LA MISURA DELL'ALTRO ( Freud e Lacan)

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sonardj
00mercoledì 21 novembre 2007 23:40
LA MISURA DELL'ALTRO (Arg: Freud e Lacan)


Freud e poi…
E' ormai molto tempo, non e' piu' un segreto per nessuno, che ci troviamo a svolgere la nostra professione di psicologi all'interno di un clima generale particolarmente attento a questioni quali la valutazione oggettiva del soggetto, l'esame oggettivo diagnostico, la normativizzazione del rapporto terapeutico, la stima dell'efficacia dell'intervento.

A mio avviso queste sono tutte parole curiose, e rimangono unicamente tali dal momento che non vi e' alla base un approccio epistemologico serio che sia in grado di fornire il posto che molti pretendono spetti loro nell'universo della riflessione sul mondo psichico di un soggetto.

Quello che voglio dire e' che la spinta compulsiva alla misurazione, nonche' la pretesa quasi maniacale del possesso del "dato oggettivo", si e' ormai imposta operando una riduzione di criticismo sulle intelligenze dei professionisti che sfoggiano fieramente modelli statistici e quantitativi in grado di incasellare, categorizzare, controllare l'individuo che hanno di fronte, come se la questione della sofferenza psichica vertesse intorno ad un vuoto di sapere colmabile dalle informazioni strutturalmente in eccesso che provengono dall'Altro terapeutico, ovvero lo psicologo, il terapeuta o chiunque si prenda carico della persona che fa domanda di aiuto a causa di una sofferenza concernete il proprio essere-nel-mondo.

Sia ben inteso che non pretendo ora buttarmi a capofitto in dissertazioni di ordine filosofico potenzialmente inconcludenti e lontani dai risvolti pratici della questione di come si cura un soggetto.
Piu' semplicemente ritengo che con il tempo si siano sgretolate le fondamenta che sorreggevano il senso profondo di quella impresa storica compiuta da un uomo che aveva di mira la cura delle "malattie di nervi"; mi riferisco ovviamente a Freud ed al suo lavoro, da cui, per quanto se ne possa dire, discendono tutte le successive teorizzazioni, psicoanalitiche e non, concernenti la possibilita' di operare quella talking cure che e' l'unica specificita' che ci appartiene nel nostro lavoro clinico.
Anche la psichiatria, che ha preferito -molto saggiamente- abbandonare rigorismi concettuali dallo scarso interesse clinico, nonche' umano, cerca oggi una riconciliazione con la psicoanalisi e il suo sapere; mi riferisco agli approcci di psichiatria psicodinamica patrocinati per lo piu' dai colleghi d'oltre oceano.

Insomma, lasciando da parte le sacche di resistenza della psichiatria pura, rigidamente orientata dalle ipotesi biologiche -parlo di sacche proprio perche' non si tratta piu' della psichiatria che va per la maggiore- oggi tutti gli approcci si rifanno piu' o meno tacitamente e piu' o meno indirettamente alla psicoanalisi ed alle sue teorizzazioni, e, quindi, in ultima analisi a quella che fu la scoperta dell'inconscio per come e' stata intesa da colui che ne ha postulato le basi e le metodologie.

L'insegnamento di Jacques Lacan, orientato ad un vero e proprio "ritorno a Freud", ci suggerisce che il prodotto storico che ci tocca acquistare oggi ha come primum movens una certa incapacita' di confrontarsi proprio con il testo di Freud, fino ad accettare e a promuovere -pur servendosi a modo proprio del sapere psicoanalitico- presupposti che ne minano la stessa sensatezza e ne diminuiscono l'impatto esplicativo.
Cercheremo di comprendere cosa sfugge al discorso scientifico contemporaneo orientato alla cura della sofferenza psichica, quali aspetti vanno irrimediabilmente incontro, per usare l'espressione di Lacan, ad una vera e propria verwerfung, forclusione, preclusione.


