Sigmund Freud

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sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:32
intro
Sigmund Freud, filosofo tedesco, oggi è noto essenzialmente per la psicanalisi. Ebreo, fu perseguitato dai nazisti, che bruciarono i suoi testi insieme a quelli di Albert Einstein . Morì nel 1939. Freud più che filosofo lo possiamo definire un medico psicanalista, che ha studiato i meccanismi della mente umana, dando una interpretazione scientifica del sesso e scoprendo e teorizzando "l'inconscio" (in passato intuito da Gorgia ed analizzato in parte da Galeno). L'inconscio è la parte irrazionale della psiche; per i cattolici e gli illuministi non esiste, perché per i primi esistono solo gli istinti e per i secondi esiste solo la ragione.

La psiche umana è divisa in tre parti : l'Esse, che è scaturita dall'ambiente sociale in cui si nasce o da una eredità genetica, l'Io, che è regolato dal rapporto che si ha con la realtà, il Super Io, la parte più nobile della nostra psiche che si plasma in base alla coscienza, ai modelli e agli ideali di una persona.

Freud lo possiamo definire sia positivista che antipositivista. E' ottimista in quanto crede che l'uomo sia capace di sublimare gli istinti, quindi positivista, ma scopre l'inconscio o Esse, e quindi è antipositivista perché non ammette la sola ragione nei meccanismi psichici. Freud per arrivare a scoprire la psicanalisi lavorò tanti anni su dei malati, e dedusse che la differenze fra il malato ed il sano è un fatto di quantità di istinti, il sano riesce a mantenere l'equilibrio fra esse, io, e Super-io. La psicanalisi è essenzialmente un metodo di cura contro le nevrosi, il malato fa un compromesso con il medico, per poter essere guarito, questo deve assolutamente lasciarsi andare per sciogliere le resistenze dell' Io e far emergere l'inconscio, questi sono in perenne lotta, solo con l'emergere dell'inconscio il malato può guarire. Il momento in cui il malato molla le forze mentali viene chiamato "transfert" , poi si ha la "rimozione" in cui l'Io del malato crolla e vengono esternati gli istinti nella "abreazione". A questo punto la questione diviene molto delicata, lo psicanalista per poter procedere deve essere molto competente, non deve permettere che avvenga l'incrocio di sguardi con il paziente, questo potrebbe provocare lo stop dei processi di abreazione. In genere i malati più intelligenti guariscono prima, perché avviene prima in loro il fenomeno della "associazione libera", ossia il malato si rende conto della sua malattia ed è più facile guarire. La psicanalisi rimane ancora oggi una pratica molto costosa che in poche si possono permettere. L'isteria, la nevrosi e in alcuni casi le paralisi sono conseguenza di un'attività psichica instabile. La migliore soluzione di una psicanalisi è la sublimazione, ovvero la trasformazione di istinti sessuali in qualcosa di produttivo (es: un uomo sublima i suoi istinti sessuali nello studio).

Alla psicanalisi, però vengono spesso associati fatti di cronaca incresciosi, infatti, in passato in America, vigeva una moda squallida, gli psicanalisti abusavano sessualmente dei loro pazienti, in quanto in cura il malato si affida totalmente allo psicanalista instaurando un rapporto di odio - amore, che alcune volte porta all'aggressione dello psicanalista. Molti uomini della politica, invece, si sono sottoposti alla psicanalisi per intenti utilitaristici, infatti, chi effettua la psicanalisi, impara a conoscere la sua psiche ed automaticamente è capace di capire i comportamenti di qualsiasi altra psiche, divenendo così quasi un'arte da sofisti. Tutto questo Freud lo escludeva, per lui la psicanalisi doveva essere semplicemente una cura.

