Epilessia...

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sonardj
00mercoledì 21 novembre 2007 03:38
Il termine 'crisi epilettica' descrive una varietà di sintomi neurologici dovuti a una scarica elettrica anomala, sincronizzata e prolungata di cellule nervose della corteccia o del tronco cerebrale. Il 5% di tutte le persone ha almeno una crisi epilettica durante la sua vita, ma non è considerato affetto da epilessia. La diagnosi di epilessia implica una tendenza a crisi epilettiche ripetute che si trova nello 0.5% della popolazione. Crisi epilettiche sono favorite da fattori che aumentano l'eccitabilità elettrica delle cellule nervose e abbassano la naturale soglia alla loro scarica spontanea: l'uso o la sospensione improvvisa di certi farmaci, droghe o alcool; febbre, deficit di sonno, alterazioni degli elettroliti, e infine fattori genetici e metabolici. Si parla di epilessia idiopatica o primaria quando la storia clinica e gli esami diagnostici non rivelano cause per crisi epilettiche ripetute. Mentre la maggior parte delle epilessie idiopatiche è infatti dovuta a fattori genetici e metabolici ancora sconosciuti e si manifesta in età infantile o adolescente, una grande parte delle epilessie secondarie si manifesta dopo i 40 anni. Cause di epilessie secondarie sono tumori e traumi cerebrali, ischemie o emorragie cerebrali, la trombosi dei seni cerebrali venosi, malformazioni vascolari, e malattie infiammatorie del cervello come vasculiti, meningiti, encefaliti o la sclerosi multipla.

Per la diagnosi di epilessia è necessaria un'accurata valutazione dei sintomi e della storia clinica, che deve possibilmente comprendere anche le osservazioni dettagliate da parte di terzi, in quanto l'alterazione o la perdita di coscienza spesso precludono una descrizione dei sintomi da parte del paziente stesso. L'elettroencefalogramma (EEG) rileva l'attività elettrica del cervello ed è un'analisi fondamentale nella diagnosi dell'epilessia, perché le alterazioni elettriche, spesso molto indicative, possono essere presenti anche in assenza dei sintomi. Al di fuori delle crisi epilettiche, però, le alterazioni elettriche possono mancare, pertanto un EEG normale registrato al di fuori di una crisi non esclude la diagnosi di epilessia. Altri esami diagnostici includono la risonanza magnetica o TAC cerebrale ed esami di laboratorio, e sono indicati per accertare o escludere cause specifiche.

In base alla sintomatologia clinica e al tracciato EEG delle crisi epilettiche si distinguono epilessie generalizzate (le scariche anomale iniziano contemporaneamente nei due emisferi cerebrali) ed epilessie parziali o focali (le scariche anomale iniziano in una determinata parte del cervello). Quando le scariche iniziano localmente per poi diffondersi a tutto il cervello si parla di epilessia secondariamente generalizzata. I più frequenti tipi di crisi epilettiche generalizzate e parziali sono:

Crisi di tipo tonico-clonico ("grande male"): sono crisi generalizzate che possono avere sintomi premonitori (aura: irritabilità, ansia, cefalea) e iniziano con perdita della coscienza, deviazione degli occhi in alto per poi continuare con contrazioni muscolari generalizzate e simmetriche (fase tonica), che in seguito sono interrotte da brevi rilassamenti della muscolatura (fase clonica). L'alternanza tra contrazione e rilassamento dà il tipico aspetto di scosse muscolari ritmiche ('convulsioni'), che verso la fine dell'attacco diminuiscono di frequenza. Le crisi durano in genere meno di un minuto e sono seguite da uno stato confusionale con stanchezza e dolore muscolare. Quest'ultimo è dovuto all'intensità delle contrazioni muscolari involontarie, che possono anche causare ferite (morso della lingua), traumi cranici o fratture ossee.

Crisi di assenza ("piccolo male"): sono crisi generalizzate e brevi (meno di 10 secondi) che si manifestano tipicamente in età infantile e scolastica. Sono caratterizzate da un improvviso arresto motorio con uno stato di coscienza apparentemente conservato. Tuttavia, durante le crisi di assenza, il bambino non è in grado di rispondere e in seguito non ricorda l'episodio. Possono essere accompagnate da contrazioni ritmiche della muscolatura mimica o più raramente da altri fenomeni di tipo tonico o atonico.