Il discorso della scienza, il discorso orientato al sapere, al sapere assoluto, come vedremo meglio in seguito, si pone l'obiettivo di svelare la quota razionale insita nel reale, ricoprire con il velo significante, il velo della causalita', l'ambito proprio della casualita', facendo sloggiare tuttavia dal suo posto quella che Lacan chiama "la Cosa" -di cui tratteremo meglio in seguito- ovvero cio' che per definizione e' destinato a restare al di fuori del discorso dell'Altro e non puo' essere assimilato al sapere, ma piuttosto lo fonda come origine del linguaggio e della possibilita' della conoscenza.
Il discorso scientifico, con le sue pretese di normativita' rischia costantemente di articolarsi al di fuori di ogni limite imposto dal reale, perseguendo le proprie leggi in maniera incontrollata, riponendo in tal modo in un cassetto dimenticato la questione dell'etica.
Di questo non ci dobbiamo stupire.
La psicoanalisi ci insegna che e' proprio in relazione a cio' che resta al di fuori del sapere come veicolo di controllo dell'Altro sul soggetto che si struttura la dimensione etica dell'individuo, in quello spazio non normato dalle leggi causative dell'Altro.

"L'esperienza lo dimostra - una forma di analisi che ostenti uno stile spiccatamente scientifico finisce in nozioni normative di cui mi piace talvolta parlare rievocando le maledizioni di san Matteo su coloro che fanno i fardelli piu' pesanti per farli portare sulle spalle agli altri.
Il rafforzare le categorie della normativita' affettiva ha degli effetti che possono essere inquietanti" (1)

Qualora ci poniamo l'intento di curare la sofferenza soggettiva attraverso quello strumento prezioso ed effimero che e' la parola, la domanda centrale - e, ben inteso, porre una domanda significa anche tollerare la possibilita' che di risposte vere e proprie potrebbero non esserci, o che comunque potrebbero non essere immediate e facilmente comprensibili- e' una domanda che potrebbe essere formulata in questi termini: che cos'e' un soggetto?
E siccome il soggetto non e' una cosa, sarebbe piu' opportuno chiedersi Chi e' il soggetto?
Chi e' il soggetto dell'enunciazione, colui che parla davvero?
Proviamo a chiederci dov'e' il soggetto nel discorso di Freud; cerchero' di utilizzare il prezioso contributo di Jacques Lacan per discutere di tale questione; Lacan - proprio in quanto ha operato quel ritorno a Freud che ha il sapore di un continuo confronto con l'esperienza del fondatore di una disciplina di cui si utilizzano correntemente i termini e che si pretende di saper maneggiare…Si prega di maneggiare con cura!
Reale ≠ razionale
Non c'e' dubbio che la psicoanalisi in quanto scienza, piu' o meno esatta la si voglia considerare, ha come perno concettuale l'inconscio, l'inconscio in quanto parla, comunica, dice la sua opinione sulla faccenda, opinione misconosciuta dall'individuo, il quale paga con il sintomo il prezzo di tale misconoscimento.
Se l'inconscio freudiano parla, ça parle direbbe Lacan, e' perche' ha qualcosa da dire, e questo qualcosa si colloca a livello del non sapere: l'individuo parlante non sa cosa dice.

Ed ecco che ci troviamo gia' catapultati nella questione chiave del problema: sapere o non sapere?
Il discorso scientifico contemporaneo pretende di porre un sapere laddove presume che questo non ci sia ancora, di installare, per utilizzare una metafora informatica, un software funzionante in un hardware logorato.

Facciamo un passo indietro; cosa ci dice Freud?
L'individuo non sa, non conosce, ma che cosa?
Non conosce il proprio desiderio, che, in quanto tale e' per forza di cose inconscio, e c'e' una ragione per cui tende a restare tale, ragione che ha intimamente a che fare con la vivibilita' della vita, con la possibilita', parlando in termini energetici come ha fatto Freud, di far funzionare correttamente il principio di piacere, ovvero il principio che governerebbe l'insieme degli apparati omeostatici dell'organismo.