Freud ha analizzato anche il sogno. Egli ha detto che nel sogno c'è un contenuto onirico, proprio del sogno, e un contenuto latente, generato dall'inconscio. L'Io nel sogno si allenta, ma non sproporzionatamente tanto da fare emergere l'esse, si accede all'inconscio, tendiamo a trasferire un oggetto su un altro corpo. Lo psicanalista ebreo, ha anche analizzato i vari stadi della sessualità, dividendoli in quattro fasi : la prima è quella orale, il bambino prova piacere ad allattare dal capezzolo della madre, la seconda è quella sadico-anale, il bambino prova piacere nell'escrezione delle proprie feci, la terza è quella fallica, in cui l'adolescente pratica autoerotismo (masturbazione), la quarta ed ultima fase è quella genitale, in cui l'uomo ha dei rapporti sessuali con il sesso opposto. Freud afferma che si è normali per convenzione, in queste fasi, afferma lo psicanalista, si possono avere parecchi traumi o complessi, come i complessi di Edipo ed Elettra; questi si fanno alla mitologia greca, Edipo uccise il padre per l'amore per la madre, al contrario fece Elettra. L'essere omosessuale è dovuto al fatto che nella fase fallica si pensa al proprio sesso. Il feticismo invece colpisce il bambino che non convincendosi che la donna è senza pene, vede peni da per tutto. Freud divide la psicologia in tre parti : dinamica, Thanatos ed Eros (libidine e natura inorganica), economica (piacere e dispiacere), topica (esse, io e Super-io). Karl Popper, filosofo liberale del novecento, affermerà che Freud per la scoperta dell'inconscio e quindi della debolezza umana sarà insieme a Darwin e Galileo, colui che ha umiliato l'uomo.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:32
vita e opere
Sigmund Freud nacque il 6 maggio 1856, da una modesta famiglia israelitica, a Freiberg (Moravia). A Vienna dove la famiglia si era trasferita quattro anni dopo la sua nascita, si iscrisse dapprima alla facoltà di Scienze, dedicandosi con alcuni successi alla ricerca pura e, successivamente, a causa di problemi economici, a Medicina. Nel 1881 si laureò. Quattro anni dopo ebbe la libera docenza in neuropatologia ed una borsa di studio; ne approfittò per andare a Parigi, alla Salpêtrière, da Charcot, il più grande neurologo europeo di quei tempi. Per la cura degli isterici Charcot si serviva dell'ipnoterapia ed in quegli anni l'interesse di Freud per l'ipnosi divenne vivissimo. Dell'ipnosi per la terapia dei casi isterici si serviva anche a Vienna il dottor Joseph Breuer. A partire dal 1887 Freud iniziò a collaborare con lui. Da questa collaborazione, che durò sino al 1895, Freud ricavò alcune acquisizioni che resteranno essenziali per la terapia dell'isteria e di altre nevrosi. I risultati di questo lavoro comune furono pubblicati nell'opera Studi dell'isteria apparsa nel 1895. Motivi teorici e pratici e in massima parte una sostanziale diversità di interessi provocarono il graduale allontanamento di Freud da Breuer, allontanamento che si compì, come abbiamo già accennato, poco dopo la pubblicazioni degli Studi. A partire dal 1895 Freud iniziò la propria autoanalisi che si concluse nel 1900. Freud che aveva conseguito la libera docenza nel 1885 ottiene la carica di professore straordinario all'università di Vienna nel 1902 e, in seguito, nel 1920, di professore ordinano. Tali riconoscimenti erano dovuti al suo prestigio di neuropatologo, infatti in quegli anni la psicoanalisi era ancora fraintesa o ritenuta scandalosa ed oggetto di accuse e di polemiche, tuttavia aveva iniziato, sia pure lentamente, a diffondersi. Nel 1902 si costituì un primo gruppo di Vienna, con segretario Otto Rank, nel quale si ebbero, già le prime ripicche per questioni di priorità. Nel 1907 si strinsero i primi rapporti con il Bürghölzli, la clinica psichiatrica di Zurigo, e cioè con Bleuler ed i suoi assistenti Eitington e Jung, che dovevano ben presto dar luogo alla pubblicazione d'una rivista di studi comuni, lo Jahrbuch fuer Psychologie und Psychopathologie. Questa collaborazione consentì una maggiore diffusione della psicoanalisi, grazie alla istituzione di una associazione privata ed all'insegnamento che pubblicamente se ne faceva da una clinica di così grande risonanza. In quegli anni Freud aveva pubblicato alcuni importanti lavori: Psicopatologia della vita quotidiana (1901), Tre saggi sulla sessualità (1905), Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio 1905). Nel congresso di Norimberga, tenutosi nel 1910, fu fondata una Associazione ufficiale degli psicoanalisti a capo della quale venne eletto Jung. Negli anni seguenti si tennero altri congressi, a Weimar (nel 1911) e a Monaco (nel 1913), e questi contribuirono a far uscire definitivamente la psicoanalisi dalla sua preistoria. Nel febbraio del 1923 Freud avvertì i primi sintomi di un male che si rivelò un cancro alla mascella. Egli conservò, tuttavia, la sua straordinaria vitalità; continuò il lavoro di analista e di scrittore; volle rimanere sempre consapevole e presente a se stesso, rifiutando ogni pietoso inganno; nonostante i dolori, non prendeva calmanti, per non ottundere la propria usuale chiarezza intellettiva. Aveva continuamente accanto, in un rapporto sempre più stretto, la figlia Anna, cui era legato, dice Jones, da "una reciproca, profonda, silenziosa comprensione e simpatia". Anna era la sua compagna, la segretaria, l'assistente, la collaboratrice. Nel 1933 i nazisti prendono il potere in Germania; nonostante i cattivi presagi di un'aggressione all'Austria e le ripetute esortazioni degli amici, Freud non acconsente a lasciare Vienna. Vi si deciderà solo cinque anni più tardi, di fronte all'Anschluss. Nel 1938, dunque, si trasferisce con la famiglia a Londra, dove muore l'anno seguente il 23 settembre. La letteratura esistente sulla vita e sull'opera di Sigmund Freud è amplissima ed è, quindi, impossibile darne in questa sede un quadro sia pure sommariamente esaustivo. Ci si limiterà a ricordare qui di seguito le opere principali pubblicate dallo studioso viennese: Studi sull'isteria (1895); L'interpretazione dei sogni (1900); Psicopatologia della vita quotidiana (1901); Tre saggi sulla sessualità (1905); Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905); Il caso di Dora (1905); Delirio e sogni nella Gradiva di Jensen (1907); Il caso del piccolo Hans (1909); Il caso dell'uomo dei topi (1909); Sulla psicoanalisi. Cinque conferenze (1910); Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci (1910); Totem e tabù (1913); Storia del movimento psicoanalitico (1914); Il caso dell'uomo dei lupi (1918); Al di là del principio del piacere (1920); Psicologia collettiva e analisi dell'io (1921). A partire dal 1968, a cura di Cesare Musatti, presso l'editore Boringhieri di Torino è iniziata la stampa in traduzione italiana delle Opere di Freud. Dalla Newton Compton nel 1992 sono state pubblicate le opere e gli scritti minori di Freud in due ampi volumi: Opere 1886-1905 e Opere 1905-1921.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:34
riassunto...
Freud e Nietzsche vengono solitamente accostati perchè entrambe, seppur in modi diversi, sul finire dell'Ottocento scardinano alcune certezze fondamentali della civiltà occidentale: se Nietzsche aveva "trasvalutato" tutti i valori fondamentali dell'Occidente, ora Freud distrugge la certezza dell'Io, sulla quale si è costruita la nostra civiltà e che, a seconda delle epoche storiche, è stata definita "Io", "Spirito", "Anima", ecc. E non a caso l'intera filosofia moderna, dal Medioevo fino all'Ottocento aveva fatto perno sulla nozione di Io, dal cogito cartesiano all' Io penso kantiano allo spirito hegeliano, e tale nozione era stata scoperta, molti secoli prima, da Socrate, dato che, prima di lui, l'anima restava un qualcosa di sfumato che non si identificava con la persona, tant'è che per gli Orfici essa era la parte divina presente in noi. Ed è proprio con Socrate che l'Io viene ad identificarsi con la coscienza, a tal punto che "Io" arriva a significare "ciò di cui ho coscienza" (pensiamo alla res cogitans di Cartesio) mentre, sempre gli Orfici, in direzione opposta a Socrate, avevano prospettato l'idea che quello che loro definivano "demone" si manifestasse nei momenti di minor coscienza (il sonno, lo svenimento, ecc). L'idea dell'identificazione Io/coscienza, affiorata con Socrate, è diventata uno dei pilastri della civiltà occidentale e solo in pochi hanno avuto l'ardire di metterla in discussione: tra questi, merita di essere ricordato Plotino, il quale aveva colto, per così dire, diversi livelli della coscienza, cosicchè, oltre al livello ordinario, vi era anche quello sovrarazionale, in grado di attingere l'Uno neoplatonico; dalla prospettiva plotiniana emerge, seppur timidamente, l'idea che la mente non si identifichi con l'Io e quest'idea è stata ripresa e perfezionata, nel Seicento, da Leibniz, il quale parlava espressamente di "piccole percezioni" e di "innatismo virtuale", convinto che nella testa dell'uomo esistessero nozioni di cui non si ha coscienza, quasi come se la nostra mente contenesse qualcosa che va al di là della coscienza. Anche Hume, nell'età dell'illuminismo, smontando il concetto di sostanza, aveva finito per distruggere insieme ad esso anche quella particolarissima sostanza che siamo noi: in altri termini, il pensatore scozzese si era chiesto se, svuotata la mente dai contenuti della coscienza, sarebbe potuto rimanere qualcosa ed aveva argutamente risposto che l'Io, in fin dei conti, altro non era se non un fascio di percezioni ed era così giunto alla conclusione che non siamo altro all'infuori della somma delle nostre percezioni. Schopenhauer stesso leggeva l'Io come manifestazione particolarissima e superficiale di quella realtà unitaria e profonda che lui definiva "volontà"; tutti questi pensatori controcorrente, però, non sono bastati per impedire che si affermasse sempre più l'idea di un Io unitario, cosciente e razionale e che le passioni venissero considerate come elementi quasi estranei alla nostra vera personalità. Se Schopenhauer si era acutamente accorto che la vera natura dell'uomo, in realtà, non è la ragione, ma la sfera passionale (tant'è che la ragione, secondo Schopenhauer, è una specie di organo che la passione si conferisce per potersi realizzare), con Nietzsche ci troviamo di fronte ad una vera e propria ripresa dell'idea humeana. Anche se dal concetto di "volontà di potenza" sembra trasparire l'assoluta centralità dell'individuo, Nietzsche smonta radicalmente la nozione di sostanza ( " l'essere manca " afferma Zarathustra) e dal suo venir meno si sgretola pure quella particolarissima manifestazione di essa che siamo noi (l'Io) e Nietzsche avanza (in Umano, troppo umano ) l'inquietante quesito se sia vero che siamo noi a pensare le idee o, piuttosto, sono le idee che si pensano, che vanno e vengono, attratte da processi quasi chimici, senza che vi sia un Io. Il grande merito di Freud risiede nell'aver ricucito tutti questi duri colpi assestati alla nozione di Io e nell'aver dato la formulazione migliore di questo pensiero "controcorrente". L'Io, nota Freud, non è che non ci sia, ma, semplicemente, è una realtà infinitamente più marginale di quel che si è creduto da Socrate in poi . E' come se fossimo tutti, coscientemente o meno, cartesiani, poichè se vi sono cose di cui non abbiam coscienza è come se per noi non ci fossero; ma non è vero che la mente si identifica in tutto e per tutto con la coscienza; viceversa, la coscienza è una piccola porzione della mente , una porzione traballante per molti versi, e l'Io stesso è un punto di contatto tra cose ben più importanti. Ben emerge, da queste considerazioni, come per Freud la mente sia altra cosa rispetto all'Io o alla coscienza. La psiche è, invece, la mente nel suo complesso e in essa trova spazio l'Io (che Freud chiama anche "Ego"), il quale si configura come parte cosciente della psiche. Ed è molto curioso come Freud non sia, propriamente, un filosofo a pieno titolo, ma un medico che si interessa di psichiatria nel tentativo di curare alcune patologie precise ed è altrettanto curioso come, da buon medico di fine Ottocento, fosse convinto dei postulati del Positivismo materialista e ritenesse che per spiegare fatti psichici si dovesse ricorrere ad eventi materiali, come se ogni attività della mente fosse legata ad una parte del cervello. Man mano che Freud matura il suo pensiero, però, prende sempre più le distanze da queste idee, a tal punto che riterrà che un giorno, quando vi saranno gli strumenti adatti per farlo, sarà necessario individuare le cause materiali della patologia psichica, ma, poichè al momento non vi è disponibilità di tali strumenti, bisogna proiettare la propria indagine (ed è ciò che egli fa) su ciò che è indagabile, ovvero sui rapporti tra fatti psichici, trascurando quelli materiali. E' come se Freud, da sempre considerato un anti-positivista, fosse in realtà un "positivista mancato": ed egli comincia a praticare in una prima fase della sua attività, insieme ad altri medici, la tecnica dell'ipnosi per curare certe patologie, nella convinzione che tramite essa si possa regredire ad eventi del passato rimossi e, facendoli riemergere, si può capire l'origine di determinate "nevrosi" derivanti da conflitti interiori; si deve, cioè, far emergere ciò che è stato rimosso per poterlo così curare. E qualcosa di questa teoria originaria resterà sempre presente nel suo pensiero: in particolare, Freud sarà sempre convinto che le patologie psichiche abbiano origine in traumi e conflitti psichici irrisolti e tali conflitti vengono spesso rimossi , ossia tolti dallo stato di coscienza e riposti altrove: la diagnosi/terapia consiste nel farli riemergere e la diagnosi, pertanto, è anche la cura della malattia. Ma Freud, nel corso della sua maturazione, tende sempre più a concepire quelli che in origine chiamava "traumi reali" come "traumi virtuali", cioè non effettivi: solo in rarissimi casi il trauma è legato ad un fatto della vita reale, mentre nella stragrande maggioranza dei casi avvengono all'interno della psiche umana e, in questa nuova prospettiva, Freud tende a respingere ora l'ipnosi, poichè ha la funzione di far crollare le barriere. Dato che con la rimozione certi eventi vengon fatti passare dalla coscienza alla non-coscienza, è evidente che non possano emergere attraverso una prassi razionale (visto che si trovano nascosti alla ragione) e l'ipnosi allora non serve più ad abbattere gli ostacoli aggirandoli (perchè è troppo "artificiale"), bensì si punterà sulla distruzione dei processi di rimozione, visto che essi hanno delle falle, ad esempio i sogni e i lapsus, quando cioè si dice una parola per un'altra (e per Freud la parola "scappata" inavvertitamente è quella che per davvero si voleva dire). Si deve pertanto badare a ciò che le persone dicono o fanno al di là della coscienza e, proprio come nel caso dei lapsus si pronuncia una parola anzichè un'altra, così è anche per i comportamenti: ci sono cose che facciamo senza rendercene conto (ad esempio, i tic) e scavando in essi si coglie la verità della natura umana. Tuttavia, ciò non implica che non tutte le azioni che compiamo inconsciamente abbiano un significato: ad esempio, non tutto ciò che è presente nei sogni ha un significato inconscio. Accettata l'idea di non poter spiegare e curare i disagi psichici attraverso pratiche materiali, Freud si propone di lavorare su un piano psicologico e il concetto fondamentale che emerge da questo nuovo lavoro è quello di rimozione : esso implica che determinate situazioni conflittuali che, proprio perchè tali, sono pesanti per la coscienza, vengano "rimosse", senza però esser fatte sparire del tutto; vengono cioè nascoste e collocate in quel vastissimo serbatoio della psiche che freud chiama " l'inconscio ". Esistono dunque cose che la nostra psiche tende a considerare da evitarsi a livello conscio e per questo motivo le rimuove, ma questa rimozione crea disagi che si manifestano in estrinsecazioni psichiche e psicosomatiche (Freud concentra la propria attenzione soprattutto sulla paralisi isterica) che scaturiscono appunto da conflitti psicologici irrisolti che, per poter essere curati, devono in qualche misura essere fatti emergere e dal fatto stesso di prenderne coscienza, magari dolorosamente, nasce anche la cura. Il problema è che, siccome la psiche ha riposto queste cose a livello di inconscio, è impensabile strapparle in modo coercitivo all'inconscio; si dovrà cercare piuttosto di aggirare le "barriere" che proteggono l'inconscio e, per poter fare ciò, vi sono svariati modi, in particolare tutte quelle situazioni in cui la coscienza è più tenue e gli aspetti irrazionali della mente sono in primo piano (i lapsus, i sogni, i tic, ecc); il lettino dello psicanalista rende bene l'idea, in quanto il paziente disteso su di esso parla spontaneamente abbassando le barriere dell'inconscio. Sempre in quest'ottica, Freud usò molto il meccanismo del transfert , ovvero l'innamoranto del paziente verso lo psicanalista: Freud si accorgeva, infatti, di come molte sue pazienti finissero per innamorarsi di lui (in quanto provavano un senso di necessità del suo aiuto e, in definitiva, della sua persona) e, in un primo tempo, pensò che questo imprevisto potesse interferire con la cura, ma poi notò come, invece, fosse d'aiuto, poichè tende a far crollare le barriere dell'inconscio e permette di entrare nelle profondità della psiche. Un altro sistema di cui si avvale Freud per penetrare nella mente è quello della libera associazione di idee , il quale consiste, essenzialmente, nel porre il paziente di fronte ad un'immagine o ad una parola e nell'invitarlo a dire tutto ciò che gli viene in mente. Ma il metodo più importante e più impiegato dallo psicologo austriaco è quello dell' interpretazione dei sogni (a cui dedica il suo scritto forse più famoso): nel sogno sono presenti contenuti rimossi, ma la mente umana non è così ingenua da far affiorare nel sogno ciò che tiene nascosto durante la veglia e pertanto ciò che vediamo nei sogni non è, banalmente, ciò che è stato rimosso; bensì emergono contenuti rimossi ma in forma rielaborata e in un linguaggio che dice e nasconde contemporaneamente, in quanto dà contenuti ma li esprime in maniera enigmatica. Sarà pertanto sbagliato, nota Freud, dire che ho sognato di volare e che dunque voglio a tutti i costi volare; il lavoro che Freud si propone di fare è appunto quello di provare a decifrare le regole sintattiche del linguaggio dei sogni, distinguendo tra significato latente (cioè il vero significato, nascosto) e significato manifesto (quello apparente, così come ci appare nel sogno). Già Platone aveva a suo tempo notato come nei sogni spesso facciamo cose che nella realtà mai faremmo nè penseremmo di fare: così, dopo che il paziente avrà sognato di volare, si potrà dire che il significato manifesto era appunto di volare, ma quello latente era un altro; molto spesso, infatti, il sogno procede per immagini e, dunque, i contenuti vengono espressi attraverso simboli e oggetti (animali, cose, persone, ecc) di cui non si è in grado di spiegare il vero significato (che perciò resta "latente"). Tanto più che secondo un meccanismo di condensazione in un unico oggetto sono cristallizzati molteplici contenuti e significati. Ma non solo: attraverso il meccanismo di spostamento il contenuto si sposta e slitta su oggetti che non c'entrano nulla, per cui magari si sogna un gatto ma esso non ha nulla a che vedere con il contenuto. E' curioso come Freud, partito da una questione terapeutica, si sposti sempre più, in modo graduale, verso una sistematizzazione del suo pensiero e venga elaborando un'interpretazione generale della psiche umana e così il suo discorso si allarga, da medico che era, verso l'antropologia. Ne nasce una metapsicologia , ossia una psicologia che da mero strumento per risolvere problemi diventa una teoria generale sull'uomo: e Freud scopre, in quest'ottica, la sessualità infantile , uno degli aspetti che maggiormente scandalizzarono la società del tempo. In particolare, egli sostiene la centralità della sessualità nella vita umana, mettendo in evidenza come le pulsioni che stanno alla base della vita siano sessuali e come dal sesso derivino perfino la civiltà e molte altre cose. E per poter conferire tale carattere fondativo alla sessualità, Freud si vede costretto a concepirla in un'accezione piuttosto ampia e arriva a proporre la tesi secondo cui la rimozione graduale della sessualità dalla società sia da attribuirsi al fatto che è sempre stata concepita in maniera troppo ristretta per poi inquadrarla in rigide regole che la attenuassero: non potendola eliminare, la si restringe all'ambito della sessualità volta alla procreazione nell'ambito matrimoniale, sicchè si arrivano a considerare moralmente inaccettabili forme di sessualità "diversa" (come quella non volta alla procreazione, quella omosessuale, quella extramatrimoniale) e per di più viene eliminato quel carattere di sessualità che in realtà molte cose hanno, tra cui i bambini. Il bambino, infatti, ha una sua sessualità e, in forma volutamente provocatoria, Freud lo definisce come un " essere perverso poliformo ": quando si nasce, si ha una forma di sessualità a trecentosessanta gradi, una sessualità diversa da come la intende e ci impone di intenderla la civiltà di cui siamo figli: la sessualità, secondo Freud, coincide con la capacità di provare piacere col corpo attraverso funzioni che non siano strettamente fisiologiche e, pertanto, il bambino prova sì piacere nel prendere il latte materno perchè soddisfa la sua esigenza di cibo, ma è anche vero che prova piacere a succhiare il seno materno (e il ciucciotto nasce da questa considerazione), il che è una forma di sessualità. Il bambino dunque è "polimorfo" perchè in lui la limitazione della sessualità imposta dalla civiltà non c'è ancora e la sua sessualità non è ancora orientata ad una sola "zona erogena"; man mano che egli cresce, tuttavia, subisce l'influenza della società e finisce per identificare la sessualità solo con la zona erogena genitale; e quindi, oltre ad essere "polimorfo", il bambino è anche "perverso" perchè in lui ci sono tutte quelle forme di sessualità che un pò alla volta vengon tagliate fuori dalla società in cui vive perchè le ritiene perverse. All'interno di queste fasi di maturazione del bambino, è molto importante il rapporto coi genitori e, soprattutto, col padre (l'attenzione di Freud è sempre riservata, per lo più, al sesso maschile): ed è a questo punto che Freud tratta del celebre complesso di Edipo ; man mano che la sua psicologia sfuma nell'antropologia, egli tende a stravolgere (un pò come aveva fatto Bruno col mito di Atteone) il significato dei miti classici. Più nel dettaglio, egli scorge nelle vicende di Edipo una trasposizione mitologica della vita del bambino: la madre costituisce per il bambino, proprio come per Edipo, il primo individuo con cui si rapporta e a cui rivolge la sua attenzione sessuale e, in questa prima fase, concepisce il padre come avversario e ne nasce una conflittualità per il possesso della madre; tale fase, però, sarà superata e si arriverà all'identificazione con il padre. La famiglia e, soprattutto, la figura del padre diventano per Freud la chiave di lettura di tutto: tutte le tappe che si percorrono nel processo di crescita sono necessarie, l'importante è non restare bloccati ad una tappa (magari quella del complesso di Edipo) senza superarla; se non la si supera, si ha la "regressione" e nascono disagi e patologie che la psicanalisi deve risolvere. Il presupposto del discorso è che, in assenza di riscontri fisiologici, la vita psichica deve essere interpretata sulla base di una forte pulsione interna che va scaricata, quasi come se esistesse un flusso di energia interiore che finchè non è scaricato fa star male; e, secondo Freud, tale energia interna è soprattutto una pulsione sessuale, che lui chiama libido . Il medico austriaco tende sempre più ad elaborare quella che lui stesso chiama "metapsicologia" e nell'ambito di questa elaborazione meritano di essere esaminati alcuni concetti centrali delle sue opere: un primo tentativo di spiegare il conflitto che travaglia la psiche umana risiede nell'osservare due princìpi opposti fra loro, che Freud chiama principio del piacere e principio di realtà . L'uomo, di per sè, tenderebbe sempre a soddisfare all'istante il piacere che prova, per poter così trovare una forma di equilibrio interno; e tuttavia a questo "principio del piacere", per cui si sarebbe indotti a realizzare sempre e comunque il piacere, si oppone il "principio di realtà", ovvero la consapevolezza delle richieste provenienti dall'ambiente circostante: se, infatti, tutte le pulsioni fossero immediatamente realizzate, non solo ciò sarebbe incompatibile con le regole della società, ma perfino con la semplice sopravvivenza fisica dell'individuo, e non a caso ciascuno di noi tende a reprimere parzialmente il principio di piacere in funzione del fatto che deve vivere. Secondo quest'interpretazione freudiana, l'uomo vive in una perenne tensione ineliminabile per cui nessuno dei due princìpi (di piacere e di realtà) può venir meno: le pulsioni devono essere scariocate ma tenendo conto della realtà circostante e da ciò sorge, gradualmente, un conflitto interiore, proprio come nei sogni emergevano cose rimosse dalla coscienza. Ed è curioso notare come questa distinzione tra i due princìpi rievochi fortemente quella nietzscheana tra apollineo e dionisiaco: come per Nietzsche, anche per Freud alla base dell'uomo vi sono pulsioni irrazionali e vitalistiche (ovvero dionisiache), che però vengono ridimensionate dall'apollineo, cioè dalle regole imposte dalla società e dalla razionalità. In alcune opere più mature, Freud dichiara apertamente di essere andato al di là del principio di piacere: si rende cioè conto che solo in apparenza il principio di realtà e quello di piacere sono tra loro opposti; se meglio analizzati, essi risultano anzi essere due facce della stessa medaglia, proprio come l'utile, se esaminato in profondità, non è in contrapposizione con il piacere, ma è anzi un modo per realizzarlo utilmente; così il principio di realtà altro non è se non una manifestazione del principio di piacere, più precisamente consiste nell'esprimere il piacere in forma mediata. E poi Freud si rende conto che contro questo principio bipolare che è il principio di piacere (comprendente, come abbiamo appena detto, anche quello di realtà) vi è un altro principio ad esso opposto e consiste in una tendenza all'autodistruzione. Ora Freud al principio vitale (piacere + realtà) contrappone quello di morte, sotto forma di autodistruzione e per esprimere il conflitto tra questi due princìpi riprende il binomio, tipicamente romantico, eroV kai qanatoV , "amore e morte": paradossalmente, nell'uomo troviamo una tendenza vitalistica che si esprime nel principio di piacere ( eroV ) contrapposta a quella autodistruttrice ( qanatoV ) e Freud afferma che le pulsioni devono assolutamente essere scaricate e che il piacere consiste appunto nello scaricarle, ma aggiunge che se un relativo scaricamento di esse ridà l'equilibrio e coincide con l' eroV , a volte vi è una tendenza esasperata ad uno scaricamento totale delle pulsioni e della vitalità: in ciò risiede qanatoV . Dove emerge questo secondo impulso che tende ad annullare la vita? Lo si scopre, dice Freud, soprattutto nell'aggressività verso l'esterno e verso se stessi e, ancora di più, nella coazione a ripetere , cioè nei tic con carattere fortemente ripetitivo: infatti, il fatto stesso che tendano a ripetersi all'infinito dà un senso di morte, perchè implica l'abolizione della creatività vitalistica e riduce la vita ad un meccanismo inanimato, quasi come se si provasse nostalgia per gli esseri privi di vita. Sempre nell'ambito della metapsicologia, Freud elabora due celebri teorie, dette della " prima topica " e della " seconda topica ": il termine "topico" è desunto dal greco topoV , "luogo", e Freud lo impiega perchè tende ora a leggere la psiche umana come se divisa in diverse regioni e regni, anche se, è bene ricordarlo, egli ha rinunciato all'interpretazione materialistica e pertanto per "luoghi" non si devono intendere letteralmente zone fisiche del cervello, ma piuttosto, metaforicamente, zone con caratteristiche diverse dalla cui interazione deriva il comportamento umano. Se Nietzsche aveva messo in dubbio, riprendendo le tesi humeane, la compattezza della nozione di Io, ora Freud con le "topiche" la sfalda del tutto: egli, infatti, suggerisce l'idea che non vi sia una personalità ben definita e dotata di svariate manifestazioni, ma, viceversa, propone l'ipotesi che vi siano "regni" separati di cui il nostro Io è solo un aspetto. Nella "prima topica" individua tre ambiti della psiche: 1) "conscio" è ciò di cui abbiamo effettivamente coscienza; 2) "preconscio" è quel serbatoio a cui il conscio attinge: se, ad esempio, sto parlando, le cose che dico ora consciamente, ieri erano già nella mia testa ma non stavo pensando ad esse e dunque erano a livello subconscio, bastava allungare la mano per prenderle; 3) "inconscio" è tutto ciò che è stato rimosso dalla coscienza, cosicchè si crea una barriera assai solida che impedisce l'accesso. Nella "seconda topica", invece, che è di gran lunga più famosa, incontriamo tre elementi diversi: a) l'Io (o Ego) è la personalità cosciente, b) il Superio (o Superego) è la coscienza che si sovrappone alle decisioni dell'Io, c) l'Es (o Id) non è identificabile con la personalità individuale, ma è l'insieme delle pulsioni irrazionali e proprio per questo viene espresso con il pronome neutro "Es" ("Id" in latino). L'Io corrisponde alla dimensione conscia, a quelli che nella "prima topica" Freud aveva definito come "conscio" e "subconscio"; l'Es, invece, corrisponde all'inconscio della "prima topica" ed è, in sostanza, ciò che influenza pesantemente il comportamento. Ciò che però non trova un corrispettivo nella "prima topica" è il Superio, che, essenzialmente, si identifica con quella che solitamente definiamo voce della coscienza, quel senso del dovere che impone all'Io un comportamento che lui, di per sè, non adotterebbe, proprio come in Kant il dovere (Superio) impone di non fare ciò che l'Io vorrebbe fare. Il riferimento a Kant non è casuale: quando il pensatore tedesco parlava di imperativo categorico, diceva espressamente che si deve saper riconoscere ciò che effettivamente è un dovere proveniente dall'interno (magari aiutare gli altri), senza alcuna motivazione eteronoma. Kant però non era arrivato a ipotizzare, come invece fa Freud, che quella che solitamente consideriamo la voce della coscienza abbia anch'essa un'origine eteronoma o, per dirla con Nietzsche, umana, troppo umana; in altri termini, per Freud la voce della coscienza è l'insieme delle norme comportamentali che la società in cui viviamo ci impone di interiorizzare e di far diventare doveri morali; secoli prima, il sofista Crizia aveva sostenuto la teoria secondo cui la religione sarebbe stata inventata da un legislatore intelligente che, resosi conto che gli uomini si comportano bene solo se controllati, creò il concetto di Dio, una sorta di poliziotto che ci controlla tutti quanti ventiquattr'ore su ventiquattro. E anche quando respingiamo l'eventualità di un Dio, nota Freud, resta comunque la coscienza, che in fondo, come già aveva detto Hegel, è un Dio interiorizzato. Il bambino, dunque, nasce con tutte le pulsioni dell'Es che tenderebbero immediatamente a realizzarsi (per il principio del piacere): poi, però, la famiglia le limita vivamente e la prima autorità con cui il neonato entra in contrasto è la figura paterna, in quanto rappresenta un'autorità esterna che impone regole e che si pone come rivale nel possesso della donna (complesso di Edipo); tuttavia, questa autorità, originariamente intesa come nemica, tende a poco a poco ad essere interiorizzata a tal punto che il ragazzo finisce per identificarsi col padre; e quando poi l'individuo si allontana dalla famiglia per entrare a far parte della società, si imbatte in nuove autorità, cosicchè le leggi vengono rispettate perchè si teme la punizione che deriva dal trasgredirle e, soprattutto, perchè le si hanno interiorizzate come valori, si dimentica cioè che sono regole umane e le si concepiscono come valori assoluti dettati dalla voce della coscienza (il "dovere" di cui parlava Kant). In questa prospettiva, il Superio corrisponde un pò al principio di realtà, in quanto altro non è se non l'insieme delle regole imposte dall'esterno che vengono interiorizzate e diventano una parte di noi. Dopo aver detto che l'Es costituisce l'insieme delle pulsioni che stanno alla base dell'uomo e che il Superio è la cosiddetta voce della coscienza, non resta che chiedersi in che cosa consista l'Io: ad esso Freud riserva un destino alquanto disgraziato, poichè costituisce una sorta di terreno di confine tra l'Es e il Superio. A tal proposito, Freud cita esplicitamente la commedia "Arlecchino servitore di due padroni", dove Arlecchino è l'Io e i due padrono sono, rispettivamente, l'Es e il Superio. L'Io/Arlecchino è tenuto a soddisfare la nostra essenza pulsionale e, nel contempo, a rispondere alle leggi dettate dal Superio, e ciò che prescrive il Superio è in netto contrasto con quanto prescritto dall'Es, visto che il primo tende a ingabbiare le pulsioni sessuali del secondo, e, in quest'ottica, il vestito a pezze ritagliate di Arlecchino simboleggia il fatto che l'Io è lacerato da questo conflitto. Nell'ultima fase del suo pensiero, Freud estende il suo discorso all' analisi della civiltà umana e dei suoi costi : il Superio, egli nota, ha a che fare coi costi della società, in quanto placa gli impulsi senza lasciarli affiorare in superficie; sotto questo profilo, assume un'importanza sempre maggiore la nozione di sublimazione . Freud non rinuncia mai e poi mai alla centralità delle pulsioni all'interno della vita umana e fa notare come la civiltà sia sempre stata un tentativo di governarle, un tentativo che si è realizzato secondo due differenti modalità: da un lato, riduce a spazi e modi limitati l'espressione sessuale della libido, ma poi tutte le libido che non sono orientate in senso sessuale non spariscono, ma vengono piuttosto "sublimate", ossia reindirizzate ad altri scopi creativi, come se evaporassero per poi ricondensarsi in un'altra maniera. Ed è così, come sublimazione delle pulsioni sessuali, che sono nate nella nostra civiltà la cultura, l'arte e il lavoro; dopo di che, Freud, riprendendo ed estendendo il concetto del complesso edipico, tratteggia l'origine dei totem e dà un'interpretazione dell'eucarestia cristiana: le società primitive si costruiscono sulla base di un parricidio originario con cui si elimina il padre ma, dopo aver compiuto tale gesto efferato, si prova rimpianto e, perciò, la figura paterna viene divinizzata attraverso il totem o, nel mondo cristiano, con l'eucarestia. Fatte queste considerazioni sulla religiosità delle diverse civiltà, Freud arriva esplicitamente ad affermare che la religione non ha futuro e che dovrà esaurirsi: molto significativo, a tal proposito, è il titolo di uno scritto del 1927, L'avvenire di un'illusione . In Il disagio della civiltà (1930) Freud afferma invece che la civiltà è un male inevitabile: è un male, perchè reprime e devia gli impulsi libidici e, proprio per questo motivo, l'intera società può essere considerata malata, anche se di una malattia generica: seppur non vi è sofferenza, regna ciononostante il disagio per il fatto che le pulsioni vengono repressivamente soffocate ma si continua lo stesso a sentire il bisogno della civiltà. Quest'idea di una società a disagio per un eccesso di apollineo rievoca fortemente il pensiero di Nietzsche, anche se per il profeta del Superuomo questo disagio è eliminabile nel momento in cui si giunge al nichilismo attivo; per Freud, invece, non ci si può in nessun caso liberare dal Superio e ne nasce una mesta prospettiva di accettazione di un male necessario. Nonostante queste considerazioni, Freud non è così pessimista come possa sembrare, in quanto, sebbene rifiuti la possibilità ammessa da Nietzsche di schizzare via dalla società, non rifiuta quella secondo cui è possibile migliorare la società ed è per questo che scorge nel movimento socialista non un modo per realizzare il paradiso in terra, ma per ridurre il disagio che opprime la nostra società; ancora una volta, Freud, nella convinzione che la società possa guarire un poco alla volta attraverso l'assunzione di medicine adeguate, rivela di essere forse più medico che filosofo.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:35
L'INCONSCIO E LA RIMOZIONE
L'INCONSCIO E LA RIMOZIONE

