L'uomo, il simbolo, l'architettura

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sonardj
00martedì 18 marzo 2008 04:14


di D. Del B.

Premessa

Considerazioni sull'architettura

Considerazioni sul simbolo

Considerazioni sull'uomo



Uomo, simbolo, architettura: un trinomio non casuale nel quale i tre termini sono tra loro legati da connessioni solidissime e necessarie. Senza l'uomo non vi sarebbe né il simbolo, né l'architettura che è una certa specie di simbolo. Senza il simbolo non vi sarebbe architettura né potremmo parlare di uomo, anzi non parleremmo affatto.

Questi tre punti potrebbero costituire i vertici di un triangolo: l'uomo, il simbolo e l'architettura, sul quale valgono alcune considerazioni:

I tre termini sono strettamente connessi tra loro non solo per motivi ideali, ma anche per rapporti esistenziali. Nessuno di essi è interamente comprensibile senza gli altri due.

Ognuno di essi influenza gli altri due e ne è a sua volta influenzato.

Sul triangolo formato dal tre termini si innesta un fenomeno sinergico, capace e di moltiplicare la forza dei messaggi espressi singolarmente da ciascun termine e, insieme, di accentuare le emozioni che i predetti messaggi sono in grado di suscitare.

Tali messaggi e tali emozioni, sorti in tempi e luoghi storicamente determinati sebbene frutti legittimi di culture diverse, si distaccano dal tempo e dallo spazio elevandosi a valori ed a significati universali.

I tre termini proiettano cioè i loro messaggi fuori della storia quasi ad indicare il momento ultimo dell'evoluzione, la "finalità", il ''destino dell'esistenza", lo "scopo" del peregrinare umano.

* L'uomo, produttore ed elaboratore d'idee, è l'essere che pensa se stesso. Egli trae dalla propria immaginazione e dalla propria fantasia le idee e i concetti che esprime a se stesso ed agli altri utilizzando un veicolo straordinario, il linguaggio. Egli utilizza il linguaggio prima ancora che per comunicare, per pensare, prima che per trasmettere, per creare e per organizzare il proprio pensiero. E dal proprio pensiero, che egli alimenta con le proprie sensazioni, le proprie emozioni e le proprie intuizioni, derivano tutte le sue opere e i suoi comportamenti.
* Il simbolo o, come amano dire i semiologi, quel "qualcosa che sta al posto di qualche altra cosa", una unità che si spacca in due parti e di nuovo si riunisce con ritmo alterno e senza soluzioni: il significante ed il significato, l'immagine che rappresenta il concetto ed il concetto che è rappresentato dall'immagine, il veicolo attraverso il quale si rappresenta l'idea e l'idea stessa.
* Un segno che esclude ogni arbitrarietà per ancorarsi all'universale di cui si alimenta.
* L'Architettura che soddisfa i bisogni materiali e spirituali dell'uomo.

Per questa sua seconda caratteristica, più che per la prima, essa è arte che trascende la materia e si spinge nelle regioni dello spirito, sorge dal particolare e si eleva verso l'universale. Perciò è simbolo dell'uomo e delle sue aspirazioni. Il suo tragitto è il tragitto dell'uomo, piega la materia inerte alle leggi dell'ordine, dà forma ed energia alle cose che non l'hanno, trasforma col progetto il caos in struttura, l'ammasso incoerente di cose in unità organiche. Per questo motivo essa rappresenta l'universale ed è anche il simbolo stesso dell'Universo, talché esprime, grazie all'opera dell'uomo che l'ha creata, l'idea cosmogonica della natura.



Considerazioni sull'Architettura



L'Architettura del fascismo è stata fortemente simbolica, monumentale. Così come lo è stata quella Romana, rappresentativa del potere politico di Roma. Basti pensare all'arco di trionfo, alle grandi opere pubbliche, anche quando queste vengono costruite nell'intento di offrire alla popolazione un servizio. Si vedano, ad esempio, gli acquedotti, le strade, le terme, i teatri e gli anfiteatri.

Come lo è stata l'Architettura religiosa, anch'essa rappresentativa di un potere, quello religioso.

Si ricordino le cattedrali, la cupola assunta, per le sue caratteristiche rappresentative e per le sue attitudini simboliche, a rappresentare oltreché il potere religioso, anche quello politico.

Come lo sono state nell'ottocento, le cattedrali della nuova società industriale, le stazioni ferroviarie, le fabbriche, la Torre Eiffel a Parigi, il Palazzo di Vetro a Londra.