Piu' volte Freud si e' soffermato sul problema energetico, dapprima contrapponendo principio di piacere e principio di realta', e, nelle ultime fasi della sua riflessione, una volta introdotta la nozione di pulsione di morte, ponendo da un lato Eros -in cui principio di piacere e di realta' collaborano- e dall'altro Thanatos.

E' proprio intorno a questo Thanatos, che Lacan ci dice essere il boccone difficile da mandar giu' della teoria freudiana, che verte tutto il problema; e Freud ce lo spiega molto bene parlando del Disagio della civilta'.

In quest'opera Freud si rassegna all'idea che la felicita' sia estranea all'essere parlante, che per quanto le esigenze del super-io vengano soddisfatte, perdurera' un malessere nell'individuo dovuto proprio all'insaziabilita' dello stesso super-io, situando il problema del masochismo morale nel campo del soddisfacimento della pulsione.
L'essere umano rinunciando gode, soddisfa la pulsione, e per cio' il senso di colpa si fa sentire sempre piu' a gran voce.
Detto in altri termini, esiste qualcosa dell'ordine della pulsione che non si lascia integrare nel discorso dell'Altro, in quel discorso regolato dalle leggi del linguaggio e dello scambio simbolico che mira a rendere stabile e duraturo il patto sociale.

Lacan, sulla scia di Freud, ci ha insegnato che l'esperienza dell'analisi e' primariamente un'esperienza di significazione.
L'azione della parola sul corpo nella teoria di Freud testimonia di un potere del linguaggio sul sintomo in quanto luogo di soddisfazione della pulsione; il presupposto di tutta la teoria psicoanalitica e di ogni pratica terapeutica centrata sulla parola e' proprio questo: la parola, il significante incide sulla pulsione ed e' in grado di orientarla.
Il sapere, potremmo dire, il sapere che proviene dall'Altro, l'interpretazione dell'analista nella teoria classica della tecnica analitica, produce uno stravolgimento nelle rappresentazioni inconsce.
Ci troviamo di fronte al perno intorno a cui ruota anche la pratica terapeutica contemporanea: un sapere deve giungere dall'Altro per curare il soggetto.
Questo non sembra molto diverso da quanto esplicitato dallo stesso Freud, il quale promuoveva l'idea pressoche' radicale di un determinismo psichico inflessibile che orienta la struttura soggettiva fin dalle sue origini.

Tuttavia, il testo di Freud apre anche delle problematiche intorno alla possibilita' che il sapere dell'Altro possa pacificare il soggetto, che possa esistere una sintesi definitiva nei termini di una "realizzazione di se'", "armonia del rapporto tra il soggetto e l'altro", "riappropriazione del proprio mondo soggettivo"…. tutte espressioni che vanno per la maggiore oggi.


L'insegnamento di Lacan verte proprio su due modalita' differenti di intendere la cura analitica: la prima molto vicina alle pionieristiche teorizzazioni freudiane, mentre la seconda centrata sulle problematiche lasciate aperte da Freud intorno al concetto di pulsione in quanto pulsione di morte.


Abbiamo gia' detto che per Lacan -cosi' come per Freud- l'analisi e' primariamente un'esperienza di significazione:

"Il problema si pone dunque per lui [il soggetto] alla seconda potenza, sul piano dell'assunzione simbolica del proprio destino, nel registro della propria autobiografia"

"La questione del soggetto non e' per niente in relazione con cio' che puo' risultare da tal svezzamento, dall'abbandono o dalla mancanza vitale di amore o di affetto, ma concerne la sua storia in quanto egli la misconosce, ed e' cio' che suo malgrado esprime tutta la sua condotta quando cerca oscuramente di riconoscerla.
La sua vita e' orientata da una problematica che non e' quella del suo vissuto, ma quella del destino, e cioe' - che cosa significa la sua storia?"(2)

Siamo nei primi anni dell'insegnamento di Lacan, in cui egli intende la cura come un processo di ricostruzione soggettiva della propria storia in quanto misconosciuta.
Tutto ruota attorno a questo riconoscimento, a questo incontro mancato con la significazione della propria storia.
"Qual e' il mio destino?"
L'accento e' posto sull'ordine del simbolico in quanto veicolo di riconoscimento del senso della propria esistenza.