Sigmund Freud (1856-1939) nacque in Moravia, a Freiberg, allora sotto l'impero asburgico, da una famiglia ebrea di commercianti, che ben presto si trasferì a Vienna, città in cui Freud sarebbe rimasto fino al 1939, per poi fuggire a Londra dove, nello stesso anno, avrebbe incontrato la morte. Iscrittosi alla facoltà di Medicina, egli potè seguire anche le lezioni di Franz Brentano, ma si cimentò soprattutto in ricerche di fisiologia, soprattutto sull'istologia delle cellule nervose, conseguendo la laurea nel 1881. Lavorò nella clinica psichiatrica e nel 1885 gli venne data una borsa di studio a Parigi, dove ebbe modo di frequentare la scuola neuropatologica della Salpetrière. Nel 1886 si sposò con Martha Bernays, dalla quale ebbe ben 6 figli, abbandonò l'ospedale e la carriera universitaria per curare privatamente pazienti agiati affetti da malattie nervose. Intanto si legò in amicizia con Josef Breuer, anch'egli ebreo e medico, con il quale pubblicò, nel 1895, gli Studi sull'isteria , ma poco dopo la loro amicizia si infranse, anche per via di dissensi sull'individuazione delle cause di questa forma di nevrosi. Avvalendosi della tecnica dell'ipnosi, usata da Charcot e da Freud, Breuer era riuscito a far ricordare alla paziente Anna O. eventi traumatici connessi all'insorgere di sintomi di isteria. Accorgendosi però che nella paziente si stava sviluppando una forma di dipendenza e di amore nei suoi confronti (il cosiddetto transfert ), Breuer aveva interrotto la terapia; Freud andava convincendosi che l'origine dei sintomi isterici fosse di natura sessuale e, più precisamente, che risiedesse in traumi sessuali conseguiti nella prima infanzia. In un secondo tempo Freud si distaccherà da questa interpretazione, riconoscendo che non é necessario che eventi traumatici siano realmente avvenuti, ma é sufficiente che essi siano immaginati e pensati per originare i loro effetti perniciosi. Freud ha il sentore che al centro di questi disturbi vi siano conflitti tra forze psichiche contrapposte: da un lato, pulsioni che premono per scaturire alla coscienza sotto forma di emozioni e di rappresentazioni e, dall'altro lato, resistenze che bloccano loro la strada verso la coscienza. Per spiegare tutto questo, Freud reputa necessario introdurre le nozioni correlate di inconscio e di rimozione . Prima, di solito, la sfera della psiche era identificata con quella della coscienza, in grado di esercitare un dominio sugli istinti e di svolgere le mansioni di motore delle azioni. A parere di Freud, invece, per spiegare i fenomeni psichici bisogna tener conto della distinzione tra un livello conscio e uno inconscio e attribuire a quest'ultimo un'azione causale sul primo; da questo deriva che i moventi del comportamento umano, sia normale sia patologico, hanno la loro ubicazione più che nella zona trasparente della coscienza, nel profondo dell'inconscio. Per Freud il modello della spiegazione scientifica combacia con la spiegazione causale propria del positivismo, ma egli é del parere che non si disponga ancora di conoscenze biologiche e neurologiche sufficienti per spiegare in base ad esse i fenomeni psichici, anche se questa speranza non la lascerà mai definitivamente. Freud é convinto di poter spiegare con l'inconscio, concepito come forza attiva, avente proprie finalità e operante con una logica propria, diversa dalla logica della vita cosciente, il meccanismo della rimozione: é un'operazione con cui si cerca di respingere le rappresentazioni (ricordi, pensieri, immagini) legate a certe pulsioni che di per sè generano piacere, ma che per altri aspetti generano dispiacere. La rimozione supera questo conflitto, mantenendo nell'inconscio queste rappresentazioni, le quali però, sebbene siano apparentemente dimenticate, continuano a premere, cercando soddisfazioni sostitutive: i sintomi somatici dell'isteria esprimono proprio ciò che é stato rimosso, sebbene lo esprimano in maniera deformata. Ma come é possibile forzare la barriera data dalla rimozione, arrivare all'inconscio, ricostruendo il passato rimosso, e curare la nevrosi? Per Freud questa via d'accesso é data dall' analisi dei derivati dell'inconscio. Essa non si effettua per via ipnotica, tanto meno con l'elettroterapia, nè tramite interrogazioni insistenti del paziente, ma tramite la tecnica delle associazioni libere , la cui regola fondamentale consiste nell'incitare il paziente a dire tutto quel che gli viene in mente e che egli collega immediatamente a parole, immagini di sogni e rappresentazioni in generale, senza tralasciare nulla, nemmeno ciò che può sembrargli irrilevante, ridicolo o spiacevole. Il fine é principalmente quello di eliminare qualsiasi selezione volontaria di pensieri e, dunque, le resistenze messe in opera dal paziente; e Freud mette in evidenza anche l'importante ruolo svolto dalla relazione affettiva che si crea tra l'analizzato e l'analista, ossia dal transfert , nell'indurre il nevrotico a lasciare le sue resistenze, cioè tutto quel che nei suoi discorsi e nei suoi gesti gli impedisce di accedere a quei conflitti psichici, di cui non ha coscienza ma che generano la nevrosi.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:35
L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI

