Le origini bibliche: Noè

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sonardj
00martedì 18 marzo 2008 15:27
Le origini bibliche: Noè

di S. C.

Il libro della Genesi introduce la figura di Noè riportando il pensiero di Lamech, suo padre: "Questi sarà nostra consolazione nel lavori e nelle fatiche delle nostre mani in questa terra, che è stata maledetta dal Signore" (Gri. V, 29).

Noè si presenta subito, quindi, come colui che è atteso, che porta aiuto nel duro lavoro giornaliero sulla materia.

Nel racconto biblico Dio, com'è noto, stanco della malizia degli uomini, decide di sterminarli col Diluvio, ma svela a Noè, l'uomo giusto e perfetto tra i suoi contemporanci, il SUo disegno. Infatti si rivolge a lui dicendo: 'Tatti un'Arca di legni piallati; tu farai nel l'Arca delle piccole stanze e la vernicerai di bitume di dentro e di fuori" (Gn. VI, 24). C'è già una netta separazione, quindi, fra la stirpe di Caino, con Tubalcain maestro nei lavori fabbrili e Noè, della stirpe di Seth, falegname e carpentiere. E' a quest'ultimo che Dio si rivolge, per la prima volta nella Genesi, con un Progetto dettagliato: "Fatti un'Arca," dice il Signore a Noè; la lunghezza dell'Arca sarà di trecento cubiti, la larghezza di cinquanta cubiti, l'altezza di trenta; farai nell'Arca una finestra, e il tetto dell'Arca lo farai che vada alzandosi fino ad un cubito; farai poi da un lato la porta dell'Arca; vi farai un piano di fondo, un secondo piano un terzo piano" (Gn. VI, 15-16). Il tetto sarebbe perciò stato di tipo piramidale, inclinato di un cubito. Prosegue il Signore dicendo:"E di tutti gli animali d'ogni specie ne farai entrare nell'Arca due, affinché vivano con te maschio e femmina" (Gri. VI, 19). "Di tutti gli animali mondi ne prenderai a sette a sette, maschio e femmina; e degli animali immondi a due a due, maschio e femmina'" (Gn. VIII, 2). Per la prima volta, quindi, Dio rivela all'uomo nozioni specifiche riguardanti il giusto Peso, il giusto Numero, la giusta Misura. Ma vedremo che di numeri e di calcoli abbonda tutta la narrazione del Diluvio. L'acqua Coprì i monti: "Quindici cubiti si alzò l'acqua sopra i monti che aveva ricoperto" (Gri. VII, 20) "E le acque signoreggiarono la terra per centocinquanta giorni" (Gn. VII, 24). "E l'arca si posò il ventisette del settimo mese sopra i monti d'Armenia (Gri. VIII, 4). Solo il primo giorno del decimo mese si scoprirono le vette dei monti, e solo dopo quaranta giomi Noè aprendo la finestra dell'Arca, liberò il corvo per vedere se la terra era asciutta (Gn. VIII, 5-7). Noè aveva seicento anni quando venne il Diluvio; il Signore lo fece uscire dall'Arca "L'anno seicentouno di Noè" (Gn. VIII, 13."Il secondo mese, al ventisette del mese"(Gn. VIII, 14).

La vicenda narrata nella Bibbia non è l'unica: altri racconti mitici, mesopotamici, greci, indiani, addirittura irlandesi accennano a questo evento, che sembra far parte di un patrimonio mitico comune a tutta l'umanità, tanto da far pensare ad un'origine comune delle conoscenze tradizionali e dei popoli. Secondo la Genesis Rabba, commento rabbinico del quinto secolo d.C., nell'Arca entrarono anche alcuni spiriti erranti, una coppia di mostri, i Reem, che erano così enormi da appoggiare solo il muso sulla barca, ed il Gigante Og, che si aggrappò ad una scala di corda. Durante il Diluvio, Noè aveva proibito al figli di avere rapporti con le loro mogli perché, mentre il mondo veniva distrutto, non si poteva pensare a dar vita ad altre creature. Anche tutti gli animali dovevano obbedire a questa regola. Alla fine, tre esseri disubbidirono: il corvo, il cane e Cham, quest'ultimo per impedire che i fratelli collegassero la gravidanza della moglie con la colpa di Shemhazai, angelo caduto.