Soltanto successivamente Lacan, addentrandosi negli oscuri cunicoli dell'esplorazione finale di Freud intorno alla pulsione in quanto pulsione di morte, definira' diversamente il processo di cura come orientato all'assunzione di questa pulsione, di questo reale inassimilabile all'ordine del simbolico di cui Freud parla in merito al disagio della civilta'.
L'inconscio, dapprima inteso come "insistenza significativa" in attesa di riconoscimento, diventera' una "faglia", una discontinuita' impossibile da colmare, da logicizzare interamente attraverso il sapere, un buco e insieme il suo bordo, la sua bordatura, la sua circoscrivibilita'.
Lacan utilizzera' per parlare di cio' la metafora gia' utilizzata da Heidegger nel suo scritto Das Ding, La Cosa.

Ecco che, in questo senso, il compito dell'analista non sara' quello di suturare questa faglia, di richiuderla, nemmeno con la pretesa che una totale ri-significazione della propria storia sia sufficiente ad annullare questa divisione soggettiva, questa frattura strutturale, Spaltung, scissione soggettiva.


Gli approcci cosiddetti scientifici si ripropongono proprio questo obiettivo: far rientrare il soggetto all'interno di valori che ne costituirebbero i confini in termini di normalita', attivita' ed armonia nel rapporto con se' e con gli altri.
Eppure Freud e' il primo a dirci che l'essere parlante ha un problema tutto suo con la sfera della norma, della norma in quanto impone di cedere soddisfazione, godimento, per entrare nel circolo degli scambi sessuali.

"L'inconscio si era richiuso sul suo messaggio grazie ai buoni uffici di quegli attivi ortopedici che sono diventati gli analisti della seconda e della terza generazione, che si sono adoperati, psicologizzando la teoria analitica, a suturare questa faglia"(3)

Provo ad entrare un momento nel dettaglio.
Molti approcci a base psicoanalitica si fondano, come ci ha mostrato lucidamente Lacan, sull'idea di un'armonia cosiddetta genitale, come se tutta la teoria di Freud si potesse ridurre ad una cronologia stadiale dello sviluppo ontogenetico.
In Freud la genitalita' non e' garante di armonia; al contrario, e' proprio contro gli impulsi genitali che si dirige quella rimozione che arriva a definire il nucleo funzionale del complesso di Edipo.
Freud ne parla nell'aggiunta apportata ai Tre saggi sulla teoria sessuale: la libido genitale viene colpita dalla rimozione e cio' comporta uno smistamento libidico all'interno dei canali collaterali della pulsione stessa; sta parlando delle pulsioni parziali.
Freud in queste pagine, e lo fa in molte altre occasioni, sta affermando che la genitalita', che identificherebbe quello stadio di sviluppo psico-sessuale adulto che si pretende porti l'individuo verso la "normalizzazione", l'"adattamento" e quant'altro, non risolve il conflitto insanabile che esiste tra la pulsione e il campo dell'Altro sociale, dell'Altro simbolico della Legge.

Non c'e' equivalenza; permane un resto al di fuori del campo del linguaggio e del sapere dell'Altro; e questo resto ha a che fare proprio con qualcosa di inerente al desiderio inconscio, con la sua causa, con la pulsione che preme e ritorna costantemente ripetendosi come l'Identico che pretende soddisfazione, che pretende l'assimilazione all'Uno.
In fin dei conti permane del disagio legato all'esistenza dell'Altro, alla sua alterita' strutturale.

In contrasto alla formula cara all'idealismo hegeliano, non tutto il reale e' razionale.
Potremmo anche dirlo in questi termini: per quanto lo si cerchi, l'Ideale della cura non lo si trovera' mai -e grazie a Dio! - dal momento che non c'e', non e' reperibile nel campo del sapere dell'Altro.
Dove l'Altro lo fa credere tale, li' hanno inizio tutte quelle forme di dipendenza dal terapeuta che Jacques Alain Miller ha definito "autosuggestioni indotte", in cui piu' o meno implicitamente l'obiettivo della cura consistera' nella necessita' da parte del soggetto di identificarsi al proprio "salvatore", di assumere come proprio il suo sapere interiorizzandolo.
Siamo nel campo dell'alienazione soggettiva.