Crisi di tipo tonico, atonico o mioclonico: sono crisi generalizzate di breve durata, con o senza perdita della coscienza. Si verificano in bambini con sindromi epilettiche o durante malattie febbrili.

Crisi parziali semplici: sono crisi focali durante le quali coscienza e memoria sono conservate. I sintomi sono multiformi perché dipendono dalla localizzazione cerebrale delle scariche. Se queste avvengono nella corteccia motoria, i sintomi possono consistere nella rotazione della testa e degli occhi e in contrazioni muscolari da un lato del corpo. Altri sintomi sono la sensazione di formicolio o sensazioni di tipo visivo, uditivo o gustativo anomale. Quando sono coinvolti centri nervosi autonomi, i sintomi possono essere avvertiti come disagio nella regione addominale, pallore o sudorazione. Infine, i sintomi possono essere psichici con sensazioni anomale e improvvise di ansia, una percezione distorta della propria persona, dell'ambiente e del tempo, allucinazioni, o la percezione di aver già vissuta o mai vissuta una particolare situazione ("déjà vu", "jamais vu").

Crisi parziali complesse ('psicomotorie'): sono crisi focali con alterazione dello stato di coscienza, incapacità di comunicare ed eliminazione della memoria per il tempo della crisi. Come nelle crisi parziali semplici, i sintomi dipendono dalla localizzazione delle scariche, la quale - al contrario di quanto era suggerito in passato - non è limitata al lobo temporale. Iniziano con l'arresto improvviso dell'attività corrente e sono spesso caratterizzati da movimenti automatici ripetuti della bocca o gesti automatici delle mani, linguaggio automatico e alterato, movimenti oculari o comportamento anomalo.

Normalmente le crisi epilettiche si risolvono spontaneamente entro pochi minuti. Quando perdurano o quando si ripetono in modo ravvicinato si tratta di uno stato di male epilettico che rappresenta (soprattutto quando le crisi sono di tipo convulsivo) un'emergenza medica che richiede terapia immediata. Stati epilettici protratti possono essere letali perché possono portare a grave insufficienza respiratoria.

Oltre ad essere suddivise secondo il tipo di crisi, le epilessie vengono classificate in sindromi epilettiche, che raggruppano determinati tipi di crisi con altri aspetti clinici caratteristici. Le più importanti sindromi sono l'epilessia del lobo temporale, l'epilessia rolandica, le epilessie miocloniche dell'infanzia e dell'età giovanile, l'epilessia con assenze, la sindrome di West e la sindrome di Lennox-Gastaut.

La farmacoterapia dell'epilessia impiega farmaci antiepilettici, che con diversi meccanismi stabilizzano le proprietà elettriche della membrana delle cellule nervose, impedendo così le scariche elettriche spontanee. Si tratta perciò di una terapia sintomatica che non elimina la causa dell'epilessia. Tuttavia garantisce una vita normale a molti pazienti che altrimenti sarebbero gravemente limitati o minacciati da frequenti crisi epilettiche. La terapia deve tenere conto della situazione e delle esigenze individuali del paziente e va indicata con cura, perché è prolungata e con effetti collaterali potenzialmente gravi, che possono comunque essere minimizzati nella maggior parte dei casi. In particolare, deve essere probabile o sicura la diagnosi di epilessia, e deve essere probabile che le crisi epilettiche si ripetano nel futuro. La terapia, perciò, non si inizia dopo una prima e singola crisi epilettica o senza che sia accertata una causa dell'epilessia che renda probabile crisi ripetute. Vanno inoltre considerate la frequenza delle crisi e la loro gravità clinica, relazionandole alla situazione personale e professionale del singolo paziente. Infine, è necessario eliminare fattori di rischio evitabili come il deficit di sonno o l'abuso di alcool. La scelta del farmaco deve considerare il tipo di crisi e la sindrome epilettica, la durata della terapia e i possibili effetti collaterali sempre rispetto alla situazione del singolo paziente. È importante iniziare con un dosaggio basso che va gradualmente aumentato per trovare la minima dose sufficiente a controllare le crisi.