Il riferimento al corvo, sia nella Genesi sia nella Gen. Rabba, ritorna alle coeve tradizioni accadiane, greche e sumere. Il mito, conosciuto anche da Hurriti ed Hittiti, rimanda al poema di Gilgamesh, in cui si narra che dopo molte avventurose vicende, l'eroe semidivino, nella sua ricerca dell'erba dell'immortalità, si imbatté nel vecchio saggio Utnapishtim, scampato al diluvio voluto dal dio Enlil perché l'umanità aveva dimenticato di fare sacrifici agli dèi. In questo mito le dimensioni dell'Arca sono diverse: si tratta di un cubo di centoventi cubiti per lato, con sei (e non tre) ponti. Calafatata col bitume, accolse una quantità di animali, servi e tesori. In un'altra versione sumera, il prescelto dal dio è Ziusudra, che riportò alla luce certi libri sacri sepolti prima del diluvio nella città di Sippar. Tema questo del salvataggio della tradizione prediluviana, riproposta dopo il Diluvio all'umanità, ormai monda dal peccato. Il mito greco di Deucalione e Pirra, per restare in ambiente mediterraneo, è ben noto a tutti: anche qui Zeus, irato, scatena il Diluvio; si salvano Deucalione e Pirra, che daranno origine ad una nuova umanità gettandosi dietro le spalle, secondo l'oracolo di Delfi (ma chi avrà dettato il responso ai due, se l'umanità era stata distrutta?) le ossa della Grande Madre, la Terra.

Il corvo, come si diceva, è presente sia nella versione ebraica, dove ritorna quando le acque si ritirano, sia nella versione assira, in cui invece non torna perché, dato che l'inondazione era alla fine, trova carogne per cibarsi. Nella versione assira l'eroe manda anche una colomba ed una rondine; quest'ultima è assente nella versione biblica.

Il corvo era visto dagli ebrei in modo ambivalente: nel Deuteronomio è considerato immondo (Det. XIV, 11-14) mentre in I Re, (XVII, 4-6), i corvi nutrono il profeta Elia.

Nonostante così varie testimonianze, sia nel tempo sia nello spazio, del Diluvio, alcuni spiriti critici potrebbero dubitare di un evento così lontano; prove irrefutabili ci vengono in soccorso però dall'archeologia. Nell'estate del 1929, l'archeologo Sir Leonard Woolley, che dirigeva una campagna di scavi a Ur dei Caldei, fece scavare una fossa sotto la tomba reale più profonda, per accertare se la terra teneva ancora in serbo altre sorprese per una futura campagna di scavi. Dopo vari giorni di duro lavoro, gli sterratori si imbatterono in uno strato di argilla vergine. Sir Leonard Woolley, insospettito dal fatto che lo strato di argilla si trovasse a molti metri sopra il livello del fiume, e non, come avrebbe dovuto, molto più in basso, fece scavare ancora: dopo tre metri di argilla comparvero improvvisamente altre macerie, altri cocci di terracotta, ma con un aspetto e una tecnica completamente differenti dal manufatti precedenti. Negli strati superiori infatti, i vasi erano stati realizzati con la tecnica del tornio da vasaio, mentre in questi ultimi si notava che erano stati confezionati senza usare il tornio. Non vi era inoltre più alcuna traccia di metallo. Woolley era giunto all'età della pietra, ritrovando le tracce di un'altra città, una prediluviana; e grazie agli Oggetti rinvenuti, risultava possibile datare con una certa approssimazione questo grandioso evento intorno al 4.000 a.C. confermando così in pari tempo tutte le tradizioni che ricordavano il Diluvio.

Nel libro della Genesi è scritto che, finito il Diluvio, "Noè edificò un altare al Signore: e prendendo di tutte le bestie e uccelli mondi li offrì in olocausto sopra l'altare", ottenendo così che Dio mutasse il Suo pensiero e decidesse di salvare la Creazione (Gn. VIII, 20 e ss.). E' Noè il primo uomo ad innalzare un altare, cioè un manufatto, frutto del lavoro sulla materia, dedicarlo al culto di Dio, al dialogo con l'Eterno. L'altare è la pietra cubica; non è ancora quella pietra levigata dall'instancabile lavoro dello scalpellino; a quell'epoca non ce n'era bisogno.

In Gn. XXXV, 14 è descritto il rituale della consacrazione dell'altare, ad opera di Giacobbe: libagioni di vino e spargimento d'olio sulla pietra non violata dal ferro.

Vino e olio: anche questo episodio ci rimanda a Noè. Infatti in Gn. IX, 20 si legge: "E Noè, che era agricoltore, principiò a lavorare la terra, e piantare una vigna". A questo punto, nel racconto della Genesi si inseriscono i primi Misteri e mi riferisco non tanto agli strumenti dell'Ars Carpentaria, quali l'ascia da carpentiere, il regolo, il compasso, la pialla ecc. ma all'episodio della nudità di Noè, alla scoperta di Charri di questa nudità dovuta come ognun sa alle eccessive libagioni di vino del vecchio Patriarca, e alla condotta, rituale e mistica, di Sherri e Jafet, che procedendo all'indietro, velano con un mantello le nudità paterne, trasparente simbolo di un'avvenuta violazione e di una successiva ripristinazione di quelli che in mancanza di termini più adatti potrebbero essere chiamati i "Misteri"di Noè.

