Luce e conoscenza

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sonardj
00martedì 18 marzo 2008 04:05
Luce e conoscenza



Il mito della caverna in Platone rappresenta simbolicamente il faticoso

itinerario dell'uomo dalla rassicurante, ma menzognera, ombra

verso la luce e la conoscenza



di M. O.



Nel libro VI della Repubblica (trad. di Franco Sartori, Laterza, Bari 1956), Platone subordina la funzione e la funzionalità degli occhi e della vista ad un "terzo elemento" senza de quale "la vista non vedrà nulla" e "i colori resteranno invisibili" (507, e). Tale elemento, di natura celeste e di carattere divino, è la luce, espansione e manifestazione del sole. Il "mito solare" che Platone delinea di seguito è, in realtà, metafora e simbolo del mondo intellegibile e della condizione essenziale per accedervi: "Ciò che nel mondo intellegibile il bene è rispetto all'intelletto e agli oggetti intellegibili, nel mondo visibile è il sole rispetto alla vista e agli oggetti visibili" (508, e). La simbologia della luce, che evoca lo splendore del sole e la potenza redentrice dell'oriente, è essenzialmente connessa da Platone e da altri prima e dopo di lui con il processo della conoscenza e del perfezionamento morale. In Platone tale doppio e inscindibile processo è congiunto all'idea del "ritorno" e della "memoria", che è stimolo, viatico e visione del luogo originario e della luce dell'assoluto.

La presenza della simbologia della luce, quasi sempre nella figura del sole e talvolta del fuoco rischiaratore e, insieme, purificatore, è rintracciabile, in forma esplicita e costante, in tutte le grandi tradizioni culturali e in tutte le grandi religioni, insieme all'altra grande simbologia dell'acqua. In Platone, tuttavia, la congiunzione fondamentale dì luce e conoscenza è sostanziale. Per l'anima, infatti, soltanto quando sì realizza la visione di "ciò che è illuminato dalla verità e dall'essere" si ha conoscenza e intelligenza; al contrario, "quando si fissa su ciò che è misto di tenebra e che nasce e perisce",

L'anima si perde nell'opinione e "s'offusca, rivolta in su e in giù" (508, d). Perché tale visione luminosa e chiara, ferma e solida si realizzi è necessario percorrere un lungo, talora faticoso e doloroso, itinerario di purificazione e di risalita. Esso è raffigurato da Platone nel mito della caverna, che sintetizza i simboli fondamentali del destino di ritorno e della vicenda del reintegro dell'immortalità. La natura umana è così assimilata da Platone ad "una dimora sotterranea a forma di caverna" con "l'entrata aperta alla luce", dentro la quale vi siano "degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti", incapaci come sono di girare il capo, tenuto fermo dalla catena.

"Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d'un fuoco", e fuori della sotterranea dimora corra una strada, costeggiata da un basso muro (I. VII, 514, a-b).

Coloro che transitano lungo la strada proiettano, per la luce del fuoco, le proprie ombre sul fondo della caverna; e queste vedono gli uomini legati e costretti. E così la loro visione, unica e costante, diventa per i prigionieri realtà, perché per essi "la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti" (515, e). Ma se uno di loro "fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce" e, afflitto dal dolore che la luce provoca negli occhi disabituati, non riuscisse a "scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre", egli di certo "giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso" (515, d). Il rifiuto della realtà, e quindi la inconsaputa fuga dalla verità, diventerà pi radicale e risoluta se agli occhi doloranti dell' uomo liberato, ma senza 1a coscienza di sé e della propria libertà, fosse proposta la visione della luce stessa: egli infatti "fuggirebbe volgendosi agli oggetti di cui può sostenere 1a vista" (515, e).

Perché l'uomo possa avvicinarsi gradualmente alla visione del vero e alla contemplazione della bellezza dell'ordine, è necessario che vi sia forzato, trascinato "via di lì a forza, su per l'ascesa scabra ed erta" e non lasciato "prima di averlo tratto alla luce del sole" costretto a vincere l'inerzia e la pesantezza del corpo, il tepore ingannevole delle abitudini, 1a lusinga del noto (515,e-516,a). La disciplina, l'ascesi, raffigurate nell'azione della costrizione fisica e della sottomissione all'umiliazione de dolore, sono necessarie perché l'uomo si abitua vedere, si purifichi fino ad elevarsi al "mondo superiore". Così "prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell'acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo. Alla fine potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole...il sole in se stesso, nella regione che gli è propria" (516, a-b).

L'itinerario platonico che, con dolore e tremore, porta l'uomo dalla oscurità e dalla rassicurante ombra fino alla visione della luce del sole, si svolge lungo un percorso scabro e ripido, pericoloso e deludente, che fa rimpiangere lo stato anteriore, spoglia delle certezze e sembra proporre soltanto il nulla, ovvero la negazione del noto. La liberazione non si ha dunque nel momento in cui l'uomo si trova sciolto, capace di muoversi e di volgere lo sguardo là dove mai l'aveva posato, ma soltanto dopo che è risalito dalla notte dell'ignoranza fino alla coscienza di quella ignoranza. Egli saprà il proprio abisso precedente soltanto dopo aver conquistato la luminosità della visione, la cognizione del sole e della regione che gli è propria. La libertà dello spirito è piena quando in effetti non c'è più bisogno di liberarsi: il processo alla fine nega se stesso.

I riti d'iniziazione rappresentano ciò che Platone ha scritto e raccontato, ed anch'essi sono simbolici ovvero illustrano visibilmente quel che è un evento essenzialmente spirituale, un'elevazione dell'anima, un raffinamento morale.

(tratto da "Massoneria Oggi" , Anno III n. 4 agosto-settembre 1996, pag. 35 - Ed. Società Erasmo)
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