La chimica dei sensi

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sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:22
La chimica dei sensi

“Cavallo”. Mammifero; erbivoro; odore di fieno e di cuoio; nitrisce; froge bagnate; l’ultima volta che sono salito in groppa sono caduto; fortissimo dolore alla lingua; sapore dolciastro del sangue; frustarlo troppo è male; attenzione se tira indietro le orecchie; paura; a volte morde…
È bastato un vocabolo per aprire a catena una serie di archivi, collegati fra loro all’infinito, come se ‘cavallo’ fosse il bandolo di una matassa di associazioni che spaziano dalla coscienza e percezione di sé al carattere; dalla capacità di immedesimarsi negli altri – che chiamiamo ‘empatia’ – al codice morale, cioè il senso del bene e del male; dal piacere dell’arte alla capacità di riconoscere i visi e le emozioni altrui… Tutto lì, nel cervello, frutto dell’attività chimica delle sue cellule.
“John von Neumann, uno dei maggiori teorici dell’informazione e padre del computer, ha stimato che, in media, i ricordi memorizzati durante un’intera vita umana dovrebbero ammontare a 2,8 elevato a 1020 unità elementari di informazione memorizzate (bit), pari a 20 miliardi di miliardi di bit, 280 Gigabit”, afferma Alberto Oliverio, docente di psicobiologia all’Università ‘La Sapienza’ di Roma. In un personal computer di ultima generazione, la memoria di massa, cioè quella in cui l’informazione permane una volta scritta, può contenere da 2 a 400 Gigabit. La sola memoria visiva di un cervello umano è in grado di percepire 50 miliardi di bit in un secondo, come dire un ‘ingombro’ di 3 milioni di pagine dattiloscritte.
Come fa il cervello, col suo ‘miserello’ chilo e mezzo di peso a svolgere questo lavoro estremamente sofisticato? Grazie all’attività coordinata di cento miliardi di neuroni superspecializzati, pari al numero di stelle visibili dalla Terra, affiancati da trilioni (mille miliardi) di cellule di supporto, la glia. Ogni neurone può sviluppare circa 10 mila connessioni con altre cellule vicine, e questo significa 10 alla 32esima combinazioni possibili. Grazie a queste connessioni, ogni cellula è ‘in rete’ con tutte le altre cellule del sistema nervoso centrale.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:22
I fotogrammi della coscienza

“La coscienza è un esempio di questa complessità”, hanno scritto il premio Nobel Gerald Edelman e Giulio Tononi, neuroscienziati all’Università della California a San Diego, che proseguono: “Essa è in grado di scegliere in una frazione di secondo su quale situazione o scena concentrare l’attenzione dell’individuo fra miliardi e miliardi di situazioni e scene che i sensi percepiscono o il cervello genera al suo interno”. Per tentare di immaginare in cosa consista basta pensare a un regista dietro alla macchina da presa. La coscienza diventa allora una sequenza di fotogrammi con una colonna sonora, ma diversamente dal film è arricchita da emozioni, profumi, sensazioni tattili e viscerali. In mezzo qualche spezzone in replay, di puntate precedenti ripescate dalla memoria. O scene girate nel futuro, immaginando cosa potrebbe succedere dopo. Lo spettatore è anche regista: decide cosa sta in primo piano e cosa sullo sfondo e quanto durano le scene di questo film a puntate che inizia all’alba e sfuma nel sonno.
Un tipo di coscienza è la consapevolezza della propria esistenza come individuo. Gli animali non ce l’hanno. L’uomo sì. “Il cane non ha coscienza di sé”, dice Gordon Gallup, psicologo della State University di New York. “Davanti allo specchio abbaia al suo riflesso, lo annusa, poi lo ignora e non capirà mai che è il riflesso di se stesso”. L’autoriconoscimento, che rivela il senso di sé, nasca partire da 18-24 mesi di vita, quando la corteccia prefrontale, quella parte di cervello situata sopra gli occhi, inizia a maturare. “Prima i bambini guardano il loro riflesso come fosse un coetaneo, come gli animali”, continua Gallup. È l’autocoscienza che fa vivere come propria l’emozione, il dolore, l’esperienza, il film della giornata.
Ma il mondo che registra la nostra macchina da presa non è quello reale. Anche questo è un prodotto dell’interpretazione della realtà fatta dal cervello. La realtà infatti non ha colori, né suoni. “I colori non esistono, se non per noi. Il mondo visto da un’ape è diverso dal mondo che vede l’uomo”, afferma Giorgio Celli, entomologo dell’Università di Bologna. “L’uomo vede il rosso, ma non l’ultravioletto: per lui l’erba è verde e il fiore della senape giallo”. L’ape non vede il rosso, ma è sensibile all’ultravioletto così vede l’erba grigia e il fiore di senape porpora”. I colori sono la traduzione che il nostro cervello fa di informazioni che giungono alla retina dell’occhio. I suoni sono l’interpretazione delle vibrazioni dell’aria. Così a loro volta il tatto, il dolore, le emozioni, l’amore, la rabbia: tutti costrutti artificiali del cervello, tutti prodotti del lavoro delle nostre cellule cerebrali.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:23
L’annullamento della morale