Una via privilegiata per addentrarsi nell'inconscio é per Freud data dall' interpretazione dei sogni ; la cosiddetta autoanalisi, cioè l'analisi che Freud mise in atto sulla propria persona, fu portata avanti in buona parte sul materiale che i suoi stessi sogni gli offrivano. Nel 1900 appare L'interpretazione dei sogni , che può venir considerata il vero e proprio manifesto della psicoanalisi; stando a Freud, il sogno non é l'inconscio e basta, ma é solo una delle sue manifestazioni, la quale, se opportunamente interpretata, permette di accedere ai contenuti repressi e al modo di lavorare dell'inconscio stesso. Durante il sonno infatti la censura messa in atto dalla coscienza si affievolisce e così l'inconscio, coi suoi desideri rimossi, preme con più intensità e genera tensioni; il sogno, presentando all'immaginazione come realizzati i desideri inconsci, rende possibile la liberazione di queste tensioni: in questo senso, il sogno viene concepito da Freud come l' ' appagamento di un desiderio '. Ma questa realizzazione si attua in forma allucinatoria, tramite mascheramenti e deformazioni, effettuate dalla censura della coscienza stessa, che, sebbene affievolita, può ancora dire la sua: il fine di queste deformazioni é di rendere accettabili alla coscienza i contenuti rimossi. In ciò consiste il lavoro onirico . Il sogno ha un contenuto manifesto , quale appare al sognatore che racconta il proprio sogno: esso può risultare incoerente o anche prendere la forma di una storia dotata di una certa coerenza, ma il racconto dei propri sogni fatto dai sognatori é sempre un'elaborazione secondaria, ovvero un rimaneggiamento che porta a renderli, in linea di massima, comprensibili. Il vero significato del sogno non é quindi in questo livello, ma sta nel contenuto latente che é stato trasformato dal lavoro del sogno, dando luogo al contenuto manifesto. Il contenuto latente va allora ricostruito ripercorrendo all'indietro il lavoro svolto dal sogno: e proprio in questo consiste l' interpretazione dei sogni, che risale dal sogno come risultato finito agli elementi per i quali é stato composto secondo regole e meccanismi specifici. Il sogno infatti non é un fenomeno arbitrario e casuale, che esula totalmente dalla logica, bensì é il risultato di un lavoro dell'inconscio, che lavora secondo una propria logica, diversa da quella della vita conscia che noi conosciamo. In primo luogo, esso dà una veste visiva anche ad elementi che non sono tali da averla, come desideri o pensieri; inoltre, le componenti del sogno sono formazioni sostitutive, ossia simboli , rappresentazioni indirette e figurate di conflitti o desideri inconsci: si tratta allora di individuare che cosa simboleggi ciascuna componente del sogno. Ma questo é possibile solamente tenendo in considerazione le regole 'sintattiche' che presiedono al collegamento di questi disparati elementi: queste regole sono essenzialmente la condensazione e lo spostamento; la condensazione é la tendenza ad imprimere tramite un solo elemento più elementi connessi tra loro, ad esempio rappresentando due individui mediante un unico tratto comune o tramite un'assonanza tra i loro nomi e così via; questo vuol dire che, in una certa misura, il contenuto manifesto del sogno contiene sempre abbreviazioni rispetto a quello latente. Lo spostamento consiste nel trasferimento di interesse da una rappresentazione ad un'altra, trasferimento che permette, grazie ad associazioni, di passare dai contenuti rimossi ad altri che appaiono più neutri sul piano emotivo. Tenendo presenti queste regole, l'interpretazione può arrivare alla decifrazione del sogno, il quale al termine dell'analisi non sembrerà più un semplice racconto fatto per immagini, ma un insieme organizzato e ragionato di pensieri, tramite il quale si esprimono i desideri risalenti al passato, per lo più all'infanzia. A parere di Freud, la censura che impedisce l'emergere alla coscienza di contenuti rimossi opera non solo nel sogno, ma anche in altri comportamenti della vita quotidiana, come nelle amnesie temporanee, per esempio di certe parole, o nei lapsus , in cui una parola viene detta anzichè un'altra, o in determinati gesti automatici o involontari, o, ancora, nei motti di spirito. Per lo più questi sono atti mancati , cioè azioni in cui il risultato apertamente perseguito e solitamente raggiungibile non viene raggiunto, ma é sostituito con un altro atto. Solitamente questi comportamenti sono attribuiti al caso o alla distrazione, cioè ad una riduzione della soglia della coscienza; in realtà per Freud essi sono comprensibili solo ammettendo l'esistenza dell'inconscio, già a suo tempo individuato da Leibniz, che lavora esprimendo contenuti riconducibili a qualcosa di rimosso, ma sottoponendoli al tempo stesso a deformazioni. Freud scrive alcune opere su questi argomenti, come Psicopatologia della vita quotidiana (1901) e Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio (1905). Da essi si può evincere che anche le attività coscienti dell'individuo normale possono essere perturbate dal riaffiorare di contenuti rimossi, che si estrinsecano in questi comportamenti. Ma la presenza di elementi patologici nella vita normale e di ogni giorno trova ulteriore conferma nella scoperta dell'esistenza di una sessualità infantile.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:36
LE PULSIONI E LA LIBIDO