Il dopoguerra porta la rivoluzione che fino allora aveva poco attecchito in Europa ed ancor meno in Italia:

* in America l'architettura scopre con Wright la Natura, diviene "organica", e dà luogo ad un fenomeno molto esteso;
* in Europa grazie a Gropius, a Neutra a Mies van den Rohe, a Terragni, a Pagano scopre la Raziona1ità, la Funzione, la Tecnologia.

Il Monumento viene abbattuto e al suo posto si sostituisce la Necessità, la Razionalità, la Funzionalità: il mondo moderno pone nuove esigenze e pretende che vengano risolte, un impegno che assorbe ogni altra energia.

L'architettura non perde, nonostante tutto, il suo contenuto simbolico. In questa lunga stagione, ancora presente, essa rappresenta i nuovi valori emersi in una società che ha perduto gran parte della sua spiritualità, della sua religiosità: le necessità dello spirito hanno ceduto il posto al nuovo mito che conquista rapidamente tutte le posizioni: trionfano il Benessere ed il Consumo.

La nuova interpretazione della vita si fa avanti con i propri simboli che soppiantano i vecchi:

* il supermercato, il centro commerciale, non fanno più da contorno, ma soppiantano la cattedrale;
* l'autostrada a sei corsie, i grandi caselli, i grandi svincoli a tre livelli sostituiscono la via tradizionale, la piazza, il luogo d'incontro; 1
* la televisione distrugge l'ultima possibilità di colloquio nella famiglia i cui membri, già tra loro lontani per destini giornalieri diversi, divengono definitivamente estranei l'uno all'altro.

Si può continuare per molto, ma sarebbe inutile.

I tempi sono maturi per un nuovo cambiamento.

Lo spirito ha perduto alcune battaglie, ma non la guerra. Vi è un risveglio generale, una generale reazione ad uno stato di cose insoddisfacente.

L'analisi fin troppo facile, è la seguente: il benessere, diffuso ovunque, sazia ben presto.

Si affaccia lo scontento, si scopre un senso diffuso di inutilità. Si cerca nella droga un universo artificiale: la realtà è troppo brutta, bisogna fuggire da essa e, perciò, ci si rifugia in un mondo popolato da fantasmi, alimentato da illusioni molto lontano da essa. Si cerca una realtà diversa, senza tenere conto che questa chiede un prezzo troppo alto da pagare, se presuppone la perdita dell'unico autentico bene che l'uomo possiede: 1a proptia coscienza.

Riemerge prepotentemente il bisogno di spiritualità. I fenomeni sono vistosi. La memoria dell'uomo, che è una memoria storica (ma forse non lo è del tutto), impone la propria legge.

I valori abbandonati troppo in fretta, tornano a proporre nuovamente i loro temi, avanzano con la suggestione persuasiva dei loro simboli.

Anche l'Architettura inizia una nuova ennesima rivoluzione.

La memoria della storia, la memoria dell'architettura, la memoria dell'uomo, riemergono e danno i nuovi suggerimenti, impongono i loro Diritti.

Sull'onda di un tentativo furbesco di restaurazione, nasce il post-modern.

Après-moi le deluge, sembrava aver detto il nuovo filone organico, razionalista, funzionalista. Nient'altro dopo di me.

E invece ecco riemergere dalle acque (naturalmente inquinate ... ) del diluvio di benessere che sembrava aver travolto l'umanità, un solido relitto, capace di riprendere la rotta perduta: la coscienza dell'uomo. E ecco che l'architettura tenta di riprendersi totalmente il proprio ruolo.

Dopo la grande festa, il grande carnevale, torna alla severità dei giorni del ripensamento: non vi è solo la materia, vi è anche lo spirito a reclamare i propri diritti.

Un nuovo equilibrio si impone.

Torna a proporsi, col fascino di una esperienza esaltante, un clima umano non nuovo, il clima dell'umanesimo. Forse si intravedono già nel mondo, i segni del nuovo umanesimo.

