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I TRE CODICI



Tre codici soltanto sono sopravvissuti, per puro caso, al periodo coloniale, e si trovano a Dresda, a Madrid e a Parigi; un quarto è stato ritrovato da poco. In totale, con i codici dell’altopiano messicano, ci sono pervenuti 17 codici, mentre migliaia di quei preziosi manoscritti sarebbero state distrutte dai conquistatori iberici. Si presentano come lunghi filatteri, piegati a fisarmonica, formati da molti foglietti scritti e dipinti su due facce; la maggior parte sono costituiti da una specie di carta spessa, detta huun, ottenuta martellando le fibre vegetali di una scorza di “ficus cotinifoglia”, un fico selvatico, cosparsa prima di resina (una gomma naturale vegetale) e poi da un sottile strato di calce spenta, spalmata di amido; insomma, una preparazione simile a quella dell’affresco. Una volta piegati e sovrapposti, i foglietti assumevano esattamente l’aspetto di un libro. Alcuni venero realizzati con sottili pelli di daino.

Dipinti sulle due facciate, con tinte chiare e delicate, queste pagine sono piene di testi, disegni e vignette animate da personaggi spesso mistici. Questi libri ci parlano di divinità, di astronomia, di oroscopi, di rituali religiosi, per quel che è dato sapere, perché dei 372 glifi che vi sono stati rinvenuti, 200 restano totalmente incomprensibili.

Il codice di Dresda (detto codex Dresdensis), il più bello e il più complesso dei tre (cm.350X20X9) risale probabilmente all’XI o XII secolo e ricopia quasi sicuramente un originale del periodo classico; parla delle eclissi, della rivoluzione sinodica di Venere, di riti religiosi e di pratiche divinatorie, per ben 70 pagine. Proprio partendo da quel codice della biblioteca di Dresda, Ernst Forstermann, impiegato di quella biblioteca, riuscì a decifrare una parte del calendario Maya, e a compiere il lungo conto che permette di stabilire una data in rapporto al punto di partenza cronologico Maya, grazie a una serie di glifi. Forstermann, in realtà, si era messo in testa di trovare il contenuto di quello strano libro di magia, e fu il primo, nel 1887, a capire che si trattava di tavole del pianeta Venere.

John Teeple, un ingegnere chimico, costretto dal suo lavoro a frequenti viaggi in treno, usò il suo tempo libero per studiare il complesso sistema di correzione di quelle tavole; una di esse, per esempio, da 69 date di eclissi solari possibili per la durata dei 33 anni successivi… alla redazione del codice naturalmente. Questo codice venne scoperto a Vienna nel 1739, e in seguito venne acquistato dalla biblioteca di Sassonia, a Dresda.

Il codice Tro-Cortesianus di Madrid, che è lungo più di sette metri (cm.715X24X13) e comprende 112 pagine, può risalire al secolo XV. Tratta della divinazione e si presenta come un’opera di consultazione per i preti indovini e tratta anche delle cerimonie in rapporto con i problemi artigianali e dei riti legati alla festa dell’Anno Nuovo. Deve essere stato diviso in due in data che non si è riusciti a stabilire; infatti due biblioteche di Madrid ne possedevano un tempo una parte ciascuna, una con il nome di codex Troano e l’altra con il nome di codex Cortesianus. Poi, dimostrato che esse formavano un tutto, i due tronconi sono stati riuniti al Museo di Archeologia e di Storia di Madrid.

Il codice Peresianus della biblioteca Nazionale di Parigi è parimenti abbastanza tardo (XV secolo) e, essendo in cattivo stato, pare incompleto; è lungo circa cm. 145 e presenta soltanto 22 pagine; è anche questo un’opera di consultazione per i preti indovini e può darsi che le profezie di questo manoscritto abbiano un carattere storico poiché gli avvenimenti futuri erano, nella concezione Maya, delle proiezioni del passato, cioè delle ripetizioni inevitabili. Nella seconda facciata parla della divinità di Katun (7.200 giorni pari a due decenni) e del tun (anno), oltre che delle cerimonie legate alla successione di alcuni di quei Katun. Malgrado l’epoca recente, dal punto di vista dello stile si ricollega ai rilievi di Quiriguà e di Piedras Negras.

Venne scoperto nel 1860 in un mucchio di vecchi documenti abbandonati in un deposito della Biblioteca Nazionale di Parigi; e siccome la carta che lo avvolgeva portava il nome di Perez, venne chiamato codex Peresianus.