LA MISURA DELL'ALTRO (Arg: Freud e Lacan)
Freud e poi…
E' ormai molto tempo, non e' piu' un segreto per nessuno, che ci troviamo a svolgere la nostra professione di psicologi all'interno di un clima generale particolarmente attento a questioni quali la valutazione oggettiva del soggetto, l'esame oggettivo diagnostico, la normativizzazione del rapporto terapeutico, la stima dell'efficacia dell'intervento.
A mio avviso queste sono tutte parole curiose, e rimangono unicamente tali dal momento che non vi e' alla base un approccio epistemologico serio che sia in grado di fornire il posto che molti pretendono spetti loro nell'universo della riflessione sul mondo psichico di un soggetto.
Quello che voglio dire e' che la spinta compulsiva alla misurazione, nonche' la pretesa quasi maniacale del possesso del "dato oggettivo", si e' ormai imposta operando una riduzione di criticismo sulle intelligenze dei professionisti che sfoggiano fieramente modelli statistici e quantitativi in grado di incasellare, categorizzare, controllare l'individuo che hanno di fronte, come se la questione della sofferenza psichica vertesse intorno ad un vuoto di sapere colmabile dalle informazioni strutturalmente in eccesso che provengono dall'Altro terapeutico, ovvero lo psicologo, il terapeuta o chiunque si prenda carico della persona che fa domanda di aiuto a causa di una sofferenza concernete il proprio essere-nel-mondo.
Sia ben inteso che non pretendo ora buttarmi a capofitto in dissertazioni di ordine filosofico potenzialmente inconcludenti e lontani dai risvolti pratici della questione di come si cura un soggetto.
Piu' semplicemente ritengo che con il tempo si siano sgretolate le fondamenta che sorreggevano il senso profondo di quella impresa storica compiuta da un uomo che aveva di mira la cura delle "malattie di nervi"; mi riferisco ovviamente a Freud ed al suo lavoro, da cui, per quanto se ne possa dire, discendono tutte le successive teorizzazioni, psicoanalitiche e non, concernenti la possibilita' di operare quella talking cure che e' l'unica specificita' che ci appartiene nel nostro lavoro clinico.
Anche la psichiatria, che ha preferito -molto saggiamente- abbandonare rigorismi concettuali dallo scarso interesse clinico, nonche' umano, cerca oggi una riconciliazione con la psicoanalisi e il suo sapere; mi riferisco agli approcci di psichiatria psicodinamica patrocinati per lo piu' dai colleghi d'oltre oceano.
Insomma, lasciando da parte le sacche di resistenza della psichiatria pura, rigidamente orientata dalle ipotesi biologiche -parlo di sacche proprio perche' non si tratta piu' della psichiatria che va per la maggiore- oggi tutti gli approcci si rifanno piu' o meno tacitamente e piu' o meno indirettamente alla psicoanalisi ed alle sue teorizzazioni, e, quindi, in ultima analisi a quella che fu la scoperta dell'inconscio per come e' stata intesa da colui che ne ha postulato le basi e le metodologie.
L'insegnamento di Jacques Lacan, orientato ad un vero e proprio "ritorno a Freud", ci suggerisce che il prodotto storico che ci tocca acquistare oggi ha come primum movens una certa incapacita' di confrontarsi proprio con il testo di Freud, fino ad accettare e a promuovere -pur servendosi a modo proprio del sapere psicoanalitico- presupposti che ne minano la stessa sensatezza e ne diminuiscono l'impatto esplicativo.
Cercheremo di comprendere cosa sfugge al discorso scientifico contemporaneo orientato alla cura della sofferenza psichica, quali aspetti vanno irrimediabilmente incontro, per usare l'espressione di Lacan, ad una vera e propria verwerfung, forclusione, preclusione.
Il discorso della scienza, il discorso orientato al sapere, al sapere assoluto, come vedremo meglio in seguito, si pone l'obiettivo di svelare la quota razionale insita nel reale, ricoprire con il velo significante, il velo della causalita', l'ambito proprio della casualita', facendo sloggiare tuttavia dal suo posto quella che Lacan chiama "la Cosa" -di cui tratteremo meglio in seguito- ovvero cio' che per definizione e' destinato a restare al di fuori del discorso dell'Altro e non puo' essere assimilato al sapere, ma piuttosto lo fonda come origine del linguaggio e della possibilita' della conoscenza.