I classici farmaci antiepilettici sono valproato e carbamazepina (che sono spesso i farmaci di prima scelta), fenitoina e fenobarbital. Da pochi anni è disponibile una serie di farmaci di nuova generazione (felbamato, gabapentin, lamotrigina, levetiracetam, oxcarbazepina, tiagabina, topiramato, vigabatrin) usati per indicazioni particolari o per aumentare l'efficacia della terapia quando la monoterapia con un antiepilettico classico non riesce a sopprimere le crisi epilettiche. Studi clinici recenti indicano che gabapentin, lamotrigina e oxcarbazepina possono essere usati anche in monoterapia, mentre felbamato e vigabatrin comportano il rischio di effetti collaterali così seri da restringerne l'uso ad epilessie resistenti ad altri farmaci e indicazioni pediatriche particolari. L'uso di etosuccimide è ristretto alle crisi di assenza. Per la terapia acuta di una crisi epilettica sono disponibili diazepam, lorazepam, clonazepam e fenitoina per via endovenosa o rettale. Farmaci antiepilettici possono interagire tra di loro e con altri farmaci con possibile variazione della loro efficacia e tossicità. Per adeguare il dosaggio dei farmaci e controllare la regolare assunzione è perciò utile il monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche che è possibile per i farmaci maggiormente usati. Il monitoraggio plasmatico tuttavia è uno strumento ausiliare, è più importante il giudizio clinico che paragona l'efficacia del farmaco verso i potenziali effetti collaterali.

La durata della terapia antiepilettica dipende dal tipo, dalla causa e dalla evoluzione spontanea dell'epilessia. Generalmente si propone una graduale riduzione dei farmaci quando per 2-5 anni non si sono più verificate crisi epilettiche e quando sono assenti o minime le alterazioni dell'EEG. Nel 80% dei casi le crisi riappaiono entro 6 mesi dopo la sospensione dei farmaci con la conseguente necessità di riprendere la terapia. La prognosi è migliore quando le crisi sono infrequenti e controllate con basse dosi di un farmaco.

Poiché l'epilessia interessa in molti casi l'età riproduttiva, la gravidanza pone questioni particolari per la farmacoterapia, in quanto nessuno dei farmaci è privo di rischio malformativo (teratogeno) per il feto. Il rischio teratogeno è da confrontare col rischio che possono comportare le crisi epilettiche per traumi o ischemia del feto o per l'induzione di aborti spontanei. In casi di crisi infrequenti si può tentare la sospensione dei farmaci fino al quarto mese di gravidanza, dopodiché il rischio teratogeno diminuisce molto e la farmacoterapia può essere ripresa. Con crisi più frequenti è desiderabile una monoterapia al più basso dosaggio possibile. In ogni caso vanno evitati valproato e topiramato e va usata cautela generale con i farmaci di nuova generazione in quanto manca ancora un'esperienza sufficiente riguardo al loro potenziale teratogeno. La gravidanza stessa non influisce in modo significativo sul corso dell'epilessia, può comunque influire sul metabolismo dei farmaci antiepilettici e richiedere un nuovo dosaggio. Farmaci antiepilettici sono infine in grado di abbassare l'efficacia dei contraccettivi orali col rischio di una gravidanza inosservata durante le prime fasi in cui l'embrione è particolarmente suscettibile all'azione teratogena dei farmaci.

Circa il 20% delle epilessie non è sufficientemente controllato nonostante l'impiego di farmaci multipli a dosaggi sufficienti. In questo caso si propone la terapia chirurgica che asporta la regione cerebrale (nella maggior parte dei casi il lobo temporale medio) in cui originano le crisi epilettiche. È perciò necessario che questa regione sia ben identificabile come origine delle crisi epilettiche e che la sua rimozione non comporti deficit neurologici gravi. La terapia chirurgica è di successo nel 70-90% dei casi operati e spesso porta a una guarigione completa. Richiede comunque particolare esperienza sia nella fase diagnostica sia in quella chirurgica ed è riservata a centri specializzati.

