L’annullamento della morale
Nella corteccia prefrontale c’è anche un’area della morale. Antonio Damasio, neurologo dell’Università di Iowa City, ha studiato due giovani non consanguinei: 23 anni lui e 20 lei. Venivano entrambi da famiglie di media borghesia americana: villetta con giardino e barbecue, genitori dalla vita tranquilla, ligi alle regole, i fratelli ben inseriti. Loro no, erano due mascalzoni: bugiardi, ladri, indifferenti ai figli che hanno generato, litigiosi, fannulloni, incuranti della pulizia, privi di sensi di colpa e di rimorsi. Cosa avevano in comune? Una lesione nella corteccia prefrontale riportata per un incidente quando erano piccolissimi. Se quest’area viene danneggiata, l’apprendimento della morale, di cosa è bene e di cosa è male, diventa impossibile. Oggi le loro risposte ai test sono motivate esclusivamente dalla paura: la loro ‘maturazione morale’ è ferma alla prima infanzia, quando non si ruba la marmellata perché rubare è male, ma per timore della punizione da parte di chi rappresenta l’autorità. La coscienza morale sulla quale modelliamo il nostro comportamento ha una base biologica, come la vista, la fame, l’udito.
Per interpretare la realtà, il cervello prima la capta con i sensi, la scompone in tante tessere, inviando poi ogni tessera a gruppetti di cellule specializzate, i nuclei, disseminate nella corteccia. Le informazioni visive per esempio impressionano la retina, che contiene cellule nervose. Queste scompongono l’informazione e la inviano al talamo, nella parte più antica e interna del cervello, che ha una funzione di smistamento. Il talamo invia le informazioni, che diventeranno colori, ai nuclei che trattano i colori, le righe orizzontali e verticali ai nuclei che si occupano di queste; le figure in movimento a un altro nucleo specializzato. Tutto questo è solo l’inizio, perché il talamo smista così anche i suoni e i significati dei vocaboli, nonché le note musicali. Il cervello decodifica tante tracce sensoriali quante sono le sue porte d’ingresso: vista, udito, gusto, olfatto, tatto e poi i sensi interni, la percezione del dolore, del mondo delle emozioni, la fame.
Quanto tempo impiega in questo processo? Un baleno. Benjamin Libet, dell’Università della California a San Francisco, ha scoperto che il cervello impiega 500 millisecondi per elaborare la realtà in modo conscio, ma ne bastano 150 per l’individuazione sensoriale senza consapevolezza, cioè per vedere qualcosa e decidere che non è interessante né degna di nota, come il pedone che passa sul marciapiede mentre si è al voltante. Il processo di prendere coscienza consiste in un lievissimo, impercettibile ritardo tra quello che vediamo e sentiamo e quello che sappiamo di aver visto e sentito.
Le parti più importanti di questo film passano nella memoria. “Quella che chiamiamo memoria sono le connessioni fra le cellule nervose”, spiega Alberto Oliverio. “Una memoria appena registrata può coinvolgere migliaia di neuroni su tutta la corteccia. La voce di una persona appena conosciuta va nell’area del cervello con la quale si decodificano i suoni; il viso viene scomposto nei suoi vari aspetti e va nei 20-21 nuclei del cervello che trattano l’informazione del viso e relative espressioni; l’odore va con gli altri odori sentiti nella vita; la simpatia dove sono trattate le emozioni e così via”. Una rete di collegamenti incredibili per trattenere solo il ricordo di una persona della quale si sa ancora poco. Se poi questa memoria non viene più usata, lentamente i legami che si sono creati fra le cellule che collegano quel profumo con quel viso, quelle espressioni e quella voce si indeboliscono e si sciolgono, e il ricordo svanisce. Ma se viene ripetutamente attivato, queste connessioni diventano più strette e il ricordo si fa indelebile.