"Ecco che cosa bisogna ricordare al momento in cui l'analista si trova in posizione di risposta a chi gli chiede la felicita'.
La questione del Sommo Bene si pone ancestralmente per l'uomo, ma lui, l'analista, sa che tale questione e' una questione chiusa.
Non soltanto quel che egli gli chiede, il Sommo Bene, egli non l'ha di certo, ma sa che non c'e'.
Aver condotto a termine un'analisi altro non e' che aver incontrato tale limite su cui si pone tutta la problematica del desiderio"(4)

La scoperta di Freud ha senso solo se posta nel campo del simbolico che si stringe fino ad intravedere cio' che resta al di fuori della legge e del sapere, luogo che Lacan individuera' come lo spazio che la struttura ha destinato alla liberta' soggettiva e su cui puo' essere fondata un'etica della psicoanalisi.
sonardj
00mercoledì 21 novembre 2007 23:41
l Buco nella struttura
Nell'insegnamento di Lacan il padre e' quell'operatore di linguaggio che permette la trasformazione del reale in razionale, che rende possibile la simbolizzazione del mondo, che sostiene la domanda del soggetto in quanto orientata dal desiderio.
Lacan parla a tale proposito del padre come di una metafora, ovvero di quell'elemento linguistico in grado di arrestare lo scivolamento infinito della catena significante, dei simboli che costituiscono l'universo del linguaggio.
In altre parole, permette che un significante arresti la sua corsa agganciandosi percio' ad un significato riconoscibile.

Lacan Freud la Psicoanalisi ed i significanti

La metafora paterna funziona da relais tra il significante e il significato, permette una loro congiunzione, rendendo possibile in questo modo ogni comunicazione interumana.
La metafora paterna fa si' che l'inconscio venga strutturato come un linguaggio e che esso parli secondo le leggi della comunicabilita'.
Il padre e' altresi' quella funzione che permette di rispondere alla domanda che attanaglia l'esistenza del soggetto parlante: cosa vuole l'altro da me? Cosa vuole l'altro materno?
La risposta che il padre fornisce a tale proposito e': il fallo.
Tutta la teoria di Freud in merito al complesso edipico ruota intorno a questo; il fallo in quanto significante del desiderio materno.
Questo spiega perche' il fallo occupi quella posizione di preminenza all'interno del simbolismo inconscio che Freud ha constatato nella struttura psichica di entrambi i sessi; il fallo in quanto e' cio' che manca alla madre, cio' che ne rappresenta l'incompiutezza, la mancanza, e dunque il desiderio.

Occorre ora che facciamo un grosso passo in avanti all'interno dell'insegnamento di Lacan; precisamente fino alla svolta che mettera' in luce l'inconsistenza del padre e della sua funzione di operatore di simbolizzazione del mondo, convertitore simbolico in grado di trasformare il reale in razionale.
L'Altro, ci dice Lacan, e' barrato.
Il sapere dell'Altro non e' in grado di simbolizzare l'intero reale.
Nell'operazione compiuta dalla metafora paterna permane un resto non simbolizzabile, al di fuori del linguaggio inteso come principio di significazione e di comunicazione.

Nell' insegnamento di Lacan il soggetto, il soggetto dell'inconscio, svanisce catturato dalla catena significante; viene portato al largo, secondo la sua celebre formula "un significante rappresenta il soggetto per un altro significante".
A questo livello si pone l'afanisi del soggetto, la sua sparizione.
Potremmo anche dirlo in questi termini: non si verifica all'interno della catena significante un arresto di significazione che permetta di definire il soggetto, che continua a scivolare in maniera infinita.