La stimolazione del nervo vago è un approccio terapeutico recente che è indicato in casi di epilessia farmacoresistente in cui la terapia chirurgica sia non possibile o controindicata. La sua efficacia è inferiore a quella della terapia chirurgica ma è stata dimostrata in una serie di studi clinici. Richiede l'impianto di un elettrostimolatore che viene collegato con il nervo vago sinistro il quale trasporta le afferenze sensorie dai visceri al cervello. Per un meccanismo ancora sconosciuto la modulazione terapeutica della sua attività elettrica influenza l'attività elettrica cerebrale in modo da rendere il cervello meno suscettibile alla formazione di focolai epilettici. Come la terapia chirurgica, la stimolazione del nervo vagale richiede l'assistenza da parte di centri specializzati.

Le principali attività della ricerca sull'epilessia sono concentrate sulla scoperta di farmaci ancora più efficaci e sempre meglio tollerati anche con il mezzo di modelli sperimentali sempre più raffinati. Inoltre, verranno provati nuovi protocolli di elettrostimolazione e l'applicazione di farmaci antiepilettici tramite sonde intracerebrali che rilasciano il farmaco solo nella regione in cui originano le crisi epilettiche. In tal modo si potrebbe raggiungere un effetto specifico evitando gli effetti collaterali del farmaco sul tessuto cerebrale sano.
sonardj
00mercoledì 21 novembre 2007 03:41
Si può curare l'epilessia?

Certamente sì, anche se solo nel 60-70% dei casi. Si usano infatti farmaci che controllano e bloccano la tendenza delle cellule cerebrali a produrre scariche epilettiche. Purtroppo l'effetto dei farmaci termina poche ore dopo che si è interrotta la cura; ed è per questo che la terapia dell'epilessia è molto impegnativa per il paziente che assume i farmaci e per il medico che li prescrive, poichè è necessario che il medico scelga il farmaco e le dosi in maniera corretta, ma è altrettanto importante che il paziente comprenda il significato e gli scopi della terapia e la prosegua in maniera precisa e per un lungo periodo di tempo, quasi sempre molti anni e non raramente tutta la vita.

Quanto incide la volontà del paziente?

Vanno considerati vari aspetti. Vi sono pazienti che riescono, all’inizio della crisi, concentrandosi particolarmente, modificando il ritmo del respiro o l’attività motoria, a controllare del tutto o parzialmente le loro crisi. Poi c’è un problema di precisione della terapia: le medicine che bloccano l’insorgere della crisi devono essere mantenute in una concentrazione abbastanza stabile nel sangue nelle 24 ore, un giorno dopo l’altro, per anni. Essenziale è quindi la precisione nell’assunzione delle terapie. Quindi, alcuni pazienti (i casi che noi definiamo di pseudo-resistenza) non trovano giovamento perché non seguono la terapia in maniera precisa, il che non è un impegno da poco.

L'epilessia si può curare ma non si può guarire?

No, non è sempre così. Vi sono le forme che iniziano nella infanzia, su base costituzionale, che si esauriscono spontaneamente con l'accrescimento e vanno quindi curate per periodi limitati, in attesa della guarigione spontanea. Inoltre, in alcuni casi (che vanno accuratamente selezionati) si può asportare, con un intervento chirurgico, la zona del cervello da cui prende inizio la crisi. Identificare questi casi è uno dei compiti più impegnativi per chi si occupa di epilessia. In Italia esisteva fino a poco tempo fa un solo centro dedicato a questo tipo di chirurgia, all’Ospedale Niguarda di Milano, con il quale la FOREP è in stretto contatto. La FOREP è impegnata nella creazione di una struttura analoga destinata ad occuparsi dei pazienti che si trovano nell’Italia centrale e meridionale, localizzato presso L'Istituto Neurologico NEUROMED di Pozzilli (IS), nella regione del Molise.

E' chiaro che, naturalmente, in tutti i servizi di neurochirurgia si opera sul cervello, anche in pazienti che hanno l’epilessia, ma una struttura dedicata a questo specifico problema non esiste, tranne appunto quella di Milano. La differenza fra un servizio generale di neurochirurgia e un servizio per la chirurgia della epilessia è che nel primo si opera la lesione, nel secondo si opera la zona che provoca le crisi, che non coincide sempre con la lesione. La differenza è notevole, sul piano delle indagini e del successo nel sopprimere le crisi.

Come si possono selezionare i pazienti per l'intervento chirurgico?