L'Architettura, non solo le cattedrali gotiche, ha sempre posseduto, come si è visto, un notevolissimo contenuto simbolico, ma l'architettura non è soltanto simbolo, è anche linguaggio. E che essa non fosse soltanto simbolo ma linguaggio, ne era convinto anche un grande romanziere dell'800, Victor Hugo che, ben oltre un secolo fa, molto tempo prima di Saussure, di Freud, di Iung e di Fromm, dedicò un intero capitolo del suo famoso romanzo "Notre Dame", ad illustrare la titanica lotta che si era combattuta nel secoli avanti tra la cattedrale e il "Torchio luminoso" di Gutemberg, tra l'architettura, il grande libro dell'Umanità, e la stampa, tra la parola di pietra e la parola stampata. In quel capitolo in cui fa una storia appassionata e vivissima dell'architettura e dell'umanità quale non è possibile trovare nei trattati specializzati più noti e celebrati, egli si sofferma sulla nascita del simbolo di pietra e svela come dal primo esplosivo bisogno dell'uomo di elevare la propria anima alle regioni dell'universale dando alla materia le ali dello spirito, si pervenga alla affermazione del linguaggio simbolico delle immagini e degli oggetti.

L'architettura, dunque, non è soltanto un simbolo. Essa è un linguaggio vero e proprio. Come tale possiede propri segni e li dispone secondo proprie regole, proprie leggi . Si badi bene, sto dicendo architettura, non edilizia, sebbene anche quest'ultima possegga proprie regole di natura tale per cui ogni trasgressione può causarne il dissesto. E architettura vuol dire "monumento", non in senso retorico si intende, ma nel senso di superamento di una finalità pratica per accedere a finalità di ordine spirituale. Con tali attribuzioni anche l'edilizia più umile può divenire architettura e la più semplice delle case può divenire monumento.

E, del resto, non è ciò che fanno i massoni quando, con la disposizione simbolica degli "oggetti"e con la disposizione interiore, trasformano un "luogo''qualunque in un "Tempio", un punto qualsiasi della crosta terrestre nel centro mistico del mondo nel quale si incontrano il cielo e la terra?

Il Tempio è certamente l'edificio che più di ogni altro possiede le caratteristiche connotative dell'Architettura quale monumento, quale opera che trascende se stessa e la propria natura, per divenire "simbolo" in cui il significante, ovvero il suo aspetto esteriore, si identifica col significato, ovvero con ciò che rappresenta. E in ogni tempo esso ha rappresentato l'aspirazione dell'Uomo all'ordine Universale, la testimonianza della sua partecipazione all'unità dello spazio e del cosmo. Il Tempio, con la forza evocatrice dei suoi simboli, ha sempre trasformato un luogo umano nell'immagine dell'universo, il microcosmo in macrocosmo, il particolare nell'universale, la visione profana del mondo materiale nell'immagine sacrale del mondo dello spiritico.

Il Tempio di Salomone rappresentava il cosmo: l'ordine terrestre, l'ordine planetario, il tempo, lo spazio, la realtà intelligibile, il pensiero dell'uomo, i suoi atteggiamenti, la sua consapevolezza del sacro e dell'umano.

Anche la casa, seppure non quella triste, anonima sequenza di stanze senza ordine né nobilità che viene oggi costruita nelle caserme borghesi dei nuovi quartieri periferici, può trascendere la propria natura di mero rifugio per la gente e trasformarsi in simbolo dell'ordine familiare a sua volta immagine dell'ordine naturale universale. Basta entrare in una di quelle vecchie case rurali, fortunatamente ancora in piedi nelle nostre campagne, per restare stupiti dai valori umani e simbolici che essa ancora possiede. Basta ripercorrere il tempo a ritroso di qualche decennio per vederla animata come una volta. Il grande ambiente centrale, nel quale la donna educava i figli e lavorava per accudire alle faccende domestiche, preparare i cibi, riparare gli abiti, ed in cui due volte al giorno come per compiere un rito, si riuniva la famiglia intorno alla tavola posta al centro di esso: i posti assegnati, a capotavola il più anziano tra tutti, attorno disposti secondo l'età, i figli, di fronte la moglie con accanto i più piccoli. Era il capo, il più anziano, che distribuiva i cibi a ciascuno dei commensali secondo l'ordine tradizionale, dopo averli invitati al raccoglimento. Era il capo che pretendeva da ognuno un comportamento disciplinato e rispettoso per sé, per tutti, soprattutto per quel luogo trasformato in un tempio familiare, nel centro simbolico del Mondo.

