L'intelligenza emozionale

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sonardj
00lunedì 28 aprile 2008 21:58
L'intelligenza emozionale
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(vedi anche: la definizione di felicità)

Il concetto di stato emozionale può far pensare che la felicità si giochi dentro di noi. Vedremo che ciò è molto riduttivo e non permette di andare al di là di un semplice miglioramento della nostra vita, il più delle volte modesto.
Proviamo infatti a ritornare indietro di qualche secolo, per esempio nel 1600. La maggior parte della popolazione aveva un vita estremamente instabile: guerre, carestie, malattie segnavano l'esistenza in modo spesso drammatico. La giustizia, la libertà individuale, la democrazia erano pure e semplici chimere. Pensare che la felicità dell'individuo potesse dipendere da come riusciva a gestire le sue emozioni non poteva che apparire ridicolo quando una persona in giovane età non sapeva se avrebbe vissuto ancora per un anno in condizioni accettabili. La vita era pesantemente condizionata da fattori esterni a noi, tant'è che la fuga dal mondo (monaci, eremiti ecc.) era una prassi abbastanza consolidata, una strategia esistenziale.
In questo quadro le religioni fornivano (e lo fanno ancora in Paesi dove le condizioni di vita sono paragonabili a quelle occidentali di qualche secolo fa) una chiara risposta esistenziale: la felicità sta sopra di noi. Il rapporto con il divino permetteva di superare qualunque terribile prova terrena
Si noti come le principali religioni erano incapaci di promettere la felicità in Terra (beati gli ultimi che saranno i primi), differendo il premio in un altro mondo.
Con il migliorare delle condizioni di vita e con l'affermazione dei diritti umani, all'uomo la religione non è più bastata perché era fisiologicamente possibile essere felici anche nella vita terrena; la religione insegnava a sopportare i problemi del mondo, ma non insegnava a evitarli e nel mondo occidentale questa consapevolezza ha mandato in crisi la religione (i veri credenti, cioè quelli coerenti con gli insegnamenti delle Chiese, oggi sono una minoranza della popolazione), ma ha mandato in crisi anche l'individuo, rimasto senza faro.
L'opera di Freud ha portato l'attenzione e la speranza dell'uomo del XX sec. all'interno di sé; decenni di psicanalisi e di altre correnti della psicologia non sono state però in grado di fare granché: l'uomo di oggi è sempre più devastato.
Recentemente nella psicologia si sono affermate interessanti correnti di pensiero che, partendo da basi neurobiologiche, vogliono porre le premesse per una qualità della vita migliore.
GolemanTali correnti si basano sulla suddivisione del cervello in due parti: quella più interna (cervello limbico) che controlla le emozioni e l'equilibrio fisiologico e quella più esterna (cervello corticale, neurocorteccia) che controlla le facoltà razionali. L'equilibrio fra queste due parti è quella che D. Goleman (nella foto) ha definito intelligenza emozionale. Fin qui nulla da eccepire. Sull'entusiasmo di queste scoperte, alcune correnti di pensiero propongono che l'intelligenza emozionale possa essere correlata con il successo nella vita del soggetto, successo inteso esistenzialmente.
In realtà non fanno altro che ripetere l'errore di Freud: studiare casi limite e supporre validi per tutti le scoperte fatte nel risolvere i casi studiati. Si chiama errore di allargamento del campione.
Comprendiamolo con una semplicissima analogia. Un cardiologo stila delle regole di comportamento per un suo paziente affetto da un grave scompenso cardiaco:

* nessuna attività sportiva
* astensioni da attività lavorative troppo impegnative fisicamente e/o mentalmente (stress)
* abolizione del fumo
* alimentazione equilibrata e controllata ecc.

Notiamo come alcuni consigli possano essere validi anche per un soggetto sano (per esempio abolizione del fumo), mentre i primi sicuramente no: renderebbero un soggetto sano poco più di un vegetale. Sono sicuramente compatibili con una vita sana, ma a che prezzo?