E' scritto nella Bibbia: "E avendo bevuto del vino si inebriò e si spogliò dei suoi panni nel suo padiglione. E avendo veduto Cham padre di Chanaan, la nudità del padre suo, andò a dirlo ai suoi fratelli. Ma Sherri e Jafet, messosi un mantello sopra le loro spalle, e camminando all'indietro, coprirono la nudità del padre, tenendo le facce rivolte all'opposta parte e non videro la sua nudità" (Gn. IX, 21-23). E' probabile che la maledizione di Charri derivi dall'essere andato al padiglione del padre e dal non aver provveduto egli stesso, come invece hanno fatto Shem e Jafet, a coprirlo, ma piuttosto a rivelare ciò che aveva visto e che doveva restare celato.

Dopo il Diluvio, Noè visse ancora trecentocinquanta anni, e poi all'età di novecentocinquanta morì.

E' giunta l'ora di vedere più da vicino cosa possono nascondere questi simboli.

Intanto l'Arca rappresenta il dominio delle Acque inferiori, ed è il simbolo della dimora protetta da Dio che salvale specie della terra (Chavalier e Gheerbrant): per Filone d'Alessandria rappresenta il corpo dell'uomo. L'Arca è anche vista come il ricettacolo della conoscenza sacra antidiluviana. che Noè ha ,salvato per i posteri e che è contenuta nella Torà ebraica. Ma altri significati si nascondono in questo simbolo di così alto interesse massonico.

In Gn. VI, 14 si parla di un'Arca di legno di Gòfen cioè resinoso o di acacia. La Vulgata traduce quadrangolare o quadrato. Essa rappresenta la scienza sacra che non deve essere rivelata ai profani: al di là della sua foma materiale, racchiude segreti iniziatici. Ma proseguiamo, e vedremo che i materiali dell'Arca ci rirnandano al numen, ed i nuineri all'Arca. Dio consi-lia a Noè di spalmare l'Arca di bitume dentro e fuori. Anche se normalmente usato pure ai nostri tempi per calafatare le imbarcazioni, il bitume ha precisi significati simbolici: intanto il nero, che è un colore polivalente. il nero è assenza di colore secondo le autrici de "Il significato dei colori" la pietra impiegata nella costruzione degli edifici sacri era basalto, diorite o granito nero; per gli Egizi, la divinità unica all'atto della Creazione si divise in varie funzioni, ciascuna col suo colore, quindi penetrò nelle cose. animandole. Il nero in ogni mito rappresenta il non-manifesto che si esplicherà in un sistema coerente: cielo/terra, sole/luna ecc. Il nero è anche simbolo di fecondità, legato all'oscurità delle acque; rappresenta la virilità e la potenzialità. Il nero è morte e lutto, ma anche rigenerazione e in Egitto Osiride era chiamato Grande Nero e Signore dell'Occidente. Nel nero dell'Amenti il defunto si rigenerava prima di raggiungere la barca di Ra. In Grecia Dionisio, riccioli neri, bacche nere, uva nera. è l'opposto di Osiride, potenzialità dei seme nascosto nella terra nera, ed è legato, secondo le Autrici di cui sopra, alle forze oscure dell'inconscio. li nero ha dato origine alla parola Alchimia, riferendosi alla scienza di Chemi, la nera terra dell'Egitto. Com'è noto, la prima operazione da compiere in alchimia è la Nigredo, od Opera al Nero. Ma torniamo al simbolismo dell'Arca, dove tutto è giusto Peso, Numero e Misura.

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Le sue dimensioni sono trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Origene dà la seguente spiegazione: trecento rappresentano sia la pienezza (cento) sia la Trinità (tre), cinquanta la Redenzione. Il culmine dell'Arca, il tetto piramidale che si assottiglia sempre di più rappresenta il numero Uno, simbolo dell'unità di Dio. L'analogia fra trenta e trecento è evidente; per Isidoro di Siviglia quest'ultimo è pari a sei volte cinquanta e rappresenterebbe le sei età del mondo.