Continuando a guardare quella casa, la disposizione delle stanze e degli spazi per la famiglia, per gli animali, per gli attrezzi, per raccogliere e conservare il frumento, il foraggio, il vino, l'olio, per lavorare i frutti della terra, ci accorgiamo che vi è un filo sottile che lega ogni stanza, ogni ambiente, ogni spazio, con la terra che la fatica dei suoi abitanti rende feconda. Al centro di quella terra, la casa. Essa è davvero il centro del mondo, in un ordine umano che riproduce l'ordine divino, in un ordine terrestre che riproduce l'ordine planetario: la terra soggiogata dall'uomo riproduce il cielo col quale ha stipulato un patto sovrumano, un'alleanza segreta. In cambio dell'ubbidienza alle sue leggi, utilizza il sole, la pioggia, il vento, il tepore della primavera, il caldo dell'estate, le umide nubi dell'autunno, il gelo bianco dell'inverno.



Considerazioni sul "simbolo"



Il risveglio degli studi sul simbolo è stato notevolissimo in quest'ultimo secolo. Ci si è convinti dell'importanza di esso per scoprire, per penetrare, l'intima natura dell'uomo, la sua coscienza, la sua forza creativa.

Il simbolo, (l'immagine), si è presentato finalmente per quello che è:

* non solo strumento per comunicare messaggi, ma anche per suscitare emozioni,
* non solo strumento di comunicazione e di stimolo, ma anche e soprattutto strumento di meditazione, e, in quanto tale, modalità autonoma di ricerca e di conoscenza.

Il simbolo è stato esaminato partendo da diversi punti di vista:

* dal punto di vista linguistico (dai semiologi e dagli psicanalisti Freud, Jung e Fromm in testa),
* dal punto di vista semantico-scientifico (dagli antropologi in generale),
* dal punto di vista gnoseologico, religioso, spiritualista (dagli storici delle religioni e, in particolare, da Mircea Eliacle). "

Dal punto di vista linguistico, il linguaggio simbolico è retto da una logica diversa da quella convenzionale comune agli altri linguaggi, una logica in cui non il tempo e lo spazio sono le categorie dominanti, ma l'intensità e l'associazione. E forse l'unico linguaggio non creato dall'uomo, rimasto identico per ogni civiltà e nel corso della storia. Un linguaggio - come afferma Fromm -con una sua grammatica e una propria sintassi. Tutti i sogni sono scritti con lo stesso linguaggio, il linguaggio simbolico.

Dato che vi è una correlazione tra il simbolo e ciò che esso simbolizza, si possono distinguere almeno tre tipi di simboli: convenzionale, accidentale, universale.

Al primo tipo appartengono i nomi ed i segni cui si è convenuto di affidare la rappresentazione di un oggetto, di una persona, di un significato, come ad esempio un tavolo, un uomo, un cartello indicatore stradale.

La sua caratteristica fondamentale è che viene condiviso da tutti e non ha relazione alcuna con ciò che vuol significare, se non per-convenzione, ovvero perché si è voluto che fosse così.

Al secondo tipo, accidentale, appartengono i simboli che sono rappresentativi di situazioni o avvenimenti pregressi e che, per tale motivo, possono suscitare un ricordo e, con esso, le sensazioni che a quel ricordo si accompagnano. Ad esempio una frase musicale può ricordare ad una persona un momento felice. Suscita perciò sensazioni di gioia e diviene, per quella medesima persona, il simbolo di uno stato d'animo felice, gioioso.

La caratteristica principale di questo secondo tipo consiste nel fatto che il contenuto simbolico non è condivisibile da nessun'altra persona che non sia il soggetto.

Il terzo tipo di simbolo, quello universale, è legato all'esistenza di una relazione intima essenziale, tra il simbolo stesso e ciò che esso rappresenta. Ad esempio il fuoco può suscitare sensazioni di energia, forza, leggerezza, grazia, oppure può rappresentare inconsce tendenze distruttive.

Tali sensazioni e tale rappresentatività non sono legate né alle personali esperienze di un soggetto, né a convenzioni particolari. Il contenuto simbolico posseduto dal fuoco emerge da solo, grazie alle sue qualità intrinseche. Esso è comprensibile direttamente da chiunque, senza l'intermediazione dell'esperienza o del codice delle convenzioni.

E' abbastanza evidente che soltanto il terzo tipo di simboli appartiene a pieno titolo al linguaggio simbolico cui ho fatto riferimento all'inizio.

Quel linguaggio cioè che, come è stato premesso, è retto da una logica diversa da quella convenzionale, fuori del tempo e dello spazio, unicamente legato all'intensità delle sensazioni ed all'associazione esistente tra immagine e sensazione.