Lo stato emozionale: situazione e valutazione
Le correnti emozionali non si occupano minimamente di costruire la situazione ottimale entro cui l'equilibrio emozione/ragione possa essere positivo al massimo. Così facendo, trascurano una gran parte della realtà e finiscono per essere utili in un numero limitato di casi.
Infatti lo stato emozionale (quello la cui somma, o meglio, il cui integrale dà la felicità) è funzione della situazione e della valutazione che il soggetto dà di essa:

E=E(S, V)
dove S è la situazione e V la valutazione.
Perché la valutazione sia corretta deve esserci ovviamente equilibrio (armonia) fra la componente emozionale e quella razionale, il soggetto con un termine pratico deve essere equilibrato. Se il soggetto valuta negativamente una situazione oggettivamente positiva perché la sua ragione soffoca le sue emozioni che la giudicherebbero positiva (esempio classico l'inibizione sessuale) oppure se le sue emozioni vanno in corto circuito e prendono il sopravvento (esempio classico l'attacco di panico) ecco che lo stato emozionale è negativo perché manca l'armonia fra le due componenti cerebrali. Sono questi i casi (soffocamento razionale e cortocircuito emozionale) in cui le teorie emozionali raggiungono i risultati migliori, ma si tratta spesso di casi patologici, non di persone che vivono i "problemi della quotidianità".
Ma cosa accade se c'è questo equilibrio, ma la situazione è esistenzialmente disastrosa? È possibile che una persona equilibrata nei due fattori arrivi a una situazione negativa? Sì, lo è. Infatti la situazione è funzione dell'ambiente e delle scelte che noi facciamo:

S=S(A, sc).
Per capire come sia riduttiva (o meglio, accademica, di chi non vede che una realtà "teorica") la posizione delle correnti emozionali basta pensare ad alcuni casi:
Maria, figlia di un piccolo spacciatore e di una prostituta.
Giovanni, con una moglie che lo ha sposato solo per una sicurezza economica e che ora lo tradisce in continuazione e dalla quale non può divorziare perché perderebbe quel poco che ha.
Mario, che ha perso il lavoro e non ne trova uno nuovo.
Luigi, che ha una figlia anoressica e un'altra che non lo può sopportare.
Casi limite? Non poi così limite come si potrebbe credere. Pensiamo all'ultimo caso e ai dissapori fra genitori e figli: pensare che a un genitore basti trovare l'armonia interna per non "sentire" i problemi con i figli (che magari dipendono dai figli e non dall'educazione loro impartita) è abbastanza disumano. Diventa perciò un insulto a chi soffre veramente pensare che basti "meditare" o fare esercizi di respirazione per trovare l'armonia dentro di sé. Forse può servire a far calare una saracinesca fra noi e i problemi (una sorta di anestesia), ma non certo a darci una vita felice.
La situazione può dipendere dall'ambiente e l'esempio del vissuto nei secoli scorsi è illuminante: uno schiavo che lavorava nelle piantagioni di cotone nell'America del 1850 poteva essere sereno, ma solo chi vuole sprecare energie mentali può sostenere che poteva essere felice. Come detto sopra, la grande influenza ambientale nei secoli passati (e ancora oggi in paesi dove le condizioni di vita e i diritti umani sono ancora scadenti) ha favorito l'affermarsi delle religioni come strategia esistenziale di sopravvivenza. Oggi, a differenza dei secoli scorsi, nei Paesi occidentali l'ambiente forza molto meno le nostre scelte, anche se i più pessimisti continuano a vedere "enormi condizionamenti": la situazione oggi diventa strettamente dipendente dalle nostre scelte.
Le nostre scelte passano nella quotidianità attraverso la parte razionale del cervello che può essere più o meno influenzata dalla parte emozionale. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre con un'analisi superficiale, la parte emozionale interviene solo in misura poco significativa nella costruzione delle situazioni in cui ci troviamo. Dire che le sensazioni orientano le nostre scelte è decisamente sproporzionato e frutto del fatto che gli psicologici in genere non hanno che una visione sommaria della logica, della teoria dell'informazione e della teoria della decisione. Infatti la scelta non è che l'elaborazione razionale dei dati emotivi e dei dati dell'ambiente: tre sono dunque le grandezze in gioco nella scelta: le nostre emozioni, i dati esterni (informazioni) e il potere logico, tipico del cervello razionale. Una scelta può essere disastrosa conducendo a una situazione disastrosa perché il soggetto

* ha potere logico scadente (in altri termini commette grossolani errori logici);
* ha dati esterni non buoni;
* ha dati emozionali che cortocircuitano la parte razionale (cortocircuito emozionale);
* ha dati emozionali che sono soffocati dalla ragione (soffocamento razionale).

A questi casi si deve aggiungere l'ambiente, pur contando meno che un secolo fa (lo scopo di ogni governo dovrebbe essere quello di dare alla maggior percentuale possibile di cittadini un ambiente sufficiente, intendendo quelle condizioni che non penalizzino le scelte del singolo). Come si vede, l'equilibrio emozione-ragione entra solo in due casi su cinque. In presenza di una scelta disastrosa che conduce a una situazione negativa, non basta cioè cercare l'equilibrio emozione-ragione.