Freud, con l'interpretazione dei sogni applicata ai suoi pazienti, é giunto a scorgere in essi la presenza di desideri sessuali risalenti all'infanzia. Tramite l'analisi dei propri sogni, ricostruendo il proprio passato rimosso e le resistenze nei confronti di esso, egli é anche arrivato a scoprire che già nell'infanzia vi sono desideri che hanno per oggetto i propri genitori; una rappresentazione mitica di questo é data dalle vicende di Edipo, il protagonista di alcune tragedie di Sofocle, che senza accorgersene sposa sua madre e uccide il proprio padre. Questo sta a simboleggiare l'evento inconscio, l'amore per il genitore di sesso opposto e la rivalità nei confronti di quello dello stesso sesso, che ad un certo punto subentra a strutturare la sessualità infantile . Freud dedicherà all'indagine di questa tematica, con particolare riferimento al bambino di sesso maschile, i Tre saggi sulla teoria sessuale , del 1905. Era concezione diffusa che la sessualità fosse connessa solo all'attività e al piacere, dipendenti dal funzionamento dell'apparato genitale, e, dunque, che essa fosse sostanzialmente una prerogativa della vita degli adulti; Freud invece non limita la sessualità al solo uso dell'apparato genitale, ma include in essa tutte le eccitazioni e le attività che provocano un piacere non riconducibile al semplice appagamento di bisogni elementari, come la fame o la sete. Alla base di questa concezione della sessualità stanno i concetti di libido e di pulsione; la libido é un'energia di natura sessuale, che cerca soddisfacimento ed é suscettibile di aumenti e di diminuzioni; essa sta alla base delle trasformazioni delle pulsioni , che non sono istinti ereditari, ma processi psichici in movimento, che hanno la loro fonte nell'eccitazione che si attua in qualche organo del corpo. Questa eccitazione causa uno astato di tensione e, dunque, una specie di impulso che fa tendere ad una meta, che consiste nell'eliminazione di tale stato di tensione; la meta, dal canto suo, può essere raggiunta o nell'oggetto verso il quale tende la pulsione stessa o in virtù di esso, ma questo oggetto non é fisso e identico per tutti, ma cambia a seconda della specificità delle storie individuali e delle fonti da cui può essere dipendente. La libido e le pulsioni ad essa connesse possono infatti spostarsi di volta in volta in zone privilegiate del corpo, dette zone erogene , a ciascuna delle quali corrispondono fantasie particolari, sostanzialmente inconsce; la sessualità infantile si muove passando attraverso fasi collegate a zone erogene diverse. Di fasi Freud ne ravvisa tre e le chiama, rispettivamente, orale, anale e fallica. La fase orale é finalizzata al piacere autoerotico, cioè ad un appagamento raggiunto solamente tramite il proprio corpo, senza bisogno di oggetti estranei: esso si esprime nella sunzione del dito, che vuole essere una sostituzione del seno della madre. La seconda fase affiora con lo sviluppo della muscolatura anale ed é connessa agli incitamenti materni ad eseguire movimenti di espulsioni e trattenimento delle feci, che assumono quindi un carattere ambivalente, buono e cattivo allo stesso tempo. Solo nella terza fase, quella detta 'fallica', le pulsioni parziali sono unificate sotto il primato dell'apparato genitale e si orientano verso un oggetto esterno, il più vicino, ossia la madre; ne consegue un odio per il padre, che incarna il divieto all'incesto. Si crea così, all'incirca al terzo anno di vita, il complesso di Edipo , in cui l'inferiorità nei confronti del padre e il timore di castrazione, modello di ogni privazione, provocano un'angoscia che, in un secondo tempo, viene risolta abbandonando la rivalità con il padre, che viene visto come aggressore, ed assimilandosi e identificandosi con lui: così scompare il complesso di Edipo e comincia a predominare l' interesse narcisistico per se stessi e il bambino, interiorizzata l'autorità paterna, risulta particolarmente disponibile ad essere educato alle norme e ai valori della condotta socialmente riconosciuta; quando non avviene un'evoluzione tramite queste fasi, ma si ha una fissazione o una regressione a fasi antecedenti rispetto al primato della genitalità, si producono, in età adulta, perversioni e nevrosi, cioè manifestazioni patologiche di ciò che invece nel bambino costituisce lo sviluppo normale.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:37
LA METAPSICOLOGIA

La psicoanalisi, nata come terapia delle malattie nervose, aveva con Freud ampliato i suoi confini, arrivando a lambire interessi che prima ignorava: essa poteva ora presentarsi come una disciplina, in grado di accedere a nuove conoscenze pertinenti alle leggi che presiedono al funzionamento della psiche in generale, non solo quando si trova in condizioni patologiche; per definire la dimensione più propriamente teorica di questa nuova disciplina, Freud inventò il termine metapsicologia . Intanto, già intorno al 1906, si stava formando intorno a lui una vera e propria scuola; nel 1908 in un congresso di Salisburgo veniva fondata la Società psicoanalitica, che aveva il proprio giornale ufficiale, col titolo ' Jahrbuch für Psychoanalyse '. Nel 1909 Freud effettuava un viaggio negli Stati Uniti, dove cominciavano ad attecchire le sue scoperte. Tuttavia u pò di tempo dopo si verificarono le prime secessioni nella Società psicoanalitica: nel 1911 da parte di A. Adler, nel 1913 di C. Gustav Jung, che Freud avrebbe voluto come suo successore, e poi di molti altri. Dal 1911 Freud sofferma la sua attenzione sulle indagini di metapsicologia, di cui distingue tre aspetti: dinamico, topico ed economico. Dinamica é la considerazione dei fenomeni psichici, che risultano dai conflitti e dalla composizione di forze di origine pulsionale; topica (dal greco topos = luogo) é la considerazione dell'apparato psichico come un insieme di sistemi dotati di funzioni differenti, connesse fra loro; infine, economica é la considerazione che si fonda sull'ipotesi che i processi psichici consistano nella circolazione e distribuzione dell'energia pulsionale, suscettibile di quantificazione, cioè di equivalenze, aumenti o diminuzioni. Alla base dei fenomeni psichici vi é un principio economico, che Freud definisce principio del piacere che ha la funzione di evitare il dispiacere e il dolore, legati all'aumento della quantità di eccitazione e di provocare, invece, il piacere, connesso alla riduzione stessa dell'eccitazione. A questo scopo provvede il principio del piacere, scaricando la tensione e, quindi, ripristinando uno stato di equilibrio, mediante l'appagamento del desiderio, ma ciò avviene per via allucinatoria, grazie a soddisfazioni sostitutive rispetto a quelle reali. Questa situazione non può che generare disillusione, in modo che viene a costituirsi e ad operare, stando a Freud, un secondo principio, che tenta di assumere una funzione regolativa rispetto al principio del piacere: si tratta del principio di realtà , che non tenta più il soddisfacimento tramite scorciatoie e forme sostitutive, ma a seconda delle condizioni date dalla realtà, anche se questa si può presentare come sgradita. Il principio del piacere tende ad ottenere tutto immediatamente tramite una scarica motoria, mentre il principio di realtà può differire quella scarica in vista di un'eventuale meta, più sicura e meno illusoria; instaurandosi, quest'ultimo provoca una serie di adattamenti dell'apparato psichico, conducendo allo sviluppo e al potenziamento di funzioni coscienti come l'attenzione, la memoria, il giudizio e il pensiero. Questo non vuol dire che il principio del piacere scompaia del tutto; esso prosegue nell'operare e nell'estrinsecarsi, specialmente nelle circostanze in cui diminuisce la dipendenza verso la realtà, come appunto nei sogni, nelle fantasie e, in una certa misura, nelle produzioni artistiche. Questo dualismo di princìpi, costruito in analogia alla fisica, come distribuzione e circolazione energetica, viene però in un secondo tempo modificato da Freud; nel 1920, infatti, egli pubblica Al di là del principio del piacere , dove accanto alle pulsioni sessuali, riconosce l'esistenza di una pulsione antagonistica, la pulsione di morte , cioè una tendenza distruttiva inerente alla vita stessa. A questa conclusione Freud arriva tramite l'osservazione clinica dei comportamenti caratterizzati dalla coazione a ripetere , in cui il soggetto ripete ossessivamente operazioni spiacevoli e dolorose, che riflettono, in modo più o meno evidente, elementi di conflitti passati. A parere di Freud, questi comportamenti mettono in forse il primato del principio del piacere e rendono necessario introdurre l'ipotesi dell'esistenza di una tendenza originaria alla scarica totale delle pulsioni, cioè di un principio di morte. Quando le pulsioni di morte sono rivolte verso l'interno, esse tendono all'autodistruzione, ma poi possono essere dirette anche verso l'esterno, assumendo così la forma di pulsioni di aggressione e di distruzione. Nella realtà psichica le pulsioni si presentano sempre come ambivalenti, caratterizzate cioè dalla compresenza di questi due princìpi di vita e di morte: anche la sessualità presenterebbe dunque questa ambivalenza sotto forma di amore e di aggressività. Così Freud tornava ad introdurre alla base della vita psichica un dualismo di princìpi, ma distinti qualitativamente, non più quantitativamente come nel caso del principio di piacere contrapposto a quello di realtà. Freud chiamava tali principi con i nomi greci di Eros ( eros = amore ) e Thanatos ( qanatos = morte ). Per quel che concerne la topica , cioè la teoria dei luoghi dell'apparato psichico, ma senza riferimento alcuno ad una loro eventuale localizzazione anatomica, Freud elabora successivamente due schemi: in un primo tempo, egli distingue tre sistemi, ciascuno dei quali dotato di una pèropria funzione e separato dagli altri da censure che ostacolano e controllano il passaggio dall'uno all'altro. Essi sono: inconscio, preconscio (in cui le pulsioni vengono organizzate ed espresse sotto forma di rappresentazioni e desideri: è questo l'ambito dei sogni) e conscio. A partire dal 1920, però, Freud cambia questo schema con un altro, la cosiddetta 'seconda topica' , probabilmente spinto dalla necessità di tener presente i vari processi di identificazione tramite i quali si viene costituendo la persona. La seconda topica é esposta organicamente da Freud nell'opera L'io e l' Es (1923) , in cui egli ravvisa tre istanze dell'apparato psichico, che egli chiama l' Es, l'Io e il Super-io. Il termine Es é il pronome neutro singolare tedesco e corrisponde al latino id : Freud lo mutua da G. Groddeck, autore dell'opera Il libro dell'Es (1923), per indicare il serbatoio di energia psichica, l'insieme delle espressioni dinamiche inconsce delle pulsioni, le quali in parte sono ereditarie e innate, in parte rimosse e acquisite. L'Es é governato esclusivamente dal principio del piacere, mentre l' Io dal principio della realtà: é l'ambito della personalità, che si costituisce tramite modificazioni successive dell'Es, prodotte dall'incontro con la realtà esterna. Tramite l'osservazione del mondo esterno e la memorizzazione, l' Io diventa capace di distinguere il carattere illusorio delle rappresentazioni generate dal principio del piacere e vi sostituisce il principio di realtà. L' Io però si trova a dover mediare fra le richieste dell' Es e quelle del Super-io , che é anche lui una formazione almeno in parte inconscia e svolge le mansioni di giudice e censore verso l'Io: la percezione inconscia delle sue critiche si esprime nell' Io come senso di colpa e di rimorso. Sotto questo profilo, il Super-io é erede del complesso di Edipo, si forma tramite l'interiorizzazione della figura paterna e, dunque, dei comandi e dei divieti che essa impersona e dà luogo ad un controllo interiorizzato delle pulsioni; così, il Super-io viene a rivestire la mansione di coscienza morale e presiede all' autosservazione e alla formazione di ideali.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:49
LA SUBLIMAZIONE