E' l'azione del significante, del linguaggio, a cui fa supporto la funzione del Nome-del-Padre a permettere questa afanisi, a far si' che qualcosa venga allontanato dal campo del soggetto per essere posto nel campo dell'Altro, permettendo al soggetto di accedere al funzionamento del principio del piacere a di proteggersi dall'angoscia della vicinanza al reale, all'impossibilita' di rispondere autonomamente alla domanda: cosa vuole l'altro da me?
Il fallo e' proprio la risposta suggerita dal padre in quanto supporto del principio di significazione.
Il fallo, la mancanza reale dell'Altro assunta a simbolo, diventa il significante di cio' che manca all'Altro e quindi di cio' che l'Altro desidera. L'Altro desidera il fallo.
Il padre si pone come colui che ce l'ha e quindi permette al soggetto di reperire quelle coordinate necessarie per inserirsi nel mondo degli scambi sessuali regolamentati dalle leggi della civilta'.
E' su questo movimento di castrazione e di dono del titolo fallico che si incentra tutta la dinamica dell'Edipo per come l'ha intesa Lacan.

Tutto cio' fino a quando egli non intendera' l'Edipo come "sogno di Freud", definendone in tal modo il campo dell'al di la'.
Lacan ritornera' sulla questione ponendola in altri termini, a partire dalla inconsistenza strutturale dell'Altro: non esiste nell'Altro il significante in grado di dire il soggetto e il suo desiderio; il sapere dell'Altro non puo' strutturalmente chiudere la questione soggettiva con il proprio desiderio; questo proprio perche' anche l'Altro e' castrato, abitato dal desiderio e dalla mancanza.
L'articolazione fallica, che era diventata l'unico strumento per permettere l'entrata del soggetto nella catena significante offrendogli la possibilita' di rendere operativa la comunicazione con l'Altro, di rispondere alla sua domanda, non e' piu' sufficiente a placare il campo della pulsione in quanto spinta all'Identico, al silenzio e alla morte, secondo le descrizioni fornite dallo stesso Freud nel suo Al di la' del principio di piacere.

La pulsione ritorna e non domanda piu' nulla all'Altro, semplicemente si soddisfa in un pezzo del corpo del soggetto.
Siamo entrati nel campo del reale, del non-senso, di cio' che sfugge alle leggi simboliche del riconoscimento e del rapporto con l'Altro in quanto polo dialettico e attrattore del desiderio soggettivo.

Se e' vero che il razionale fallico suggerito dal Nome-del-Padre erode il reale, lo "mangia", lo scava, e' altrettanto vero che non riesce a ingoiarlo del tutto e un boccone gli va di traverso.
Del reale il soggetto diviso fa esperienza nella forma del "torsolo", del "lembo", ci dice Lacan, dello scarto del simbolico, di quello scarto che e' il residuo energetico, la scoria tossica prodotta dal funzionamento della macchina significante produttrice di senso.
Attorno a questo torsolo il pensiero ricama, senza mai riuscire a reintrodurlo nel sapere, dal momento che il reale forclude il senso, non si ricollega a niente.

Il reale e' precisamente un buco dal punto di vista del simbolico, il buco dove manca precisamente l'Altro dell'Altro, il padre simbolico razionale che garantisce per intero l'ordine del mondo, del reale, e Lacan nel seminario dedicato a Joyce e alla sua opera ce ne parla in questi termini:

"Il fuoco e' il reale.
Il reale da' fuoco a tutto.
Ma e' un fuoco freddo. Il fuoco che brucia e' una maschera, se posso cosi' dire, del reale.
Il reale va cercato dall'altro lato, dal lato dello zero assoluto.
Ci si e' comunque arrivati.
Non c'e' limite a cio' che si puo' immaginare come alta temperatura.
Per il momento non c'e' un limite immaginabile.
La sola cosa che ci sia di reale e' il limite in basso…
L'orientamento del reale, nel mio insegnamento, forclude il senso"(5)

In questi termini il soggetto dell'inconscio portatore del desiderio trova la sua causa precisamente in quel buco di significazione che esiste nel sapere dell'Altro.