Esaminando ora il punto di vista spiritualista, è obbligatorio riferirsi alle riflessioni di Eliade. Egli annota come vi sia stata una evoluzione sensibile negli atteggiamenti del pensiero moderno nel confronti della scienza e dello spirito religioso. I nuovi atteggiamenti possono essere cosi riassunti:

* superamento dello scientismo, in filosofia,
* rinascita dello Spirito religioso,
* reazione contro il razionalismo, il positivismo e lo scientismo del XIX secolo,
* conversione ai simboli ed individuazione del simbolo come modalità autonoma di conoscenza e, quindi,
* riconoscimento del simbolo nella sua funzione di strumento conoscitivo.

Va a questo punto annotato che per Ellade l'uomo ha due componenti, una storica ed un'altra esistente prima della storia e perciò non storica.

La parte astorica non affonda le proprie radici nel regno animale, ovvero nella vita, (come afferma, ad esempio Freud), ma si innalza al disopra di essa. La parte astorica dell'uomo non lo fa regredire allo stadio animale per ridiscendere alle fonti della vita organica, ma lo trasferisce ad uno stadio paradisiaco dell'uomo primordiale.

Si direbbe che la parte astorica dell'uomo, che pure è in qualche misura influenzata dalla storia (ovvero dalla cultura, dalla esperienza e così via), proietti l'animo umano verso un futuro di perfezione piuttosto che farlo precipitare nel recessi indistinti e confusi della sua originaria animalità. Essa si pone perciò come aspirazione tendente a svincolarsi dal contingente (e quindi dalla storia) per puntare decisamente verso l'assoluto (il bene assoluto).

E siccome Ellade pone la parte astorica dell'uomo come una presenza ancestrale, innata, quindi non sorta successivamente e fondata sulla storia, il richiamo che ne deriva è un'adesione al finalismo nella evoluzione.

L'uomo è destinato alla perfezione, si evolve verso la perfezione. Si potrebbe dire, parafrasando il linguaggio informatico, che egli è programmato - orientato - verso la perfezione. I simboli, le immagini, i miti, sono strumenti dai quali ricava gli impulsi per procedere, per orientarsi nel proprio cammino evolutivo.

Si rende utile a questo punto una riflessione che ci interessa da vicino. Essa riguarda il cosiddetto simbolismo del Centro. Ci facciamo ovviamente aiutare e, anche questa volta, da Mircea Ellade.

Quando ci riuniamo e diamo inizio al nostri Lavori compiamo un RITO che ci vede disposti secondo un ordine prestabilito, ognuno col proprio compito. In quel luogo di riunione e in quel momento, abbiamo innalzato un Tempio ed abbiamo "creato" uno spazio "sacro" posto al Centro del Mondo.

Così come facevano le civiltà arcaiche tradizionali, che concepivano il mondo circostante in guisa di un "micro cosmo" oltre il quale vi è l'ignoto, il non formato: da un lato vi è lo spazio abitato, organizzato; dall'altro, all'esterno di questo, si estende la regione sconosciuta dei demoni, dei morti, degli stranieri, ovvero il caos, la morte, la notte.

Tale visione dello spazio e del mondo, esprime il mito del Centro, cui corrisponde il simbolismo del Centro. Essa è sopravissuta in società evolute come la Cina, la Mesopotamia, l'Egitto.

Il Rito cui si dà vita in occasione delle riunioni di Loggia, ripete il simbolismo del Centro, così come lo praticavano le società arcaiche.

In tempi più recenti il simbolismo del Centro ripercorre le stesse strade e riemerge più frequentemente e più diffusamente di quanto non si ritenga.

Un esempio per tutti. Se prendiamo un libro di Buzzati, Il deserto dei Tartari, forse il suo capolavoro, notiamo che la fortezza Bastiani, per Giovanni Drogo e per gli altri uomini della guarnigione, ripete il simbolismo del Centro.

Essa rappresenta il luogo della loro attività, della loro speranza, del loro impegno. Intorno ad essa il deserto, l'ignoto. Dalle plaghe desolate del deserto si intravedono ombre e si attendono i Tartari, nemici altrettanto ignoti e terribili contro cui ciascuno dei compagni di Giovanni Drogo,è impaziente di battersi.

E il desiderio di un giorno di gloria per il quale si giustifica un'attesa che può durare tutta una vita.



