Continuità e differenze

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sonardj
00martedì 18 marzo 2008 03:48
Continuità e differenze

di M. O.

Il simbolismo, carattere essenziale della visione massonica e, in genere, "sapienziale", si genera all'interno d'una concezione "totale" e metafisica. Il reale visibile, per tale concezione, è manifestazione ed espressione del reale invisibile. E ne è segnale e indicazione, allusione e rimando, sulla base della "corrispondenza" e quindi della connessione organica ma, soprattutto, della sostanziale omogeneità per cui tutto è in tutto, seppur diversamente realizzato. La differenza tra chi vede senza "guardare attraverso" e chi "attraversa con lo sguardo" ciò che appare è, appunto, nella consapevolezza "intellettuale" che l'essere risiede al di là delle forme e che occorre tendere ad esso. In tal modo, le cose del mondo assumono il loro senso perché vengono collocate al loro posto e non sono più un accumulo di detriti che ostruiscono e oscurano lo sguardo. Sulla base di tale concezione unitaria e organica assume il suo genuino e originario significato l'alchimia la quale, prima di essere l'esibizione di capacità operative, è silenziosa opera interiore di trasmutazione e di purificazione della visione. Gli elementi che si dissolvono e si mutano simbolizzano la fondamentale omogeneità della realtà e la necessità che l'uomo si eserciti a scorgere nell'apparente il non apparente, nel visibile l'invisibile, nella materia lo spirito.

Coloro che giungono a tale condizione "vedono oltre" perché "attraversano" le cose risalendo alla loro comune radice. Ciò non comporta una svalutazione del visibile ma la sua piena valutazione in quanto riconduce ogni cosa al suo unico principio vedendo in ciascuna la luce originaria, il mostrarsi del volto dell'Assoluto. E', perciò, inevitabile che siano pochi i vedenti e che possano apparire ai più come visionari. Ed è, altresì, evidente che l'opera dei vedenti abbia un significato "immediato" per gli altri e un "senso" profondo per coloro che l'hanno compiuta. Tale opera, tuttavia, deve produrre in chi la vede e, forse, oscuramente l'ammira, il sentimento dell'alterità, la percezione del "mistero", l'annuncio indecifrato dell'invisibile.

Chi osserva l'opera, senza intenderne appieno il senso, ne avverte tuttavia l'armonia, la "bellezza", la quiete dell'ordine.

Appare pertanto evidente che dovunque abbia vita e corso il "simbolismo", là ci si muove in un contesto "metafisico", in cui ogni componente richiama la totalità ed ogni atto si riferisce all'ordine universale. Anche il più piccolo gesto e la più piccola opera, come ogni cosa grande e minuscola, sono "visti" come parti del tutto e precisa indicazione dell'ordinamento universale oltre che esatta riproduzione di esso.

Il Medioevo è un'epoca metafisica , e perciò non è propriamente un'epoca ma una dimensione dello spirito. Non è casuale che in essa siano nate la cavalleria e l'archetipo della massoneria. In effetti sia nella cavalleria, in particolare nella sua elaborazione "ideologica", sia nella corporazione dei fratelli muratori, si ritrova il medesimo sostrato simbolico prodotto dall'identica visione ed esperienza metafisica. I costruttori di cattedrali hanno riprodotto visibilmente un archetipo e quindi accennato all'Uno, che rimane sempre al di là di qualsiasi riproduzione, un "percepibile" ma ineffabile. E i costruttori si ponevano, prima di dar corso all'opera, nella condizione di purezza interiore, consapevoli che soltanto uno sguardo interiore puro avrebbe potuto guidare la loro mano nell'edificazione e nella coerente e ordinata "simbolizzazione" dell'Assoluto. Forme e proporzioni, figure e posizioni devono essere perfettamente collocate poiché debbono "corrispondere" al modello celeste e ne debbono evocare la onnipresenza. Non c'è quindi nulla di casuale o di puramente tecnico: i riti propiziatori e impetratori precedenti l'inizio dell'opera non sono superstiziosi e scaramantici, ma essenziali e significativi del carattere "sacro" dell'opera. D'altra parte la "tradizione" ha sempre assegnato valore sacro all'attività edificatrice sia della città e delle case, sia, in modo particolarmente intenso, dei templi, valore e sacralità ravvisabili nel simbolismo delle forme e dei materiali (il quadrato e la pietra, angolare e tagliata). E ciò perché il simbolo, come scrive R. Guénon (cfr. Simboli della scienza sacra, Adelphi, 1987) "non è costituito come tale in virtù di una convenzione umana, ma in virtù della legge di corrispondenza che lega tutti i mondi fra di loro" (p.38).

La grandiosa eredità simbolica, di cui oggi riusciamo a stento a percepire non soltanto l'estensione ma la complessità e la profondità, che si è prolungata attraverso le epoche e che si scopre vigorosa e vitale nell'età medioevale, accomuna la cavalleria e la originaria massoneria. Ed anche se talune rappresentazioni appaiono diverse in quanto specifiche delle diverse società esoteriche, il loro senso è identico e comune. Fondamentale è il valore identico dell'iniziazione che prospettive non soltanto riproduce il processo cosmogonico ma si realizza come viaggio. Questo, che può essere rappresentato anche dalla figura del labirinto, è comune sia alla cavalleria sia alla massoneria: viaggio o anche pellegrinaggio indicano le prove attraverso le quali si passa per entrare nel luogo interiore. "Infatti, è del tutto evidente che, se la caverna è il luogo in cui si compie l'iniziazione stessa, il labirinto, luogo delle prove preliminari, non può essere nulla più che il cammino che vi conduce..." (Guénon, cit., p. 183), e tale simbolismo si trova "ancor oggi in certe forme iniziatiche, per esempio nella massoneria, nella quale ogni prova simbolica è designata precisamente come viaggio" (p. 181).

