro che questa: essa sparisce dalla coscienza se prima era conscia, oppure è tenuta fuori dalla coscienza se era sul punto di entrarvi. La differenza non è del resto importante; è simile a quella che vi è tra sentirsi spinto a condur fuori dal proprio salotto o dal proprio vestibolo un ospite sgradito, e impedirgli che varchi la porta del proprio appartamento, appena lo si è riconosciuto. La vicissitudine del fattore quantitativo inerente al rappresentante istintuale può essere triplice, come ci rivela un rapido sguardo alle esperienze fatte nella pratica psicanalitica: o l'istinto viene interamente represso, così da non potersi più trovare nulla di esso, o riemerge come affetto con diversa colorazione, oppure si trasforma in ansia. Le ultime due possibilità ci pongono il problema di trattare la trasformazione delle energie psichiche istintuali in affetti, e più particolarmente in ansia.

Ricordiamo che il motivo e lo scopò della rimozione non era altro che là fuga dal dispiacere. Ne segue che il destino della quota di affetto legata al rappresentante è, molto più importante del destino della rappresentazione, ed è decisivo per la nostra valutazione del processo di rimozione. Se una rimozione è incapace ad evitare l'insorgere di sentimenti di dispiacere o di,, ansia, dobbiamo dire che ha fallito, anche se può aver raggiunto il suo scopo sul piano della rappresentazione. Naturalmente la rimozione fallita merita più interesse da parte nostra di quella riuscita, la quale addirittura si sottrae alla nostra indagine.

Vogliamo ora esaminare il meccanismo del processo di rimozione e innanzitutto sapere se è uno solo o se sono più i suoi meccanismi, se ogni psiconevrosi può essere contrassegnata da un particolare meccanismo della. rimozione. All'inizio di questa .indagine tuttavia ci imbattiamo in complicazioni. Il meccanismo di una rimozione ci diventa accessibile se noi lo deduciamo dall'esito della rimozione stessa. Limitando la nostra osservazione all'esito che ha sulla rappresentazione troviamo che la rimozione di regola crea un'idea sostitutiva. Qual è allora il meccanismo di tale, sostituzione? Vi è, anche qui una pluralità di meccanismi? Sappiamo che la rimozione lascia dietro di se dei sintomi. Coincide la formazione dei sostituti con quella dei sintomi? E in tal caso, il meccanismo della formazione dei sintomi è identico a quello della rimozione? Da quanto precede risulta probabile che i due processi sono molto diversi, che non è la rimozione a creare sostituzioni e sintomi, che invece questi ultimi, come indici del ritorno di ciò che era rimosso, debbono la loro origine a processi del tutto diversi. Sembra anche consigliabile analizzare i meccanismi della sostituzione e della formazione dei sintomi prima di quelli della rimozione.

E' chiaro che non ci si deve qui affidare, per la soluzione, alle ricerche speculative, ma all'osservazione dei risultati della rimozione nelle singole nevrosi, mediante un'analisi rigorosa. Propongo tuttavia che anche questo' compito venga rimandato finché ci siamo fatte delle idee sicure sul rapporto tra conscio e inconscio. Ora tuttavia, per non lasciarci sfuggire del tutto infruttuosamente l'attuale discussione, anticipiamo che: 1) il meccanismo della rimozione non coincide nella realtà dei fatti coi meccanismi di sostituzione 2) che vi sono parecchi meccanismi di sostituzione, e 3) che ai meccanismi della rimozione almeno una cosa è comune, una sottrazione di carica energetica (o di libido, se si tratta dell'istinto sessuale).

Vogliamo ora, limitatamente ai tre casi più noti di psiconevrosi, mostrare con alcuni esempi, come i concetti qui introdotti possono applicarsi allo studio della rimozione. Fra i casi d'isteria d'angoscia sceglierò l'esempio ben analizzato di una fobia animale. L'impulso istintuale sottoposto a rimozione è qui un atteggiamento libidinoso nei riguardi del padre, misto alla paura di lui. Dopo la rimozione tale istinto sparisce dalla coscienza, il padre non vi appare più come oggetto di libidine. Come surrogato viene a trovarsi nel posto corrispondente un animale, più o meno adatto ad essere oggetto di angoscia. La formazione di tale sostituto sul piano della rappresentazione si è avuta mediante uno spostamento di connessioni avvenute in un modo ben determinato. La parte quantitativa non è scomparsa, ma si è convertita in angoscia . Il risultato è la paura di un lupo al posto di un'esigenza di amore verso il padre. Naturalmente non bastano le categorie qui adottate a spiegare adeguatamente neppure il più semplice caso di psiconevrosi. Devono infatti entrare in considerazione altri punti di vista.

Una rimozione come questa della fobia animale può essere considerata come fondamentalmente fallita. L'opera da essa svolta consiste infatti in una eliminazione e nella sostituzione di una rappresentazione, ma non è riuscito l'ottenimento di una riduzione del dispiacere. In conseguenza, il lavoro della nevrosi non cessa, ma continua in un secondo tempo, allo scopo di ottenere il suo fine più immediato e importante. Si arriva cosi alla formazione di un tentativo di fuga, ossia di un'autentica roba, a un insieme di rinunce, allo scopo di escludere la liberazione dell'angoscia. Attraverso quale meccanismo la fobia raggiunga il suo scopo possiamo venirlo a sapere mediante un'indagine più precisa.