Il soggetto emerge da un buco nel sapere.
sonardj
00mercoledì 21 novembre 2007 23:41
La scienza, il sapere e il campo della Cosa
Della risposta che fornisce il discorso contemporaneo del sapere, il discorso della scienza, Lacan scrive nel suo seminario dedicato all'etica della psicoanalisi, affermando che:

"Il discorso della scienza rigetta la presenza della Cosa, per il fatto che, nella sua prospettiva, si profila l'ideale del sapere assoluto, e cioe' qualcosa che pone ugualmente la Cosa, ma senza renderne conto.
Ciascuno sa che una tale prospettiva si rivela in fin dei conti nella storia rappresentare un fallimento.
Il discorso della scienza e' determinato da questa Verwerfung, e probabilmente per questo - quel che e' rigettato dal simbolico riapparendo secondo la mia formula, nel reale - si trova a sfociare su una prospettiva in cui, al limite della fisica, si profila appunto qualcosa di altrettanto enigmatico della Cosa"(6)

Che cosa ci sta dicendo Lacan in questo passo in cui discorre di come l'arte, la religione e la scienza si rapportino a cio' che chiama la Cosa?
Si potrebbe affermare che tutto l'insegnamento di Jacques Lacan "gira intorno" a questo, alla Cosa propriamente detta, a cio' che resta per definizione al di fuori del sapere, del campo del linguaggio.
Uno dei riferimenti che Lacan ci da per intendere la Cosa e' il saggio di Heidegger "Das Ding".
Heidegger approccia la questione della Cosa accostandosi ad essa a partire dalla metafora del vaso.
Il lavoro dell'artigiano e' teso a ritagliare un confine, creando ex nihilo uno spazio in quanto vuoto e potenzialmente pieno allo stesso tempo, dividendo il dentro dal fuori, mettendo in comunicazione l'interno con l'esterno; e cio' che fa non e' nient'altro che ritagliare un limite, un confine, un lembo di spazio.

Nella teoria di Lacan il linguaggio opera allo stesso modo: ritaglia un confine intorno al vuoto, al reale della Cosa, della Cosa Materna, del Sommo Bene per porre un argine alla spinta mortifera del godimento della Cosa.
Lacan lo spiega in questi termini:

"Il desiderio per la madre non puo' essere soddisfatto perche' sarebbe la fine, il termine, l'abolizione di tutto l'universo della domanda, che e' quel che struttura piu' profondamente l'inconscio dell'uomo.
E proprio in quanto la funzione del principio di piacere e' di far si che l'uomo cerchi sempre cio' che deve ritrovare ma che non puo' certo raggiungere, che l'essenziale sta proprio qui, in questa molla, in questo rapporto che si chiama la legge dell'interdizione dell'incesto"(7)

Quando Lacan ci dice che l'analista non solo non possiede il Sommo Bene, ma addirittura sa che non esiste, si riferisce proprio alla Cosa e al fatto che essa e' perduta da sempre e il soggetto non puo' far a meno di ricercarla e, attraverso la pulsione, di ritrovarla in qualche modo.
Essere consapevoli che il Sommo Bene non esiste significa proprio aver rinunciato alla pretesa di colmare con il sapere il buco forclusivo del reale, il vuoto lasciato dall'Altro che non esiste; si tratta di fare propria la mancanza e accettare il fallimento paterno, il paterno come fallimento, uscire dal discorso dell'Altro in cui siamo entrati a far parte come punto di collegamento intergenerazionale e fare i conti con la mancanza strutturale dell'Altro che abbiamo colmato con il nostro sintomo.
Fare propria quella realta' per cui, ci dice Lacan, "il rapporto sessuale non esiste", nel senso che per l'essere parlante, per il "parlessere" non e' possibile fare Uno con l'Altro, nemmeno attraverso la legge del padre che garantisce le norme dello scambio sessuale civile, nemmeno, dunque, attraverso la pretesa del sapere assoluto che mira a ricoprire il buco della Cosa.
Per questa ragione l'obiettivo di ogni talking cure non puo' essere il ricorso ad un Ideale, qualsivoglia esso sia, cui far tendere il soggetto, una pretesa normalizzazione o armonizzazione in grado di promettere la felicita' e il buon rapporto con l'Altro.
La psicoanalisi insegna che il rapporto con l'Altro e' problematico in quanto tale, e lo diventa ancor piu' quando questa problematicita' viene misconosciuta, quando si nasconde sotto il velo della gratuita' dell'amore e della pretesa di fare il "bene dell'altro" il lato oscuro dell'amore stesso, sentimento di cui Freud parlava come di un'impulso cannibalico, assimilativo, distruttivo, teso ad eliminare l'Altro nella propria irriducibile alterita'.
L'odio diventa percio' l'altra faccia dell'amore, dell'amore preteso e impossibile, dell'amore che mira alla ristrutturazione dell'Identico, dell'Uno, sintesi tra il soggetto e l'Altro.