L'intervento è limitato ai soggetti che soffrono di crisi non controllate dai farmaci. Inoltre è necessario essere certi che le crisi prendono origine da una precisa e identificabile zona del cervello; infine questa zona deve essere asportabile chirurgicamente senza creare deficit, cioè senza provocare perdita di forza o di sensibilità, o disturbi della parola.

Come si definisce la zona di origine delle crisi?

E' denominata focolaio o area epilettogena, e può essere situata in un qualsiasi punto della corteccia cerebrale.

Come si riesce a stabilire ove è localizzato il focolaio o l'area epilettogena?

Bisogna osservare le crisi. Per questo si usano sistemi combinati di registrazione dell'elettroencefalogramma e di un nastro video. In pratica il paziente si siede davanti a una telecamera, mentre viene registrato l'elettroencefalogramma. Si siede e aspetta.

Che cosa aspetta?

Aspetta che arrivi la crisi. Generalmente si tratta di pazienti con molte crisi, e per renderle più probabili vengono diminuiti leggermente i farmaci antiepilettici.

Non è pericoloso?

No, perché un medico esperto è sempre presente, assieme a un tecnico, pronti a intervenire se sopravviene la crisi. Inoltre, l'ambiente è protetto, poichè il paziente viene posto in una comoda poltrona, senza rischio di traumi, e in un reparto neurologico dedicato a questi problemi.

Ma l'attesa è lunga?

Certamente di qualche giorno. In media per osservare le crisi è necessario ricoverare il paziente per 5-15 giorni. Si esaminano i pazienti mentre la crisi è in corso, interrogandoli per capire se è compromesso il linguaggio e la coscienza, poi si rivedono i nastri video al rallentatore, mentre il tracciato elettroencefalografico viene esplorato con diversi montaggi degli elettrodi. Si riesce quasi sempre a capire ove è piazzato il focolaio. Certe volte è necessaria l'integrazione mediante elettrodi posti chirurgicamente in zone strategiche dell'encefalo. Questa tecnica si chiama stereo-elettroencefalografia.

Stereoelettroencefalografia? Elettrodi posti nel cervello? Quali sono i rischi?

I rischi sono bassissimi, inferiori all'1%. La metodica diventa necessaria quando i focolai e l'area epilettogena sono situate in una zona di corteccia posta in profondità o quando le scariche epilettogene si diffondono rapidamente e il punto di partenza non è chiaro, o quando vi sono focolai bilaterali. Sapere il punto preciso di origine è essenziale per non effettuare operazioni chirurgiche inutili. Con gli elettrodi di profondità si può raggiungere direttamente il fulcro del focolaio, mentre - osservando solamente l'elettroencefalogramma di superficie - può sfuggire la parte iniziale della scarica epilettogena, "i primi due cruciali secondi".

Quali sono i vantaggi della chirurgia?

Asportando il focolaio e la zona circostante si bloccano le crisi all'origine. Nell'80% dei casi il paziente guarisce; la percentuale di effetti secondari è dell'ordine del 1-2%.

L’intervento nel caso in cui non comporti la guarigione implica comunque dei rischi?

Non molti. Il grosso problema della chirurgia dell’epilessia, ed il motivo per il quale è necessaria un’organizzazione specifica, è che bisogna essere sicurissimi sulla zona di origine della crisi, perché ovviamente non si può asportare una zona di cervello troppo ampia (a parte casi particolari); inoltre, dobbiamo essere assolutamente sicuri che la zona responsabile delle crisi si possa rimuovere senza che il paziente subisca danni (i principali sono i disturbi motori o della parola; nelle zone che possono dare questi disturbi non si può operare). Ci sono alcune tecniche particolari applicate a questi casi, ma il grosso problema è identificare il punto di partenza e essere certi che questo non coincida con una zona del cervello fondamentale per la vita di relazione.

Ma allora la terapia farmacologica verrà abbandonata a favore della chirurgia! Vi sarà ancora la spinta a trovare nuovi farmaci?