Il discorso scientifico, con le sue pretese di normativita' rischia costantemente di articolarsi al di fuori di ogni limite imposto dal reale, perseguendo le proprie leggi in maniera incontrollata, riponendo in tal modo in un cassetto dimenticato la questione dell'etica.
Di questo non ci dobbiamo stupire.
La psicoanalisi ci insegna che e' proprio in relazione a cio' che resta al di fuori del sapere come veicolo di controllo dell'Altro sul soggetto che si struttura la dimensione etica dell'individuo, in quello spazio non normato dalle leggi causative dell'Altro.
"L'esperienza lo dimostra - una forma di analisi che ostenti uno stile spiccatamente scientifico finisce in nozioni normative di cui mi piace talvolta parlare rievocando le maledizioni di san Matteo su coloro che fanno i fardelli piu' pesanti per farli portare sulle spalle agli altri.
Il rafforzare le categorie della normativita' affettiva ha degli effetti che possono essere inquietanti" (1)
Qualora ci poniamo l'intento di curare la sofferenza soggettiva attraverso quello strumento prezioso ed effimero che e' la parola, la domanda centrale - e, ben inteso, porre una domanda significa anche tollerare la possibilita' che di risposte vere e proprie potrebbero non esserci, o che comunque potrebbero non essere immediate e facilmente comprensibili- e' una domanda che potrebbe essere formulata in questi termini: che cos'e' un soggetto?
E siccome il soggetto non e' una cosa, sarebbe piu' opportuno chiedersi Chi e' il soggetto?
Chi e' il soggetto dell'enunciazione, colui che parla davvero?
Proviamo a chiederci dov'e' il soggetto nel discorso di Freud; cerchero' di utilizzare il prezioso contributo di Jacques Lacan per discutere di tale questione; Lacan - proprio in quanto ha operato quel ritorno a Freud che ha il sapore di un continuo confronto con l'esperienza del fondatore di una disciplina di cui si utilizzano correntemente i termini e che si pretende di saper maneggiare…Si prega di maneggiare con cura!
Reale ≠ razionale
Non c'e' dubbio che la psicoanalisi in quanto scienza, piu' o meno esatta la si voglia considerare, ha come perno concettuale l'inconscio, l'inconscio in quanto parla, comunica, dice la sua opinione sulla faccenda, opinione misconosciuta dall'individuo, il quale paga con il sintomo il prezzo di tale misconoscimento.
Se l'inconscio freudiano parla, ça parle direbbe Lacan, e' perche' ha qualcosa da dire, e questo qualcosa si colloca a livello del non sapere: l'individuo parlante non sa cosa dice.
Ed ecco che ci troviamo gia' catapultati nella questione chiave del problema: sapere o non sapere?
Il discorso scientifico contemporaneo pretende di porre un sapere laddove presume che questo non ci sia ancora, di installare, per utilizzare una metafora informatica, un software funzionante in un hardware logorato.
Facciamo un passo indietro; cosa ci dice Freud?
L'individuo non sa, non conosce, ma che cosa?
Non conosce il proprio desiderio, che, in quanto tale e' per forza di cose inconscio, e c'e' una ragione per cui tende a restare tale, ragione che ha intimamente a che fare con la vivibilita' della vita, con la possibilita', parlando in termini energetici come ha fatto Freud, di far funzionare correttamente il principio di piacere, ovvero il principio che governerebbe l'insieme degli apparati omeostatici dell'organismo.
Piu' volte Freud si e' soffermato sul problema energetico, dapprima contrapponendo principio di piacere e principio di realta', e, nelle ultime fasi della sua riflessione, una volta introdotta la nozione di pulsione di morte, ponendo da un lato Eros -in cui principio di piacere e di realta' collaborano- e dall'altro Thanatos.
E' proprio intorno a questo Thanatos, che Lacan ci dice essere il boccone difficile da mandar giu' della teoria freudiana, che verte tutto il problema; e Freud ce lo spiega molto bene parlando del Disagio della civilta'.
In quest'opera Freud si rassegna all'idea che la felicita' sia estranea all'essere parlante, che per quanto le esigenze del super-io vengano soddisfatte, perdurera' un malessere nell'individuo dovuto proprio all'insaziabilita' dello stesso super-io, situando il problema del masochismo morale nel campo del soddisfacimento della pulsione.