La caduta dell'Ideale di una presa totale sul reale, di un'armonizzazione definitiva, ideale universalizzante che oggi si presenta con la veste del sapere assoluto sul soggetto, diventa prerequisito necessario di chi intende portare avanti la cura dalla parte del "soggetto-supposto-sapere", espressione che Lacan utilizza per designare l'analista come colui che e' ritenuto dal soggetto in grado di spiegare, di risolvere con la sua conoscenza la sofferenza che lo attanaglia, ma che in realta' non sa un bel niente, se non precisamente questo: che esiste qualcosa dell'ordine del non sapere; ed e' con questa Cosa che bisogna fare i conti, con questo buco strutturale che condanna il soggetto ad essere tragicamente libero dal sapere dell'Altro, dal discorso dell'Altro.
Solo in questo modo e' possibile restituire al soggetto la possibilita' di una piena assunzione di responsabilita' in merito al proprio destino, resa possibile proprio dal fatto che non tutto appartiene all'Altro, che il linguaggio e' bucato, riportando cosi' il soggetto al luogo interno abitato dalla propria pulsione in quanto causa del desiderio.

"Gia' ad un primo approccio e' possibile dire che la ricerca di una via, di una verita', non e' assente dalla nostra esperienza.
Infatti, cos'altro cerchiamo nell'analisi, se non una verita' liberatrice?
Ma attenzione, non e' il caso di fidarsi delle parole e delle etichette.
La verita' che cerchiamo in un'esperienza concreta non e' quella d'una legge superiore.
Se la verita' che cerchiamo e' una verita' liberatrice, e' una verita' che andiamo a cercare in un recesso del nostro soggetto.
E' una verita' particolare…
Il Wunsch [desiderio] non ha il carattere di una legge universale, ma al contrario della legge piu' particolare - anche se e' universale che questa particolarita' la si incontri negli esseri umani".(8)



NOTE E BIBLIOGRAFIA:

(1) J. Lacan, Seminario VII, pag.170.
(2) J. Lacan, Seminario II, pag.51.
(3) J. Lacan, Seminario XI, pag.24.
(4) J. Lacan, Seminario VII, pag.376.
(5) J. Lacan, Seminario XXIII, pag.117
(6) J. Lacan, Seminario VII, pag.167.
(7) J. Lacan, Seminario VII, pag.84.
(8) J. Lacan, Seminario VII, pag.29.


S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, in Opere, Vol. 4, Bollati Boringhieri
S. Freud, Al di la' del principio di piacere, in Opere, Vol. 8, Bollati Borignhieri
S. Freud, Il disagio della civilta', in Opere, Vol. 8, Bollati Boringhieri

J. Lacan, Il Seminario. Libro II. L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi
J. Lacan, Il Seminario. Libro V, Le formazioni dell'inconscio, Einaudi.
J. Lacan, Il Seminario. Libro VII, L'etica della psicoanalisi, Einaudi.
J. Lacan, Il Seminario. Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi.
J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi.
J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII, Il sinthomo, Astrolabio.
J. Lacan, La significazione del fallo, in Scritti, Einaudi.

J. A. Miller, Pezzi staccati, Astrolabio.

M. Heidegger, Das Ding, in Saggi e discorsi, Mursia.
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