Considerazioni sull'uomo



E' lecito parlare di simboli trascurando di parlare di linguaggio simbolico? Sarebbe un discorso iniziato e non finito, sarebbe come parlare delle parole e non della lingua.

Ma parlare del linguaggio è come parlare dell'uomo il quale, grazie al linguaggio col quale ha potuto organizzare l'attività del proprio pensiero, è l'unico essere del creato che ha potuto rendersi ragione di se stesso e delle cose. Per questo motivo ritengo giusto porre queste considerazioni sotto il titolo dedicato all'uomo. Come nasce il linguaggio?

Si può tentare di darne una spiegazione solo che si abbia l'accortezza di attribuire alla sua formazione iniziale gli stessi processi e le stesse procedure con cui esso si è evoluto e si evolve. La mente primitiva dell'uomo si è posata sugli oggetti che popolavano il suo mondo ed è stata certamente scossa da avvenimenti straordinari che lo modificavano e, spesso, lo sconvolgevano mettendo in pericolo la sua stessa sopravvivenza. L'uomo ha provato certamente, derivandolo da un sentimento istintivo di conoscenza, il bisogno di disporre in ordine nella sua mente le immagini che a causa di quegli oggetti e di quegli avvenimenti vi si formavano e lo ha fatto utilizzando per ciascuna di esse, un'idea (o concetto). Doveva sorgere in quel momento una forma di rappresentazione simbolica che scopriva la funzione ed il valore del segno e lo utilizzava per rappresentare sinteticamente sia l'oggetto o l'avvenimento, sia la loro immagine, sia l'idea che di essi era maturata.

Il processo attraverso il quale l'uomo primitivo perveniva alla conoscenza del mondo che lo circondava doveva essere molto vicino al seguente: fuori di lui la realtà esterna, l'oggetto che egli desiderava conoscere, dentro di lui l'immagine di quell'oggetto e, infine, l'idea, ovvero li concetto, che egli dello stesso oggetto si era formato. Finalmente il segno, grafico o mimico o sonoro che fosse, che nel linguaggio simbolico aveva stretti riferimenti con l'oggetto stesso e con la sua immagine, ma che nel linguaggio linguistico era del tutto arbitrario non avendo alcun nesso o riferimento, né con l'oggetto, né con la sua immagine. In altre parole si veniva a formare un'associazione mentale tra quattro entità: l'oggetto, l'immagine, l'idea (o concetto) e il segno. Si formava cioè un legame scambievole tra l'oggetto, facente parte della realtà esterna da una parte, e le altre entità facenti parte della costruzione mentale dell'uomo dall'altra, ovvero l'immagine dell'oggetto, l'idea dell'immagine e il segno con cui li si rappresentava.

Dal simbolo al linguaggio, da uno dei componenti del linguaggio al linguaggio stesso, il passo non è stato certo né breve né facile. Mentre il linguaggio linguistico ha proceduto in avanti attraverso la complessità delle regole tanto da essere universalmente usato se non nella forma scritta, almeno in quella parlata, il linguaggio simbolico più semplice ed allo stesso tempo più complesso del primo, sebbene possedesse rispetto al primo l'indubbio vantaggio della universalità dei simboli, è stato ed è utilizzato soltanto da una piccola cerchia di studiosi e di iniziati. Esso non serve per appropriarsi della realtà fisica, ma viene utilizzato come strumento d'indagine per conoscere la realtà metafisica, non ciò che sta intorno a noi nel mondo degli oggetti, ma ciò che popola il mondo dello spirito.

Il simbolismo è l'arte di pensare per immagini. Attraverso il linguaggio simbolico ed i simboli di cui esso si serve si raggiunge, come dice Diel, "una condensazione espressiva e precisa che corrisponde, per la sua essenza, al mondo interiore".

Goethe rafforza l'idea dello straordinario con cui il mondo metafisico può essere indagato usando il linguaggio simbolico, tanto che afferma: "Nel simbolo il particolare rappresenta il generale, non come un sogno né come un'ombra, ma come viva e momentanea rivelazione dell'imperscrutabile".

Vediamo ora di descrivere in qualche modo cosa sia il linguaggio.

Il linguaggio è prima di tutto un sistema in cui tutti I suoi elementi componenti

hanno un nesso tra di loro in base a regole, leggi che non possono essere disattese pena l'incomprensibilità dei concetti che debbono essere espressi.