Terapia farmacologica e chirurgica si integrano perfettamente. Innanzitutto la chirurgia viene presa in considerazione quando i farmaci non funzionano (parliamo in questi casi di "epilessie farmacoresistenti"); in secondo luogo, solo una percentuale di questi pazienti può essere operata. I focolai in zone essenziali per il movimento o la parola non possono essere rimossi. Inoltre i farmaci vanno proseguiti - anche se a dosi minori e talora temporaneamente - dopo la chirurgia. Infine circa un terzo delle epilessie è di natura costituzionale, senza alcuna lesione strutturale del cervello, e in questi casi solo i farmaci possono aiutare il paziente. La ricerca farmacologica fortunatamente prosegue. Negli ultimi anni abbiamo avuto a disposizione molte molecole nuove. Tuttavia, un nuovo farmaco consente di guarire non più del 2-3 percento delle epilessie resistenti; è probabile che questo dipenda dai meccanismi d'azione, molto simili nei vecchi e nei nuovi farmaci. La vera novità sarebbe un meccanismo d'azione inesplorato, e questo è più difficile da intravedere. Inoltre, il mercato si va restringendo (molti farmaci per la stessa patologia), e poiché un nuovo farmaco costa in media circa cento milioni (di dollari), vi sarà in futuro meno interesse commerciale a scoprire nuove molecole. Le aziende farmacologiche sono anche imprese commerciali, e per produrre devono vendere.

Esiste una prevenzione per l’epilessia?

Si, ed è basata sulla rimozione dei fattori che provocano tale malattia. Una delle cause più facilmente rimovibili è costituita dagli inconvenienti durante il parto o subito dopo la nascita, perché il cervello neonatale è estremamente sensibile alla carenza di ossigeno. Nel momento in cui si passa dalla respirazione attraverso il cordone ombelicale a quella attraverso i polmoni c’è un intervallo di qualche secondo che, se si prolunga, provoca una carenza di ossigeno e lascia delle cicatrici che svilupperanno l’epilessia negli anni seguenti. Un’altra causa facilmente prevenibile sono i traumi cranici, mediante l’uso del casco da parte dei motociclisti e della cintura da parte degli automobilisti. È stato calcolato che l’obbligo di indossare il casco ha risparmiato circa 500 morti all’anno. Molti sopravvivono all’incidente con lesioni cerebrali. Infatti, una delle cause più frequenti di epilessia è la cicatrice traumatica dovuta a contusione del cervello: quando il cranio subisce un colpo il cervello rimbalza nella scatola cranica e urta contro le pareti di questa, nel punto d’impatto ci può essere un infossamento del tavolato cranico e una lesione diretta del cervello. Si crea una irritazione delle cellule cerebrali che nel giro anche di 1 o 2 anni sviluppa crisi epilettiche. In linea generale un metodo di prevenzione è il buon trattamento delle patologie del sistema nervoso.

Non abbiamo invece una convincente prevenzione farmacologica. Una delle abitudini di molti neurochirurghi e neurotraumatologi, che noi non condividiamo, è di somministrare un farmaco contro l’epilessia ai pazienti che subiscono un intervento neurochirurgico o un trauma cranico. Non siamo d’accordo perché non è mai stato dimostrato che i farmaci presi prima dello sviluppo delle crisi abbiano un effetto preventivo. Purtroppo, le terapie mediche contro l’epilessia agiscono contro la crisi, non contro la formazione delle lesioni responsabili delle crisi. Sono terapie sintomatiche. Qualcosa che impedisca la formazione del focolaio delle crisi fino ad ora non è stato scoperto. Inoltre, somministrando un farmaco quando il paziente non ha avuto crisi si possono indurre crisi da sospensione, quando la terapia viene interrotta.

Il pubblico conosce tutto quello che si può fare per curare l'epilessia?

Il grande pubblico conosce poco l'epilessia, anche perchè non raramente chi ne soffre ha paura di farlo sapere, come se avere le crisi fosse una colpa. Vi è un tabù sull'epilessia, che è necessario sconfiggere. Per questo è importante informare, e un ruolo fondamentale è svolto dalle associazioni per la promozione della ricerca, come la FOREP, e dalle associazioni laiche, cioè le unioni di pazienti e parenti, che possono agire da tramite fra la comunità scientifica e il grande pubblico.

Ci sono Associazioni di questo tipo in Italia?

Certamente. La Associazione Italiana contro l'Epilessia (AICE, Tel. 02.76015551) che ha sede a Milano e diramazioni in tutta l’Italia, provvede a organizzare convegni divulgativi e a informare le famiglie circa i diritti dei pazienti. Lo stesso fa in Piemonte l'APICE (Tel. 011.533496).
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