Freud ha dunque scorto nella sessualità e nella famiglia il centro dei conflitti, a partire dai quali l'Io si costituisce; ma famiglia e sessualità sono anche il principio della formazione della civiltà e della sua storia: la civiltà non potrebbe infatti sussistere senza una costante sottrazione di energie sessuali e una loro canalizzazione verso mete che esulano dalla sessualità, a vantaggio della comunità. In questo consiste il processo da Freud chiamato di sublimazione , da cui sono dipendenti il lavoro in generale e, in particolare, la creazione artistica e l'attività intellettuale; questa deviazione di corso dell'energia sessuale implica al tempo stesso sacrifici pulsionali, che possono dar luogo a situazioni di frustrazione , in cui un individuo avverte come precluso a se stesso l'appagamento delle proprie pulsioni. Freud perviene a queste conclusioni a partire dal 1908, convinto anche di un'analogia di sviluppo tra l'individuo e la specie umana. Questo tema egli lo affrontava in Totem e tabù (1912-1913) , in cui provava a collegare i risultati dell'antropologia evoluzionistica, soprattutto quelli riscontrati da James Frazer, con la psicoanalisi. Freud muoveva dalla nozione antropologica di totem, l'oggetto sacro, per lo più un animale, che viene considerato simbolo della tribù e contraddistingue l'appartenenza alla tribù stessa e una specie di legame di parentela fra tutti i membri di essa. Nel gruppo totemico vigono due tabù , cioè due divieti: non uccidere l'animale totemico, nè mangiarne la carne, e non contrarre matrimonio se non all'esterno del gruppo, ossia non con membri dello stesso totem (questa é detta regola dell' esogamia ). Freud interpretava queste caratteristiche delle tribù primitive con mezzi psicoanalitici e, più precisamente, era del parere che l'animale totemico simbolizzasse la figura del padre e che i due tabù corrispondessero ai divieti derivati dal complesso di Edipo, il divieto di parricidio e il divieto di incesto. Questo avrebbe dato conferma del carattere universale del complesso di Edipo, che sarebbe stato tipico non solo di una determinata epoca o cultura, ma dell'umanità in toto . Per spiegare questo, Freud costruiva una storia congetturale, mutuando da Darwin l'ipotesi che gli uomini primitivi fossero vissuti in orde, in piccole comunità, in cui un solo maschio adulto, il padre, aveva avuto il possesso di tutte le donne e quindi aveva espulso dal gruppo i figli maschi, potenziali avversari. I fratelli cacciati si erano poi radunati e coalizzati contro il padre, che avrebbero ucciso e si sarebbero cibati delle sue carni: di qui sarebbe scaturita la pratica del pasto totemico, una festa che, da un lato, celebrava l'immedesimazione dei figli con il padre, interiorizzato come avviene con un cibo, e, dall'altro lato, stabiliva legami di solidarietà tra i parricidi, accomunati dalla colpa e dal rimorso per l'azione nefanda. Il carattere ripetitivo di questo pasto totemico, al quale corrispondono le pratiche ossessive dei nevrotici moderni, era diretto a controllare il senso di colpa. Da allora si era costituito un sistema di divieti, a partire dal divieto di incesto, per regolare i rapporti sociali: il complesso di Edipo sembrava così il fondamento della cultura. In seguito, gli antropologi avrebbero però argomentato contro il carattere universale del complesso di Edipo ed in particolare B. Malinowski, nel libro Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi , avrebbe mostrato che esso era assente in società melanesiane, caratterizzate da una discendenza matrilineare anzichè patrilineare e dal conferimento di autorità al fratello della madre, e non al padre. Terminata la prima guerra mondiale, Freud condivise con molti altri intellettuali il senso di una crisi che si abbatteva sulla civiltà occidentale (crisi peraltro prevista chiaramente da Nietzsche), ma rifiuta di darne un'analisi in termini di decadenza: tentò anzi di avvalersi degli strumenti e dell'armamentario di concetti psicoanalitici per individuare le radici psicologiche della tendenza delle masse a subordinarsi in modo passivo ad un capo. I legami di un individuo con la massa e di questa con il capo venivano interpretati da Freud, in Psicologia delle masse e identità dell' Io (1921), come la regressione ad un'attività psichica primitiva , analoga a quella che egli era propensa ad attribuire all'orda primordiale, di cui aveva parlato in Totem e tabù . Nella massa, infatti, tutti sono uguali, ma questo dipende dal fatto che in essa si dilegua la personalità singola cosciente e non esistono volontà singole, ma si cerca di tradurre in atto soltanto una volontà collettiva. Questo rappresenta una regressione rispetto rispetto all' Io autonomo, che é l'ultimo prodotto dello sviluppo psichico dell'individuo; nell'orda primordiale l'unico libero era il padre: agli inizi della storia, stando a Freud, era lui ' il superuomo che per Nietzsche dobbiamo aspettarci solo dal futuro '. Alla figura del padre corrisponde la figura del capo, a cui la massa avida di autorità si sottomette: esso é ' l'ideale della massa che domina l'Io, anzichè l'ideale dell'Io '. Il capo non ha bisogno di amare nessuno, mentre la massa é tenuta unita dall'illusione che il capo ami in uguale e giusta misura tutti i singoli; a questo si aggiungono poi gli effetti portati dalla suggestione, che si accompagna all'idea del possesso di un potere misterioso.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:51
RELIGIONE E CIVILTA'

A partire dagli anni Venti, in Freud crebbe sempre più la convinzione che la psicoanalisi fosse la chiave di volta per comprendere non solo alcuni aspetti della civiltà, ma l'origine e i caratteri della civiltà nel suo insieme. Nel 1935 egli asserirà di essersi accorto ' che gli eventi della storia, gli influssi reciproci tra natura umana, sviluppo civile e quei sedimenti preistorici di cui la religione é il massimo esponente, altro non sono che il riflesso dei conflitti dinamici fra Io, Es e Super-io, studiati dalla psicoanalisi nel singolo individuo: sono gli stessi processi ripresi su uno scenario più ampio '. Nel 1927, il pensatore austriaco aveva pubblicato L'avvenire di un'illusione , in cui affrontava la problematica della religione . Egli, analogamente a quanto diceva Nietzsche per la religione greca, scorgeva nella religione un insieme di rappresentazioni sorte dal bisogno di rendere sopportabile l'infelicità e la miseria umana. Essa svolgeva quindi una mansione positiva per alcuni individui, soprattutto l'aveva svolta in epoche passate, ma comportava costi assai elevati, in quanto finiva per essere dannosa per la mente e così Freud poteva dire che ' la religione é un narcotico con cui l'uomo controlla la sua angoscia, ma ottunde la sua mente '. Di fronte alle critiche della scienza, la religione non era in grado di reggere per Freud, ma era destinata a rivelarsi sempre più come un'illusione e, quindi, a soccombere. In questo modo Freud si riallacciava alla tradizione illuministica, per un verso, della critica alla religione in nome della ragione e, per un altro verso, a quanto avevano detto, non molto tempo prima di Freud, Marx ('la religione é l'oppio del popolo') e Nietzsche ('Dio é una risposta grossolana, un'indelicatezza contro noi pensatori'). Al tempo stesso Freud precisava che la scienza moderna, proprio perchè consapevole dei propri limiti, non era un'illusione come la religione e che sarebbe stato pernicioso pretendere di ottenere per vie alternative ciò che essa non era in grado di fornire. Il messaggio che Freud ricavava da tali ragionamenti era che ' Se l'uomo distoglierà dall'aldilà le sue speranze e concentrerà sulla vita terrena tutte le forze rese così disponibili, riuscirà probabilmente a rendere la vita sopportabile per tutti e la civiltà non più oppressiva per alcuni '. La trattazione più organica e generale lasciataci da Freud sulle radici psichiche della cultura e della società é contenuta in una delle sue ultime opere, intitolata Il disagio della civiltà (1930); Freud aveva già da tempo riconosciuto che uno dei princìpi psichici basilari é la pulsione di morte, che, proiettata all'esterno, si configura come pulsione di aggressività, ma lasciata completamente libera di esprimersi e di espandersi, potrebbe avere effetti devastanti e distruttivi. Per evitare questo pericolo, che comprometterebbe radicalmente la sopravvivenza dell'uomo, occorre che alla libido individuale siano sottratte energie per metterle a disposizione della società, cioè volte ad istruire e a rinsaldare i legami tra gli uomini: ed é su queste basi che si regge la civiltà . Essa non é altro che l'insieme delle realizzazioni e degli ordinamenti che distinguono la vita umana da quella dei suoi antenati animali; il fine di essa é sostanzialmente, come già diceva Hobbes, la salvaguardia degli uomini e della loro sopravvivenza, nelle loro relazioni con la natura e con i loro simili. A questo provvedono le tecniche, le norme igieniche e di convivenza, gli ordinamenti sociali e politici. Alla base di questa transizione dalla natura alla cultura vi é la sublimazione, cioè lo spostamento di energie libidiche dalle mete sessuali ad altri fini maggiormente apprezzati sul piano sociale, come l'arte, la cultura, l'illusione religiosa o l'amore del prossimo. Ma questo non implica una vittoria definitiva dell'eros e, di conseguenza, una scomparsa delle componenti aggressive nei rapporti fra gli uomini: la civiltà per Freud é e sempre sarà un ' campo di battaglia di forze contrapposte ', Eros e Thanatos. Il primato del principio di realtà non elimina il principio del piacere, che sussiste e continua ad essere operante nell'apparato psichico e che si scontra con la realtà, la quale non appare costituita in modo da poter rendere felice l'uomo, cioè libero dal dolore e in grado di perseguire liberamente il piacere. Il fatto che una pulsione non possa essere soddisfatta produce frustrazione, la quale ha la sua prima genesi a partire dai divieti imposti da ordinamenti esterni all'individuo (divieto di incesto, di cannibalismo, di aggressività, ecc.). Questi divieti però sono progressivamente interiorizzati e fatti propri dal Super-io , che svolge dunque una mansione essenziale per l'esistenza della civiltà. Questo significa che la base della morale é fondamentalmente istintiva e consiste, per lo più, nell'interiorizzazione dell'energia libidica per reprimere le pulsioni stesse. Ad alleviare il senso di frustrazione possono provvedere i processi di sublimazione, che, in quanto tali, non sono costretti da forze esterne a spostare le energie libidiche verso mete non sessuali, ma questo non elimina il fatto che alla base della civiltà ci siano una rinuncia e un sacrificio non solo di pulsioni sessuali, ma anche di aggressività. La repressione di tali pulsioni, indispensabile per la sopravvivenza, produce un grande dispendio di energia, in quanto per frenare le pulsioni aggressive l'individuo le getta dentro e le rivolge contro se stesso, dando luogo alla coscienza e al senso di colpa, che può restare inconscio, ma anche venire alla luce ed essere sentito come un disagio ineliminabile.
sonardj
00martedì 20 novembre 2007 03:52
L'EDIPO RE di SOFOCLE
L'EDIPO RE di SOFOCLE

1-116 Prologo
La tragedia inizia con l'apparizione di Edipo sorretto da una fanciulla, Antigone, sua figlia-sorella. In prossimità di Atene chiedono informazioni su dove si trovino ad un passante: questi li invita ad allontanarsi: il luogo è consacrato alle dee Eumenidi, dee terribili, dal cui nome Edipo è colpito. Apprende dallo stesso di essere a Colono, il cui re è l'ateniese Teseo. Già da qui si nota la stanchezza per la vita di Edipo, la sua voglia di porle fine. Il prologo anticipa il motivo conduttore della tragedia: il contrasto fra il crudo passato del protagonista e la quiete estrema, verso la quale tende e dalla quale finirà per essere assorbito.