Se si esaminano persone normali, con i "problemi di tutti" si scopre che la maggior parte di esse ha un potere logico scadente e ha dati esterni pessimi.
È per questo che le teorie emozionali non funzionano più di tanto percentualmente nella popolazione, gran parte della quale le vede come un gioco per intellettuali.
Se il soggetto ha un buon potere logico e dati esterni ottimi e l'ambiente è favorevole alla sua vita, l'equilibrio emozione-ragione lo porta a stati emozionali positivi e quindi l'integrale della felicità è positivo. Ma ciò non deve illudere perché percentualmente si verifica in rari casi, per esempio quello dei "guru", personaggi che hanno una vita positiva con la sola ricerca del "dentro di sé" semplicemente perché hanno la fortuna di avere casualmente i tre sopraccitati fattori dalla loro parte.
Per la maggioranza della popolazione non è così. E allora cosa ottengono le teorie emozionali? Disinteressandosi del "fuori di sé", al massimo fanno giungere il soggetto in uno stato neutro, di serenità (cosa importante per un malato psichico, ma non certo sufficiente per chi vuole vivere al massimo; come era importante per il cardiologo prolungare la vita del cardiopatico).
Del resto le recenti correnti neurobiologiche che spingono l'intelligenza emozionale non sono altro che la traduzione scientifica di molte discipline orientali che hanno come scopo la serenità piuttosto che la felicità. Dallo yoga alla meditazione, allo zen queste discipline insegnano a fronteggiare i problemi, a gestire le frustrazioni derivanti da situazioni negative che spesso si sono create perché il soggetto ha uno scarso potere logico e ha pessimi dati esterni.
Chi ha ben compreso la definizione integrale di felicità capirà che queste discipline non fanno che portare a zero lo stato emozionale: il problema esiste, ma viene azzerato grazie all'armonia fra emozione e ragione.
La conseguenza è che se il soggetto vive continuamente di problemi, al massimo l'integrale della felicità ha valore zero: il soggetto sopravvive, ma non vive! In altri termini, chi vive perennemente in situazioni critiche, stressanti ecc. al più controlla le emozioni negative, ma certo non ne ha di positive!
È per questi motivi che il successo di correnti psicologiche emozionali, discipline orientali ecc. è massimo nei soggetti con seri problemi psicologici (la serenità è un grosso successo) o in soggetti che hanno una vita già abbastanza fortunata e si accontentano di vivere con i problemi di tutti, fronteggiandoli (invece che eliminandoli) alla meglio.

La rivoluzione del Well-being
Comprendendo la differenza fra vivere e sopravvivere, il Well-being si preoccupa invece di non avere problemi, orientando il soggetto verso situazioni e condizioni di vita che non agiscano come continui fattori peggiorativi della qualità della vita. Per fare ciò studia il cervello corticale (ragione) per creare situazioni in cui il soggetto possa trarre il massimo dalle sue emozioni. Non si tratta di un predominio della ragione sullo spirito come molti detrattori continuano a sostenere, perché la ragione si occupa di creare le condizioni di vita in cui un cervello emozionale al top (e il Well-being insegna come ottenere il massimo anche emozionalmente) possa esprimersi al meglio. Prima occorre:

* evitare errori logici;
* avere i dati migliori;
* poi si può pensare all'equilibrio emozione-ragione.

Il Well-being cioè migliora sia il "dentro di sé" (valutazione) che il "fuori di sé" (situazione). In altri termini, il Well-being non si limita ad azzerare i picchi negativi, ma riporta in su tutta la curva della felicità. E la differenza è immensa, si vive anziché sopravvivere.
Vediamo con un grafico tre situazioni tipiche.

grafico
In ascissa è riportato il tempo, in un'unità di misura a piacere (può essere la giornata, la settimana ecc.), ininfluente per il significato profondo delle curve. In ordinata è rappresentata la grandezza felicità. I singoli punti delle curve sono gli stati emozionali campionati su un soggetto in base all'unità di tempo (per esempio: oggi come è stata la sua giornata?).
Il soggetto vive situazioni negative per parte del periodo, per un'altra parte vive situazioni positive, un soggetto "normale". Applicando le teorie emozionali riesce a gestire i problemi e a viverli in serenità, riportando a zero il valore dello stato emozionale (punti 1, 2, 3, 9, 10, 11). Applicando il Well-being i problemi vengono evitati e la curva è tutta positiva. Semplice no?
Ulteriori approfondimenti nell'articolo Guarire.

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