Ma anche in altri luoghi simbolici è possibile scoprire la perfetta identità delle diverse forme della Scienza sacra: così il "riunire ciò che è sparso" che appare nella formula massonica assieme al "diffondere la luce", equivale, secondo Guénon, a "ritrovare la parola perduta, poiché, in realtà, e nel suo senso più profondo, tale Parola perduta non è altro che il vero nome del Grande Architetto dell'Universo" (p.262).

Come per il cavaliere era necessario il processo di iniziazione che era un oltrepassamento e una trasmutazione, così per il costruttore medioevale era necessaria la legittimazione iniziatica perché solo per essa poteva realizzarsi l'applicazione dei princìpi nel proprio ordine contingente" (Guénon, cit., p.271).

Costruire si può soltanto a patto di porsi nella luce del principio e dell'ordine cosmico,e, d'altra parte, tutta la simbologia massonica, è riproduzione cosmogonica. Le opere non sono di per sé significative: lo diventano quando "esteriorizzano" una condizione di purezza interiore e rappresentano l'ordine cosmico.

Apparentemente il cavaliere che vaga per il mondo, tra foreste e deserti, per luoghi aridi e minacciosi, e che sembra spinto da un insaziato desiderio di altro e quindi mai acquietato, può venir inteso come l'opposto del fratello muratore che costruisce e che trasforma l'esistente, simbolizzandolo. Ma è solo apparenza. In tutti e due ciò che muove è la percezione dell'Assoluto e il proposito di attingerlo, mirando al cuore dell'essere. La drammatizzazione cavalleresca della "cerca" è identica alla più contenuta ritualità iniziatica della massoneria. Il fratello massone non si realizza nel fare, ma quel che fa è segno della sua progressiva realizzazione interiore. Il processo non è dall'esterno all'interno, ma al contrario.

Infiniti sono i riscontri di tale dinamica interiore. Il tempio, che richiama il tempio esemplare, quello di

Salomone, è pieno di simboli sacri: il bianco e il nero del pavimento, la pietra cubica, quella grezza e quella tagliata e da tagliare, la catena d'unione, le cornici e i labirinti, il quatre de chiffre, i legami e i nodi, le colonne e l'orientamento, la microcosmica sintesi del tempio. E, non ultimo, la simbolica coincidenza tra la sede dei Cavalieri del Tempio e l'archetipo storico della massoneria, ossia il Tempio di Salomone, a Gerusalemme, porta del cielo e figura della Gerusalemme celeste.

Nella massoneria, se riesce a sottrarsi alla tentazione dell'attivismo fine a se stesso e a quella del consenso, vive una plurimillenaria tradizione della scienza sacra: e sarebbe miracoloso oltreché meritorio riuscire a salvaguardarla.

L'enorme eredità simbolica che ci proviene dalla più antica e originaria tradizione e che può definirsi Il scienza sacra", sembra ormai affidata unicamente alla custodia della massoneria che ha ripreso e ricompreso precedenti forme esoteriche. In tal modo la spiritualità cavalleresca, che peraltro sopravvive in ristretti ambienti anche se insidiata dall'ottusità borghese, può avere nella massoneria la sua continuazione.

L'essenza della cavalleria antica, ossia la "cerca" e il "Graal", si ritrova infatti, come si è accennato, nella spiritualità massonica. Anche se, a prima vista, sembra che ci siano forti differenze tra l'esteriorità avventurosa del cavaliere e l'operosa stanzialità del massone, tra l'ulteriorità della ricerca e la costruzione del tempio interiore, in realtà ci troviamo di fronte ad un'identica visione e concezione seppur espressa in forme diverse. Nella cavalleria l'avventura e l'avventurosità sono, in effetti, figurazioni e drammatizzazioni poetiche e letterarie dell'iniziazione e del processo di trasmutazione interiore. Che, inoltre, la ricerca si concluda nel non raggiungimento e quindi nel non-possesso dell'oggetto, che è sempre un simbolo dell'Assoluto, sta ad indicare due concetti: l'irrangiungibilità della fonte originaria con gli strumenti del processo conoscitivo e della razionalità calcolante; il porsi della finalità non fuori ma all'interno del "ricercante". L'esteriore è figurazione dell'interiore e così tutte le forme della ritualità sono da intendere come rappresentazione di stati e condizioni interiori. E qui ritorna il simbolismo come essenza di ogni incarnazione della visione sapienziale. Esso è in grado di indicare la corretta via in quanto riporta dal visibile all'invisibile, dall'esterno all'interno, dal sensibile al trascendente, ed è in tale sua natura che si colloca l'esoterismo, la selezione, la gerarchia, il silenzio verso i profani, i gradi e i passaggi.

(Tratto da Hiram n. 11/12 - Novembre-Dicembre 1990 - Ed. Società Erasmo pag. 27)
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