Per la Cabala ebraica, invece, il numero trecento è il valore della lettera Shin, la ventunesima dell'alfabeto ebraico (Nadav). Rappresenta il triangolo di ventiquattro, che è il totale dei libri della Bibbia ebraica. Il numero ventiquattro è associato a varie parole, tra cui Kad, che in ebraico significa vaso o giara. Nella Cabala ebraica, come si sa, ogni lettera dell'alfabeto è anche un numero, e viceversa. Così al numero trecento sono associate molte parole e frasi le cui lettere sommate danno questo numero; da ricordare Ruach Elohim, Spirito di Dio; Tzir, messaggero, asse, forma; Kafar, mettere bitume; Kiper, perdonare, rimettere i peccati, espiare (ricordate che una delle maggiori feste ebraiche è il giorno del Kippur, la festa del perdono, appunto); Pakhar, distruggere o battere. Il numero cinquanta rimanda alla lettera Nun, la quattordicesima dell'alfabeto, con un legame con il secondo ed il cinquantottesimo Nome di Dio, secondo lo Schernanphoras (serie di versetti da cui si estraggono per via cabalistica i Nomi di Dio e i nomi degli angeli impuri). Altri equivalenti sono: Adamah, terra; Yam, mare; Kol, il tutto. Il numero cinquanta è molto importante perché rappresenta le cinquanta porte della conoscenza per la Cabala. Trenta vale la lettera Lamed, dodicesima dell'alfabeto ebraico. Tra i molti significati, da ricordare il ventunesimo nome di Dio per lo Schemanphoras, la parola Yiheh, sarà, e varie altre parole legate al concetto di oscurità. Trenta cubiti era alta l'Arca che Noè giunto in Armenia, inondò di luce terminate le piogge scroscianti. Altri numeri ricorrenti nel racconto, in carrellata veloce sono: Uno, unità di fondo della Creazione; Due, l'inizio della molteplicità; Tre, triangolo di due, Padre, ma anche maestro, fondatore; Sette, ventiseiesimo nome di Dio, e significa tra l'altro fortuna (Gad); Dieci, triangolo di quattro, e la parola Gavah, esaltato; Quindici, cifra di Y-H, uno dei più importanti nomi di Dio, H-H-H, quarantunesimo nome di Dio, e Hod, splendore, ottava sefirà dell'Albero della vita; Ventisette, che vale Zach, puro, Tiach, essere attaccati insieme, ma anche Chidah, enigma; Quaranta, la mano di Dio, Redentore, ma anche distruttore, devastatore.

Centocinquanta è il numero della Shekhinah, la presenza gloriosa di Dio, e corrisponde a Malkhut, la sefirà più bassa dell'Albero della Vita; trecentocinquanta vale intelletto, Sekhel; Seicento, gli anni di Noè al tempo del Diluvio, significa viaggiare, girare, esplorare; seicentouno dà Rishonim, i progenitori, e anche intelletto datore di luce, Sekhel Meir. Infine, il numero novecentocinquanta, il totale degli anni di vita di Noè danno la frase: lo sono il Primo e l'Ultimo.

Molti altri significati si nascondono dietro i numeri in cui si è accennato, anche contrari a quelli sopra riportati. Rimando al bel testo di Nadav, "I numeri dei Segreto", chi volesse approfondire il tema dei numeri. Prima di concludere, vorrei dire dell'Arcobaleno. Ponte fra cielo e terra, corrisponde al dominio sulle acque Superiori, a completarnento dell'Arca, che domina le acque Inferiori; per R. Guénon, Arcobaleno ed Arca sono le due metà dell'Uovo Cosmico, mentre in India ed in Mesopotamia i sette colori dell'Iride rappresentavano i sette Cieli. L"Arcobaleno è anche un simbolo ascensionale; il Cristo in gloria, bizantino o romano, è rappresentato spesso in mezzo ad un arcobaleno. Quell'arcobaleno che è il simbolo visibile dell'avvenuta riconciliazione di Dio con l'umanità tramite Noè, primo ad erigere un tempio a Dio, e probabilmente con tronchi ed assi di legno: d'altronde, non si parla tutt'ora della navata della chiesa'? Il simbolismo della chiglia rovesciata della nave, utile come tetto e non più per galleggiare, ci riporta ancora una volta al Diluvio e a Noè.

Bibliografia

La Sacra Bibbia Edilec, Torino 1980

Nadav, E.M.T., I numeri del Segreto, ed. priv. Milano, 1990

J. Chevalier, A. Gheerbrint, Dizionario dei Simboli, BUR, 1986

L. Luzzatto, R. Pompas, Il significato dei colori nelle civiltà antiche. Rusconi. 1988

R. Giaves. R. Patai, I miti ebraici, Longanesi, 1969

G. Seliolein, La Kabbalah e il suo simbolismo, PBE FinaUdi, 1980

E. Levi, Il dogma dell'alta magia, Atanòr, Rorna. 1976

R. Graves, I miti greci, Longanesi, 1977

W. Keller, La Bibbia aveva ragione, Garzanti, 1975

T.H. Gaster, Le più antiche storie del mondo, Oscar Mondadori, 1973.

(tratto da IL LABORATORIO, n. 6 marzo-aprile 1993, Coll.Circ. Toscana- Ed. Angelo Pontecorboli/KARTA Sas, Firenze)
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