117-253 Parodo
Qui troviamo un canto del coro: al sopraggiungere degli abitanti Edipo si era nascosto, quando si fa avanti, il coro prova un sentimento misto di pietà e di orrore. Dopo averlo invitato ad uscire dal sacro recinto, il coro vuol conoscere l'identità dello straniero, quando la scoprono gli intimano di allontanarsi, ma servirà l'intervento di Antigone per farlo restare.

254-667 Primo Episodio
Mentre tutti aspettano l'arrivo del re Teseo, la figlia di Edipo, Ismene, arriva da Tebe per avvertirlo dei disordini generati dai due figli maschi, entrambi ambivano al trono: il minore l'ha usurpato, ed il maggiore sta muovendo un esercito contro di lui. Ora entrambe le parti cercano Edipo, perché un oracolo ha predetto che la vittoria sarà destinata a chi lo avrà con sé, vivo o morto. Non è loro intenzione, però, riportarlo ai confini della patria, bensì lasciarlo ai margini di essa. Quindi Edipo, dopo aver maledetto i figli, viene aiutato e curato da due fanciulle. Il coro allora gli consiglia di offrire una libagione alle dee a cui è sacro il territorio. Sarà Ismene ad occuparsene. Interrogato dal coro sul suo passato, egli risponde che le sue presunte colpe si sono verificate per via della sorte. Al sopraggiunto Teseo egli chiede di poter essere seppellito in quel luogo stesso.

668-719 Primo Statismo
Qui il coro inneggia a Colono e a tutta la Grecia, ed Edipo ricorda la sua giovinezza.

720-1043 Secondo Episodio
Si presenta il figlio Creonte, che con una ipocrita proposta cerca di soccorrere il padre interessatamente, egli pensa che è in grado di costringerlo, sia lui che le sue figlie, a venire con sé, nonostante il rifiuto del padre. Gli strappa Antigone dalle braccia, e, nonostante le proteste del coro, usa la violenza anche sul padre. Accorso Teseo, lancia un esercito contro i rapitori. Mentre Edipo e Creonte discutono sull'uccisione del padre da parte del primo, Teseo trascina Creonte per liberare gli altri prigionieri. Prima della pace estrema egli deve ripercorrere con la memoria e le parole il suo cruento passato. Si sente immune da colpa, perchè tutto è dipeso dal volere degli dei.

1044-1095 Secondo Statismo
Il coro immagina di assistere al propizio scontro tra Teseo ed i tebani, ringraziando gli dei per questo.

1096-1210 Terzo Episodio
Quando Teseo riporta le figlie al padre, già l'altro figlio ottiene di parlare con lui.

1211-1248 Terzo Statismo
Il coro racconta che Edipo non è più perseguitato dagli dei e dal destino, è solo un vecchio. Si accorge quindi che lo stesso morire sarebbe un peccato: qui cita una frase di Sileno rivolto al Re Mida: "Meglio di ogni cosa è non essere nati, e dopo di ciò morire subito dopo la nascita".

1249-1555 Quarto Episodio
Arriva ora Polinice, primo figlio di Edipo, che, diversamente dal fratello, chiede gentilmente aiuto al padre: qui si scatena l'ira di Edipo, il quale fa notare al figlio come sia ancora vivo per merito di Antigone e le sue sorelle, non di lui e del fratello: su questi ultimi cadrà la sua maledizione! Polinice rimane allora deluso, e non tenta alcuna replica. Mentre il coro lamenta la vicenda, si ode un tuono: segno che per Edipo si sono aperti i passaggi per l'aldilà, egli ordina di far accorrere Teseo, ed il coro si spaventa per quello che sta avvenendo. Quando Teseo arriva, Edipo si accinge a portarlo nel luogo della sua morte, e invita anche le figlie a venire. Dice a Teseo di cercare di mantenere tranquilla la sua città.

1556-1578 Quarto Statismo
Non resta che pregare gli dei dell'oltretomba, perchè concedano il lieve trapasso al morituro. La sua morte non è comune: è come una discesa dall'Ade.

1579-1779 Esodo
Teseo racconta al coro la scomparsa di Edipo: "Il vecchio si inoltrò nel bosco, e giunto alla sacra voragine compì i riti di purificazione. Poi prese commiato dalle figlie, e le fece allontanare, solo io restai ad apprendere le sue ultime parole: e poco dopo, voltandosi, essi mi videro come percosso da una vista arcana e tremenda - nessuno sa come sia morto Edipo, solo si sa che gli sono state risparmiati pianto e dolore". Teseo conferma il desiderio di Edipo che nessuno si avvicini al suo sepolcro, e acconsente a quello di Antigone di poter andare a Tebe per tentare d'impedire lo scontro tra i due fratelli.

L’INTERPRETAZIONE DI FREUD E QUELLE SUCCESSIVE


La più famosa -seppur contestatissima- interpretazione dell'Edipo Re sofocleo si deve a Freud, che dalla tragedia fece derivare il nome del complesso maschile infantile per cui il bambino viene portato ad odiare il padre e ad attaccarsi morbosamente alla madre. Ciascuno di noi, in sostanza, vorrebbe da bambino sbarazzarsi del padre per poter possedere la madre, dalla quale è sessualmente attratto. Sul versante femminile, si ha il complesso di Elettra, ovvero la bambina vorrebbe sbarazzarsi della madre per possedere sessualmente il padre. Certo l'Edipo re assurse per Freud e per la psicoanalisi a paradigma del fenomeno psicologico, ma non solo, perché Freud stesso spiegò l'efficacia della tragedia in questo modo:


Il suo (di Edipo) destino ci commuove soltanto perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il nostro primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno convinzione. (...) Davanti alla persona in cui si è adempiuto quel desiderio primordiale dell'infanzia indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo. Portando alla luce della sua analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prendere conoscenza del nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre presenti.

Sigmund Freud, da Interpretazione dei sogni, 1900



In parecchi testi, Freud riprende questa tesi e cita il mito di Edipo (la lezione XXI del ciclo di lezioni di Introduzione alla psicoanalisi, la lettera a Wilhelm Fliess del 15 ottobre 1897...). Scrive ancora Freud:

Se Edipo Re è in grado di scuotere l'uomo moderno come ha scosso i greci suoi contemporanei, ciò non può che significare che l'effetto della tragedia greca non è basato sul contrasto tra destino e volontà umana, ma sulla particolarità della materia sulla quale questo contrasto viene mostrato. Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere nell'Edipo la forza coercitiva del destino, mentre soggetti come quello della Bisavola o di altre simili tragedie del destino ci fanno un'impressione di arbitrarietà, e non ci toccano. Ed effettivamente nella storia di Re Edipo è contenuto un tale motivo. Il suo destino ci scuote soltanto perché avrebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo ha pronunciato ai nostri riguardi la stessa maledizione. Forse è stato destinato a noi tutti di provare il primo impulso sessuale per nostra madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza per nostro padre; i nostri sogni ce ne convincono. Re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e che ha sposato sua madre Giocasta, è soltanto l'adempimento di un desiderio della nostra infanzia. Ma a noi, più felici di lui, è stato possibile, a meno che non siamo diventati psiconevrotici, di staccare i nostri impulsi sessuali dalla nostra madre, e dimenticare la nostra invidia per nostro padre. Davanti a quel personaggio che è stato costretto a realizzare quel primordiale desiderio infantile, proviamo un orrore profondo, nutrito da tutta la forza della rimozione che da allora in poi hanno subito i nostri desideri. Il poeta, portando alla luce la colpa di Edipo, ci costringe a conoscere il nostro proprio intimo, dove, anche se repressi, questi impulsi pur tuttavia esistono. Il canto, con il quale il coro ci lascia:

..."Vedete, questo è Edipo, i cittadini tutti decantavano e invidiavano la sua felicità; ha risolto l'alto enigma ed era il primo in potenza, guardate in quali orribili flutti di sventura è precipitato!"

è un'ammonizione che colpisce noi stessi e il nostro orgoglio, noi che a parer nostro siamo diventati cosi saggi e così potenti, dall'epoca dell'infanzia in poi. Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei desideri che offendono la morale, di quei desideri che ci sono stati imposti dalla natura; quando ci vengono svelati, probabilmente noi tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene dell'infanzia

A questo proposito bisogna ricordare quanto fosse importante per Freud e quanto lo sarà per la psicoanalisi (in particolar modo il filone junghiano) ricorrere al mito: un po' come nella filosofia platonica, il mito diviene paradigma, exemplum, una via efficace per spiegare, più precisamente per far affiorare dall'inconscio ciò che abbiamo rimosso. L'importanza dell'arte per Freud sta anche in questo: egli stesso sostiene che "noi e lui [Freud e il poeta] attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso soggetto, ciascuno di noi con metodo diverso".
Riprendendo il discorso della critica freudiana, oltre il passo sovracitato egli inserisce una serie di versi, dalla tragedia stessi, sui quali fa poggiare trionfante la propria interpretazione:




dall Edipo Re di Sofocle, vv.977-983
GIOCASTA:
Ma perché sgomentarsi, se in balìa
della fortuna sono i casi umani,
che l'uomo non potrà mai preconoscere?
E' più saggio affidarsi alla ventura,
come si può; né tu temere le nozze
con tua madre. Non giacquero molti in sogno
con la loro madre? E vivono sgomenti
forse per i loro sogni? No, se vogliono
condurre la vita senza troppi affanni.