L'essere umano rinunciando gode, soddisfa la pulsione, e per cio' il senso di colpa si fa sentire sempre piu' a gran voce.
Detto in altri termini, esiste qualcosa dell'ordine della pulsione che non si lascia integrare nel discorso dell'Altro, in quel discorso regolato dalle leggi del linguaggio e dello scambio simbolico che mira a rendere stabile e duraturo il patto sociale.
Lacan, sulla scia di Freud, ci ha insegnato che l'esperienza dell'analisi e' primariamente un'esperienza di significazione.
L'azione della parola sul corpo nella teoria di Freud testimonia di un potere del linguaggio sul sintomo in quanto luogo di soddisfazione della pulsione; il presupposto di tutta la teoria psicoanalitica e di ogni pratica terapeutica centrata sulla parola e' proprio questo: la parola, il significante incide sulla pulsione ed e' in grado di orientarla.
Il sapere, potremmo dire, il sapere che proviene dall'Altro, l'interpretazione dell'analista nella teoria classica della tecnica analitica, produce uno stravolgimento nelle rappresentazioni inconsce.
Ci troviamo di fronte al perno intorno a cui ruota anche la pratica terapeutica contemporanea: un sapere deve giungere dall'Altro per curare il soggetto.
Questo non sembra molto diverso da quanto esplicitato dallo stesso Freud, il quale promuoveva l'idea pressoche' radicale di un determinismo psichico inflessibile che orienta la struttura soggettiva fin dalle sue origini.
Tuttavia, il testo di Freud apre anche delle problematiche intorno alla possibilita' che il sapere dell'Altro possa pacificare il soggetto, che possa esistere una sintesi definitiva nei termini di una "realizzazione di se'", "armonia del rapporto tra il soggetto e l'altro", "riappropriazione del proprio mondo soggettivo"…. tutte espressioni che vanno per la maggiore oggi.
L'insegnamento di Lacan verte proprio su due modalita' differenti di intendere la cura analitica: la prima molto vicina alle pionieristiche teorizzazioni freudiane, mentre la seconda centrata sulle problematiche lasciate aperte da Freud intorno al concetto di pulsione in quanto pulsione di morte.
Abbiamo gia' detto che per Lacan -cosi' come per Freud- l'analisi e' primariamente un'esperienza di significazione:
"Il problema si pone dunque per lui [il soggetto] alla seconda potenza, sul piano dell'assunzione simbolica del proprio destino, nel registro della propria autobiografia"
"La questione del soggetto non e' per niente in relazione con cio' che puo' risultare da tal svezzamento, dall'abbandono o dalla mancanza vitale di amore o di affetto, ma concerne la sua storia in quanto egli la misconosce, ed e' cio' che suo malgrado esprime tutta la sua condotta quando cerca oscuramente di riconoscerla.
La sua vita e' orientata da una problematica che non e' quella del suo vissuto, ma quella del destino, e cioe' - che cosa significa la sua storia?"(2)
Siamo nei primi anni dell'insegnamento di Lacan, in cui egli intende la cura come un processo di ricostruzione soggettiva della propria storia in quanto misconosciuta.
Tutto ruota attorno a questo riconoscimento, a questo incontro mancato con la significazione della propria storia.
"Qual e' il mio destino?"
L'accento e' posto sull'ordine del simbolico in quanto veicolo di riconoscimento del senso della propria esistenza.
Soltanto successivamente Lacan, addentrandosi negli oscuri cunicoli dell'esplorazione finale di Freud intorno alla pulsione in quanto pulsione di morte, definira' diversamente il processo di cura come orientato all'assunzione di questa pulsione, di questo reale inassimilabile all'ordine del simbolico di cui Freud parla in merito al disagio della civilta'.
L'inconscio, dapprima inteso come "insistenza significativa" in attesa di riconoscimento, diventera' una "faglia", una discontinuita' impossibile da colmare, da logicizzare interamente attraverso il sapere, un buco e insieme il suo bordo, la sua bordatura, la sua circoscrivibilita'.
Lacan utilizzera' per parlare di cio' la metafora gia' utilizzata da Heidegger nel suo scritto Das Ding, La Cosa.