Il linguaggio ha una sua duplice funzione molto importante: quella di consentire la comunicazione di idee concetti tra uomini estranei l'uno all'altro e quella, decisamente più importante, di consentire 1'organizzazione del pensiero, di consentire cioè di pensare. Si può quindi affermare che il linguaggio non serve solo per comunicare, ma soprattutto per pensare. Come? col linguaggio linguistico.

Attraverso i segni linguistici, le parole, ognuna delle quali possiede un proprio significato. Tali segni o parole, vengono collegate tra loro secondo le regole che governano il linguaggio. Coi segni-parole e con le immagini che esse rappresentano, il cui significato è noto, è possibile esprimere significati nuovi.

Vi sono tuttavia sensazioni, intuizioni che noti sono descrivibili utilizzando soltanto una sequenza articolata di segni linguistici, con le parole organizzate in frasi e queste ultime in discorso.

Tali sensazioni e intuizioni che si trovano allo stato nascente, per esprimere le quali i segni linguistici sono del tutto inadeguati richiedono nuovi segni, nuovi simboli, la cui natura non può essere quella convenzionale che sorge dall'arbitrarietà dell'accostamento tra significato e significante, bensì quella universale che collega il simbolo stesso all'idea che esso rappresenta e identifica perciò il significante col significato.

La scelta di un nuovo segno linguistico, la cui caratteristica resta pur sempre l'arbitrarietà dell'abbinamento tra significante e significato, richiede la conoscenza preventiva del significato ovvero del concetto che gli si vuole attribuire.

Se ad esempio nasce un nuovo oggetto le cui caratteristiche sono quelle di possedere un motore e quattro ruote che ne consentono il movimento, questo oggetto potrà essere chiamato automobile mutuando significati da altri segni linguistici, ma nulla avrebbe impedito di chiamarlo Carlo poiché nessuno equivoco avrebbe col tempo potuto sorgere sulla natura e sulla identità dell'oggetto medesimo.

Come si può scegliere un nuovo segno se l'esperienza da rappresentare è del tutto nuova per colui che la sta vivendo ed è costituita da sensazioni ed intuizioni indescrivibili col linguaggio linguistico, ovvero da un'immagine non sempre chiara e distinta, il cui significato il più delle volte è sfuggente?

In questo caso il linguaggio utile per risolvere il problema della rappresentazione non può essere il linguaggio linguistico in quanto, non è tanto l'oggetto, né il concetto, né tanto meno il significato, il termine che è conosciuto ma, al contrario la sua immagine, ovvero il significante.

Il linguaggio che consente tale procedimento è il linguaggio simbolico, nel quale l'immagine suggerisce il concetto, nel quale il significante suggerisce il significato cui esso è collegato.

Esemplificando: all'immagine della bilancia (significante) si associa prontamente il concetto della giustizia (significato),

Ho parlato più del linguaggio che dell'uomo, di uno strumento dell'essere anziché dell'essere. Ma si tratta di uno strumento speciale che si confonde con l'essere, che è l'essere stesso. Penso, dunque sono. E penso grazie a questo strumento.

L'UOMO è, probabilmente, l'unico oggetto, l'unico essere pensante, ad avere piena coscienza di sé, della sua esistenza, della presenza del mondo, della esistenza dell'Universo.

Il sole, le stelle, fanno la loro parte, ubbidiscono a leggi inderogabili, inconsapevolmente. Non hanno coscienza di sé, dell'Universo di cui fanno parte.

Se esiste una coscienza dell'Universo questa coscienza è Dio.

La coscienza dell'uomo è ciò che di divino c'è in esso, in quel suo vagare ostinato tra sentimento e ragione, tra logica ed intuizione, tra intelletto e memoria, nelle profondità infinite degli spazi, nelle smisurate profondità della propria anima.

L'uomo ha coscienza di sé e del mondo, si svincola dagli obblighi che la natura gli impone,

* guarda sé ed il mondo,
* crea il bene ed il male,
* supera la necessità e inventa l'architettura.

In essa, coi segni di pietra, vive nella storia, supera la storia, imprigiona i propri sentimentisent, lancia i messaggi eterni dell'amore.

Esprime il proprio orgoglio e la propria umiltà, dà la misura della diversità che è in lui.



(tratto da "Hiram", nn.11/12 - novembre/dicembre 1986 - pag.342 - Ed. Società Erasmo)


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