Freud nega l'interpretazione della tragedia secondo la quale la morale sta nell'accusa degli dei e del Fato, anzi nega che sia questa a causare l'effetto tragico. Piuttosto il successo della tragedia sta nel riconoscimento del lettore nell'Edipo, perché la tragedia stessa indica esplicitamente (nei versi sopra citati) che la leggenda è tratta da un primordiale materiale onirico.
La critica successiva ha negato l'interpretazione freudiana, un po' troppo semplicistica, non sottile forse perché priva del materiale filologico e storico di cui necessitava. L'intuizione freudiana sta nell'aver percepito l'importanza della tragedia quale analisi dell'animo, del conflitto interiore di Edipo che cammina verso la verità, pronta ad accecarlo: quando l'ubriaco alla festa gli confida la sua vera identità, Edipo sente qualcosa insinuarsi nel profondo, pungergli qualcosa che aveva rimosso (vv.779-786). Inoltre nella affannata ricerca di Edipo, Freud vede un paragone col processo di analisi della psiche da lui stesso affrontato: Edipo solleva il velo che gli nasconde la verità, la sua identità parricida e incestuosa, come lo psicoanalista attraverso il dialogo "scopre" al di là della dimensione conscia, L'Edipo Re è la parabola di un uomo riconosciuto come uguale agli dei dal punto di vista degli uomini, ma pari a nulla, cieco, per gli dei (cfr. Vernant, Ambiguità e rovesciamento. Sulla struttura enigmatica dell'Edipo Re).
Chi nega il senso di colpa di Edipo è Jean Pierre Vernant stesso ( Edipo sans complexe è appunto il titolo di un suo saggio del 1979): dimostra quanto e come sia errata la prospettiva freudiana, poiché si propone in forma assiomatica e non scaturisce quale esito di una corretta e integrale analisi di tutti gli aspetti del testo. Come può un'opera letteraria che appartiene alla civiltà ateniese del V sec. a C. e che traspone essa stessa in maniera molto libera una leggenda tebana molto più antica, anteriore al regime della polis, confermare le osservazioni di un medico degli inizi del XX secolo sulla clientela di malati che frequentano il suo studio?: sono queste le parole di critica più diretta all'interpretazione freudiana, che - secondo Vernant - non è credibile anche perché non poggia su un lavoro minuzioso di analisi. Questo avviene perché Freud trascura la storicità del pubblico che fruisce dell'opera; egli procede nel senso opposto della psicologia storica, che prima ancora di analizzare contenuto, tema, lingua, si occupa del contesto in cui avviene la performance. Una volta analizzato il contesto storico dell'Atene del V sec. a C., rendendosi conto di come si trattasse di un ambiente politicamente e socialmente diverso, per esempio, dalla Siracusa del XX sec. d.C., dove in questi giorni la tragedia è ripresa, è possibile rendersi conto dell'intima reazione del pubblico. Vernant ammette come già la Poetica di Aristotele, seppur solo un secolo dopo, non sia in grado di interpretare la tragedia, che appartiene ormai ad un'epoca trascorsa, un’epoca in cui il sorgere del principio di responsabilità nel campo del diritto aveva posto il problema della misura in cui l'uomo fosse responsabile delle proprie azioni.
Una posizione intermedia è quella di Paduano, che nell'introduzione a Sofocle, Tragedie e Frammenti, in un microsaggio intitolato Sulla diversità, del 1982, sostiene che l'Edipo Re sia una struttura teatrale che non trascriva direttamente nè sia estranea al complesso di Edipo: anzi lo rappresenta attraverso un rovesciamento e uno spostamento. Se lo spostamento è quello dalla dialettica psichica tra conscio e coscienza alla dialettica sociale uomo-dio, il rovesciamento è quello che nella sovracitata dialettica psichica scambia tra di loro desiderio represso e repressione. Infatti Edipo desidera la normalità, ma la realtà si è già organizzata in forme opposte alla volontà del soggetto: l'evento tragico avviene prima dell'azione tragica. Da questo Paduano fa derivare l'uso, in Sofocle, di un'ironia tragica che si discosta dalla sua forma tradizionale. Infatti, se di solito l'ironia tragica, quale convergenza di due significati sullo stesso significante, viene usata per "prevedere" ciò che accadrà, qui non ha la stessa funzione: un’ironia tragica che troviamo anche in Euripide, quando (nell’"Elettra") i due fratelli, prossimi al matricidio, appellano la madre "la generatrice" (thn tekousan). L'evento tragico è già stato, appunto, dunque l'ironia ha solo la funzione di confrontare l'immagine del DESIDERIO con quella della REALTA'. Dunque è come se due dimensioni si accostassero parallele: e così se nell'universo simulato Edipo possiede l'autorità, nell'universo reale le stesse valenze autoritarie trasformano il soggetto in oggetto. In entrambi i casi è fondamentale il rapporto con Laio: nella dimensione simulata esiste una filialità solo metaforica, quando per esempio Edipo dice del re "come se fosse mio padre", e si identifica in lui con una serie di punti di contatto (il potere, i possibili figli, la moglie); finché nella dimensione reale la filialità diviene biologica.
Paduano rivaluta poi, in un certo senso, il tema della conoscenza: non è infatti importante come potrebbe sembrare la differenza tra sapere umano e oracolo divino, vista l'ambiguità di quest'ultimo. Anzi, la conoscenza, come il potere, rientra nei desideri di Edipo: l'intellettualismo di Edipo fa parte dell'insieme compatto dei suoi desideri autoritari e normativi, citando da Paduano stesso. Ma questa conoscenza, che pur uscirà sconfitta dalla rivelazione, è una forma di eroica tlhmosunh, di sopportazione: "Ahimè, sto per dire la cosa tremenda", gli dice il pastore. Risponde Edipo: "E io per sentirla. Ma sentirla bisogna".
Secondo Paduano il primo di molti Edipi non più senza complesso è quello di Seneca, dove il parricidio e l'incesto vengono assunti come ossessione non risolta. Il complesso esclude tuttavia l'aspetto libidinale e investe unicamente quello autopunitivo dell'angoscia. L'Edipo di Seneca è il primo Edipo freudiano, già vicinissimo alla verità.
Un'analisi interessante è quella di Fromm ne "Il linguaggio dimenticato", dove il mito viene inteso come ribellione del figlio contro l'autorità del padre nella famiglia patriarcale (e la teoria trova supporto nelle altre due tragedie della trilogia, Edipo a Colono e Antigone, nelle quali ricorre il rapporto padre-figlio).
L'ultima interpretazione è quella dello psicologo Franco Maiullari, che nel suo ultimo saggio, L’interpretazione anamorfica dell’Edipo Re. Una nuova lettura della tragedia sofoclea, propone appunto una nuova lettura in chiave psicoanalitica secondo cui l'indagine di Edipo non sia rivolta alla ricerca di sapere ma alla ricerca di potere, e spinge l'accecamento di Edipo come mezzo per andare oltre i propri limiti, divenendo così potente come Tiresia. Viene inoltre evidenziata la funzione ambigua di Giocasta, la cui preoccupazione è quella di mantenere l’omertà sui fatti del palazzo. In "Il linguaggio dimenticato" (trad. it. di G. Brianzoni, Bompiani, Milano, 1962, pp. 188-193), scrive Fromm:

II mito di Edipo offre un eccellente esempio dell'applicazione del metodo freudiano e allo stesso tempo un'ottima occasione per considerare il problema sotto una prospettiva diversa, secondo la quale non i desideri sessuali, ma uno degli aspetti fondamentali delle relazioni tra varie persone, cioè l'atteggiamento verso le autorità, è considerato il tema centrale del mito. Ed è allo stesso tempo una illustrazione delle distorsioni e dei cambiamenti che i ricordi di forme sociali e di idee più antiche subiscono nella formazione del testo evidente del mito. […]Il concetto del complesso di Edipo, che Freud ha così efficacemente espresso, divenne una delle pietre angolari del suo sistema psicologico. Egli credeva che esso fosse la chiave per comprendere la storia e l'evoluzione della religione e della morale e che costituisse il meccanismo fondamentale dello sviluppo del bambino. Sosteneva inoltre che il complesso di Edipo è la causa dello sviluppo psicopatologico e il " nocciolo della nevrosi ".

Freud si riferiva al mito di Edipo secondo la versione contenuta nell'Eco Re di Sofocle. La tragedia ci racconta che un oracolo aveva predetto a Laio, Re di Tebe, e a sua moglie Giocasta, che se essi avessero avuto un figlio, questi avrebbe ucciso il padre e sposato la propria madre. Quando nacque Edipo, Giocasta decise di sfuggire alla predizione dell'oracolo, uccidendo il neonato. Ella consegnò Edipo a un pastore, perché lo abbandonasse nei boschi con i piedi legati e lo lasciasse morire. Ma il pastore, mosso a pietà per il bambino, lo consegnò a un uomo che era a servizio del Re di Corinto, il quale a sua volta lo consegnò al padrone. Il Re adotta il bambino e il giovane principe cresce a Corinto senza sapere di non essere il vero figlio del Re di Corinto. Gli viene predetto dall'oracolo di Delfi che è suo destino uccidere il proprio padre e sposare la propria madre e decide quindi di evitare questa sorte non ritornando più dai suoi presunti genitori. Tornando a Delfi egli ha una violenta lite con un vecchio che viaggia su un carro, perde il controllo e uccide l'uomo e il suo servo senza sapere di aver ucciso suo padre, il Re di Tebe.

Le sue peregrinazioni lo conducono a Tebe. In questa città la Sfinge divora i giovinetti e le giovinette del luogo e non cesserà finché qualcuno non avrà trovato la soluzione dell'enigma che essa propone. L'enigma dice: " Che cos'è che dapprima cammina su quattro, poi su due e infine su tre? " La città di Tebe ha promesso che chiunque lo risolva e liberi la città dalla Sfinge sarà fatto Re e gli sarà data in sposa la vedova di Laio. Edipo tenta la sorte. Trova la soluzione all'enigma cioè l'uomo che da bambino cammina su quattro gambe, da adulto su due e da vecchio su tre (col bastone). La Sfinge si getta in mare urlando, Tebe è salvata dalla calamità, Edipo diviene Re e sposa Giocasta, sua madre.

Dopo che Edipo ha regnato felicemente per un certo tempo, la città viene decimata dalla peste che uccide molti cittadini. L'indovino Tiresia rivela che l'epidemia è la punizione del duplice delitto commesso da Edipo, parricidio e incesto. Edipo, dopo aver disperatamente tentato di ignorare la verità, si acceca quando è costretto a vederla e Giocasta si toglie la vita. La tragedia termina nel punto in cui Edipo ha pagato il fio di un delitto che ha commesso a sua insaputa, nonostante i suoi consapevoli sforzi per evitarlo.

È giustificata la conclusione di Freud secondo la quale questo mito conferma la sua teoria che inconsci impulsi incestuosi e il conseguente odio contro il padre-rivale sono riscontrabili in tutti i bambini di sesso maschile? Invero sembra di sì, per cui il complesso di Edipo a buon diritto porta questo nome. Tuttavia, se esaminiamo più da vicino questo mito, nascono questioni che fanno sorgere dei dubbi sull'esattezza di tale teoria. La domanda più logica è questa: se l'interpretazione freudiana fosse giusta, il mito avrebbe dovuto narrare che Edipo incontrò Giocasta senza sapere di essere suo figlio, si innamorò di lei e poi uccise suo padre, sempre inconsapevolmente. Ma nel mito non vi è indizio alcuno che Edipo sia attratto o si innamori di Giocasta. L'unica ragione che viene data del loro matrimonio è che esso comporta la successione al trono. Dovremmo forse credere che un mito, il cui tema è costituito da una relazione incestuosa fra madre e figlio, ometterebbe completamente l'elemento di attrazione fra i due? Questa obiezione diventa ancora più valida se si considera che la profezia del matrimonio con la madre è ricordata una sola volta da Nicola di Damasco, che secondo Cari Robert attinge a una fonte relativamente tarda.

Come possiamo concepire che Edipo, descritto come il coraggioso e saggio eroe che diviene il benefattore di Tebe, abbia commesso un delitto considerato orrendo agli occhi dei suoi contemporanei? A questa domanda si è talvolta risposto, facendo notare che per i greci il concetto stesso di tragedia stava nel fatto che il potente e forte venisse improvvisamente colpito da sciagura. Rimane da vedere se una tale risposta sia sufficiente o se ne esista un'altra più soddisfacente.

Questi problemi sorgono dall'analisi di Edipo Rè. Se consideriamo soltanto questa tragedia senza tenere conto delle altre due parti della trilogia, Edipo a Colono e Antigone, non è possibile dare una risposta definitiva. Ma siamo almeno in grado di formulare una ipotesi e cioè: che il mito può essere inteso come simbolo non dell'amore incestuoso fra madre e figlio, ma della ribellione del figlio contro l'autorità del padre nella famiglia patriarcale; che il matrimonio fra Edipo e Giocasta è soltanto un elemento secondario, soltanto uno dei simboli della vittoria del figlio che prende il posto di suo padre e con questo tutti i suoi privilegi.

La validità di questa ipotesi può essere verificata coll'esame del mito di Edipo nel suo complesso, specialmente nella versione di Sofocle contenuta nelle altre due parti della sua trilogia, Edipo a Colono e Antigone.


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