Nella corteccia prefrontale c’è anche un’area della morale. Antonio Damasio, neurologo dell’Università di Iowa City, ha studiato due giovani non consanguinei: 23 anni lui e 20 lei. Venivano entrambi da famiglie di media borghesia americana: villetta con giardino e barbecue, genitori dalla vita tranquilla, ligi alle regole, i fratelli ben inseriti. Loro no, erano due mascalzoni: bugiardi, ladri, indifferenti ai figli che hanno generato, litigiosi, fannulloni, incuranti della pulizia, privi di sensi di colpa e di rimorsi. Cosa avevano in comune? Una lesione nella corteccia prefrontale riportata per un incidente quando erano piccolissimi. Se quest’area viene danneggiata, l’apprendimento della morale, di cosa è bene e di cosa è male, diventa impossibile. Oggi le loro risposte ai test sono motivate esclusivamente dalla paura: la loro ‘maturazione morale’ è ferma alla prima infanzia, quando non si ruba la marmellata perché rubare è male, ma per timore della punizione da parte di chi rappresenta l’autorità. La coscienza morale sulla quale modelliamo il nostro comportamento ha una base biologica, come la vista, la fame, l’udito.
Per interpretare la realtà, il cervello prima la capta con i sensi, la scompone in tante tessere, inviando poi ogni tessera a gruppetti di cellule specializzate, i nuclei, disseminate nella corteccia. Le informazioni visive per esempio impressionano la retina, che contiene cellule nervose. Queste scompongono l’informazione e la inviano al talamo, nella parte più antica e interna del cervello, che ha una funzione di smistamento. Il talamo invia le informazioni, che diventeranno colori, ai nuclei che trattano i colori, le righe orizzontali e verticali ai nuclei che si occupano di queste; le figure in movimento a un altro nucleo specializzato. Tutto questo è solo l’inizio, perché il talamo smista così anche i suoni e i significati dei vocaboli, nonché le note musicali. Il cervello decodifica tante tracce sensoriali quante sono le sue porte d’ingresso: vista, udito, gusto, olfatto, tatto e poi i sensi interni, la percezione del dolore, del mondo delle emozioni, la fame.
Quanto tempo impiega in questo processo? Un baleno. Benjamin Libet, dell’Università della California a San Francisco, ha scoperto che il cervello impiega 500 millisecondi per elaborare la realtà in modo conscio, ma ne bastano 150 per l’individuazione sensoriale senza consapevolezza, cioè per vedere qualcosa e decidere che non è interessante né degna di nota, come il pedone che passa sul marciapiede mentre si è al voltante. Il processo di prendere coscienza consiste in un lievissimo, impercettibile ritardo tra quello che vediamo e sentiamo e quello che sappiamo di aver visto e sentito.
Le parti più importanti di questo film passano nella memoria. “Quella che chiamiamo memoria sono le connessioni fra le cellule nervose”, spiega Alberto Oliverio. “Una memoria appena registrata può coinvolgere migliaia di neuroni su tutta la corteccia. La voce di una persona appena conosciuta va nell’area del cervello con la quale si decodificano i suoni; il viso viene scomposto nei suoi vari aspetti e va nei 20-21 nuclei del cervello che trattano l’informazione del viso e relative espressioni; l’odore va con gli altri odori sentiti nella vita; la simpatia dove sono trattate le emozioni e così via”. Una rete di collegamenti incredibili per trattenere solo il ricordo di una persona della quale si sa ancora poco. Se poi questa memoria non viene più usata, lentamente i legami che si sono creati fra le cellule che collegano quel profumo con quel viso, quelle espressioni e quella voce si indeboliscono e si sciolgono, e il ricordo svanisce. Ma se viene ripetutamente attivato, queste connessioni diventano più strette e il ricordo si fa indelebile.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:24
Un centro di smistamento

Normalmente la decisione di cosa mettere in magazzino e cosa eliminare non è una decisione cosciente. Viene gestita dall’ippocampo, una piccola struttura annidata in profondità al centro del cervello vicino al talamo, e come questo un relais di smistamento. H.M. era un operaio del Connecticut, studiato 50 anni fa da Brenda Milner, docente all’Università di Boston. A 16 anni soffriva di gravi e numerose crisi epilettiche al punto da chiedere aiuto ai neurochirurghi che intervennero togliendogli gran parte dell’ippocampo. L’intervento ridusse le crisi epilettiche a due all’anno, ma H.M. perse la capacità di formare nuovi ricordi. Ogni giorno, da 40 anni, saluta Brenda Milner come se fosse la prima volta, non ha fatto nuove amicizie né ricorda cosa ha mangiato a colazione. Grazie a H. M. i ricercatori hanno capito a cosa serve l’ippocampo. Le cellule nervose della neocorteccia, la parte più recente in senso evolutivo e più superficiale del cervello, ricevono le informazioni dagli organi di senso e le conferiscono all’ippocampo; se questo dà la sua approvazione, i neuroni sensoriali iniziano a formare una rete durevole di collegamenti. Senza il consenso dell’ippocampo l’informazione viene buttata nel cestino dato che non si creano i collegamenti fra i neuroni. Il verdetto dell’ippocampo dipende da due requisiti. Innanzitutto l’esistenza di strette correlazioni fra l’informazione in arrivo e quelle immagazzinate in passato. L’ippocampo infatti gestisce il magazzino grazie alle associazioni che crea. Quindi se c’è molto circuito neuronale dedicato all’itticoltura, è probabile che anche il nome di un ignoto sottosegretario al ministero della caccia e della pesca ottenga l’okay dell’ippocampo, e allora quel nome verrà collegato al file già presente. Il secondo requisito che può conquistare ‘approvazione dell’ippocampo è il ‘peso emotivo’ dell’informazione entrante. Di norma l’ippocampo dà via libera più facilmente al nome di un potenziale amante rispetto a quello del nuovo sottosegretario al ministero della caccia e della pesca. Perché, piaccia o no, l’ippocampo cura i suoi particolari interessi di bottega, ed è sicuramente più sensibile agli aspetti sensazionali della vita che non a quelli filosofici o di matematica pura.

Tratto dall’articolo:
*Amelia Beltramini, La chimica dei sensi, in "Mercedes" 4/2004. Per "Focus".
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