A una valutazione del tutto diversa del processo di rimozione ci spinge il quadro di una vera e propria isteria di conversione. Qui il punto saliente consiste nella possibilità che la quota d'affetto scompaia del tutto. L'ammalato mostra qui nei riguardi dei suoi sintomi quella che Charcot ha chiamato " la belle indifférence des hystériques ". Altre volte tale repressione non riesce così perfetta; una quota di sensazioni dolorose si connette ai sintomi stessi, oppure è impossibile evitare che venga liberata una quota d'angoscia, la quale, a sua volta, mette in azione il meccanismo della formazione della fobia. Il contenuto rappresentativo dell'oggetto dell'istinto è fondamentalmente sottratto alla coscienza; come sostituto - e nello stesso tempo come sintomo - troviamo una potentissima innervazione (che nei casi tipici è di natura somatica: talvolta sensoria, talvolta motoria) sotto forma di eccitazione o di inibizione. La zona innervata si mostra a un'analisi più precisa come una parte dello stesso rappresentante istintuale represso, la quale, quasi per un processo di condensazione, ha attirato su di sé la carica intera. Naturalmente queste osservazioni non esprimono esaurientemente il meccanismo dell'isteria di conversione; in modo particolare va ancora aggiunto il momento della regressione, la cui valutazione si può trovare in altro contesto.

La rimozione dell'isteria di conversione può essere giudicata del tutto fallita se si considera che diventa possibile solo attraverso un numero abbondante di formazioni sostitutive; ma in riferimento alla quota d'affetto, che costituisce il compito specifico della rimozione, essa rappresenta di regola un pieno successo. Il processo di rimozione dell'isteria di conversione si completa infatti con la formazione di sintomi, e non esige di prolungarsi, come nell'isteria d'angoscia, in una seconda fase, o, più precisamente, all'indefinito.

Un aspetto del tutto diverso ci presenta la rimozione nella terza affezione, che qui considereremo per i nostri confronti, ossia la nevrosi ossessiva. Qui ci troviamo all'inizio in dubbio su che cosa possa essere il rappresentante istintuale che soggiace alla rimozione, se sia una tendenza libidica o una tendenza ostile. La nostra insicurezza dipende dal fatto che la nevrosi ossessiva si basa su di una regressione', in forza della quale la tendenza sadica è subentrata al posto di quella affettuosa: è un impulso ostile contro una persona amata che qui soggiace alla rimozione. L'effetto del lavoro di rimozione è nella prima fase del tutto diverso che in quella successiva. All'inizio la rimozione ha pieno successo: il contenuto rappresentativo viene eliminato e l'affetto sparisce. Come formazione sostitutiva si trova un'alterazione dell'Io nel senso che la sua coscienziosità aumenta. Difficilmente si potrebbe chiamare sintomo; qui sostituto e sintomo non coincidono. Per cui veniamo a capire anche qualcos'altro sul meccanismo della rimozione. Questa ha operato come sempre una riduzione della libido, ma si serve a tale scopo di una forma di reazione ottenuta mediante il rafforzamento del contrario. La formazione del sostituto ha qui dunque lo stesso meccanismo della rimozione e in fondo coincide con essa, ma cronologicamente e concettualmente si separa dalla formazione di un sintomo. E' molto verosimile che tutto il processo sia reso possibile dalla relazione di ambivalenza nella quale entra l'impulso sadico che deve essere rimosso.

Ma la rimozione inizialmente riuscita non resiste; nel processo ulteriore si manifesta sempre più il suo fallimento. L'ambivalenza, che ha permesso la rimozione mediante una formazione reattiva, è anche il motivo del ritorno di ciò che era stato rimosso. L'affetto scomparso ritorna in quantità uguale sotto forma di angoscia sociale, di angoscia morale e senso di colpa. La rappresentazione bandita si fa sostituire mediante uno spostamento su qualcosa che spesso è insignificante e indifferente. E' di norma incontestabilmente presente una tendenza al completo ristabilimento di quella rappresentazione rimossa. Il fallimento nella rimozione del fattore quantitativo e affettivo mette in moto lo stesso meccanismo di fuga, mediante privazioni e proibizioni, che abbiamo già riscontrato nella forma della fobia isterica. Il bando della rappresentazione dalla coscienza viene però ostinatamente mantenuto, perché con tale sistema è garantito il ritegno dall'azione, l'imprigionamento dell'aspetto motorio dell'impulso . Così il lavoro di rimozione nella nevrosi ossessiva si risolve in una lotta senza esito e senza fine .

Dalla piccola serie di paragoni qui esposta ci si può convincere che occorrono ancora indagini più complete per avere diritto a sperare di capire i processi connessi alla rimozione e alla formazione di sintomi nevrotici.

La straordinaria complessità di tutti gli aspetti presi in esame ci lascia solo una via per renderli accessibili alla nostra comprensione: dobbiamo porre allo scoperto ora l'uno ora l'altro dei punti di vista e seguirli nella massa dei dati di fatto, finché ci appare evidente la loro efficacia.

Ogni isolamento dell'azione dei singoli fattori sarà incompleta e non potrà evitare oscurità quando sia applicata a situazioni non ancora studiate; possiamo tuttavia sperare che la sintesi finale ci porti a una buona comprensione.







Esercizi di analisi



1. Qual è l'origine della rimozione?



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2. Cosa significa che la rimozione è…"una fase preliminare della condanna,[e quindi] una misura intermedia tra la fuga e la condanna"?



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3. Freud individua due momenti della rimozione: la rimozione originaria e la rimozione vera e propria. Spiega in che cosa consistano tali aspetti.



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4. La rimozione aumenta o diminuisce la forza del rappresentante istintuale?



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5. I contenuti derivati dal rimosso della prima fase sono tutti inaccessibili alla coscienza.


VERO PERCHE' FALSO PERCHE'
















6. Freud avanza l'ipotesi che la rimozione contribuisca anche alla nascita degli ideali; spiega in che modo ciò avverrebbe.



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7. Freud afferma che la rimozione è individuale e mobile; spiega cosa egli intenda con tali espressioni.



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