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Usanze e tradizioni


Alcune discutibili tradizioni dei Maya erano quelle di schiacciare il cranio dei neonati tra due assi per fargli assumere "artificialmente" una forma più piatta ed allungata.
Nonostante questa usanza potesse causare dei traumi nei bambini, aventi ancora le ossa fragili, questo aspetto fisico veniva visto positivamente perché era più simile a quello degli dei.
Un'altra usanza era quella di rendere strabici i bambini attraverso una pallina posta davanti gli occhi , perché anche questa caratteristica era simbolo di bellezza.
Molte tradizioni dei Maya sono state tramandate fino ai giorni nostri e vengono ancora rispettate dagli indios, come il rispetto per la natura (verso la madre terra), il matrimonio, la gravidanza, l'aiuto e la collaborazione tra le famiglie del villaggio.
La natura: la tradizione più importante riguarda il rispetto vero e proprio della natura; la terra viene considerata una vera e propria madre e le viene chiesto il permesso di coltivarla ad ogni semina o per ogni altra operazione agricola.
Il matrimonio: secondo le tradizioni maya, è il ragazzo ad andare a casa della ragazza interessata per fare la richiesta di matrimonio. Se la ragazza non acconsente subito, il ragazzo ha ancora due possibilità, terminate le quali non potrà mai più chiederla in sposa. Se la ragazza invece acconsente, il ragazzo deve chiedere il permesso alla famiglia della ragazza alla quale spetta la decisione finale.
Dopodiché si faranno varie riunioni fra i genitori delle due famiglie che, giunti all’accordo, prepareranno i festeggiamenti. Durante il rito del matrimonio, come in molti altri, parte della cerimonia viene celebrata in ricordo degli antenati.
La gravidanza: quando una donna è incinta, per il periodo della gravidanza non deve vedere nessun altro bambino e deve fare lunghe passeggiate fra i campi, per mettersi in contatto con la natura e per farla amare al bambino. Per il parto, anche ai giorni nostri, la donna non può recarsi all’ospedale perché le tradizioni lo vietano. Dopo il parto si brucia la placenta e il bambino rimane solo con la madre per otto giorni.
Dopo questo periodo il bambino viene presentato alla comunità con una grande festa.
Rigoberta Menchù, descrive dettagliatamente queste tradizioni nei suoi libri:
Elisabeth Burgos "Mi chiamo Rigoberta Menchù" ed. Giunti 1996
Rigoberta Menchù Tum "Rigoberta Menchù" ed. Giunti 1997