Ecco che, in questo senso, il compito dell'analista non sara' quello di suturare questa faglia, di richiuderla, nemmeno con la pretesa che una totale ri-significazione della propria storia sia sufficiente ad annullare questa divisione soggettiva, questa frattura strutturale, Spaltung, scissione soggettiva.
Gli approcci cosiddetti scientifici si ripropongono proprio questo obiettivo: far rientrare il soggetto all'interno di valori che ne costituirebbero i confini in termini di normalita', attivita' ed armonia nel rapporto con se' e con gli altri.
Eppure Freud e' il primo a dirci che l'essere parlante ha un problema tutto suo con la sfera della norma, della norma in quanto impone di cedere soddisfazione, godimento, per entrare nel circolo degli scambi sessuali.
"L'inconscio si era richiuso sul suo messaggio grazie ai buoni uffici di quegli attivi ortopedici che sono diventati gli analisti della seconda e della terza generazione, che si sono adoperati, psicologizzando la teoria analitica, a suturare questa faglia"(3)
Provo ad entrare un momento nel dettaglio.
Molti approcci a base psicoanalitica si fondano, come ci ha mostrato lucidamente Lacan, sull'idea di un'armonia cosiddetta genitale, come se tutta la teoria di Freud si potesse ridurre ad una cronologia stadiale dello sviluppo ontogenetico.
In Freud la genitalita' non e' garante di armonia; al contrario, e' proprio contro gli impulsi genitali che si dirige quella rimozione che arriva a definire il nucleo funzionale del complesso di Edipo.
Freud ne parla nell'aggiunta apportata ai Tre saggi sulla teoria sessuale: la libido genitale viene colpita dalla rimozione e cio' comporta uno smistamento libidico all'interno dei canali collaterali della pulsione stessa; sta parlando delle pulsioni parziali.
Freud in queste pagine, e lo fa in molte altre occasioni, sta affermando che la genitalita', che identificherebbe quello stadio di sviluppo psico-sessuale adulto che si pretende porti l'individuo verso la "normalizzazione", l'"adattamento" e quant'altro, non risolve il conflitto insanabile che esiste tra la pulsione e il campo dell'Altro sociale, dell'Altro simbolico della Legge.
Non c'e' equivalenza; permane un resto al di fuori del campo del linguaggio e del sapere dell'Altro; e questo resto ha a che fare proprio con qualcosa di inerente al desiderio inconscio, con la sua causa, con la pulsione che preme e ritorna costantemente ripetendosi come l'Identico che pretende soddisfazione, che pretende l'assimilazione all'Uno.
In fin dei conti permane del disagio legato all'esistenza dell'Altro, alla sua alterita' strutturale.
In contrasto alla formula cara all'idealismo hegeliano, non tutto il reale e' razionale.
Potremmo anche dirlo in questi termini: per quanto lo si cerchi, l'Ideale della cura non lo si trovera' mai -e grazie a Dio! - dal momento che non c'e', non e' reperibile nel campo del sapere dell'Altro.
Dove l'Altro lo fa credere tale, li' hanno inizio tutte quelle forme di dipendenza dal terapeuta che Jacques Alain Miller ha definito "autosuggestioni indotte", in cui piu' o meno implicitamente l'obiettivo della cura consistera' nella necessita' da parte del soggetto di identificarsi al proprio "salvatore", di assumere come proprio il suo sapere interiorizzandolo.
Siamo nel campo dell'alienazione soggettiva.
"Ecco che cosa bisogna ricordare al momento in cui l'analista si trova in posizione di risposta a chi gli chiede la felicita'.
La questione del Sommo Bene si pone ancestralmente per l'uomo, ma lui, l'analista, sa che tale questione e' una questione chiusa.
Non soltanto quel che egli gli chiede, il Sommo Bene, egli non l'ha di certo, ma sa che non c'e'.
Aver condotto a termine un'analisi altro non e' che aver incontrato tale limite su cui si pone tutta la problematica del desiderio"(4)
La scoperta di Freud ha senso solo se posta nel campo del simbolico che si stringe fino ad intravedere cio' che resta al di fuori della legge e del sapere, luogo che Lacan individuera' come lo spazio che la struttura ha destinato alla liberta' soggettiva e su cui puo' essere fondata un'etica della psicoanalisi.