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La pietra come simbolo dello spirito umano

Ultimo Aggiornamento: 18/03/2008 04:12
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18/03/2008 04:12

La pietra come simbolo dello spirito umano



di B. P.



Essere massone significa aderire ad un complesso mondo simbolico, che trova nella pietra la sua giustificazione più antica: la pietra come modello esemplare dell'uomo. Perché? Come è possibile un simile accostamento? I sassi costituiscono sì, la massima coagulazione allo stato solido della materia, eppure simboleggiano in quasi tutte le culture mitiche i "punto" di ritorno alla spiritualità, la base alchemica dell'uomo.

Basta prendersi la briga di andare a sfogliare qualche libro di mitologia per rendersi conto del valore emblematico della pietra, dalla quale - si dice - nacquero anche degli dei (come il persiano Mitra ad esempio, che ispirò i culti misterici del tardo mondo antico).

Le pietre - narra il mito di Deucalione e Pirra (racconto greco del diluvio) non sono altro che le "ossa" della Grande Madre, la Terra. E ciascuna di esse è un uomo, almeno in potenza.

Nel tempi più antichi della Grecia il dio Hermes (Mercurio, per i Latini) era venerato come una "pietra miliare", nella quale si riteneva si nascondesse lo spirito del nume.

E' solo un esempio. L'importante è rendersi conto del senso di quelle che lo storico delle religioni, Mircea Eliade, definisce "ierofanie liriche", cioè manifestazioni dinamiche del Sacro in forma di pietra.

Ancora si potrebbe ricordare la famosa "Pietra Nera" dei Romani (lapis niger), o la kaabah degli Arabi. Per gli Ebrei, poi, la pietra era suscettibile d'essere un betilo, beith El, ovvero "Casa di Dio", dell'unico Dio della Tradizione giudaico-cristiana.

"Betilo" è ciascuno di noi, almeno virtualmente. Il massone non aspira idealmente che a trasformarsi ritualmente in tempio, proiezione su scala microcosmica del più universale tempio dell'umanità, solo formalmente ispirato al nome di Salomone.

E il tempio, nelle culture mitiche, è in realtà una "centrale energetica" ove il Divino si elabora e si rielabora alla ricerca di nuove manifestazioni formali.

Il tempio, come l'uomo che raffigura propriamente una cratofania, "rivelazione della forza", dell'unica energia cosmica che permea di sé ogni angolo dell'universo. Alla percezione cosciente di questa Forza è, in ultima analisi, finalizzata l'esistenza di un autentico massone: egli deve anelare all'autoimmedesimazione con la fonte della vita, che è Luce scaturita dalla pietra caotica, che precedette la nascita del mondo.

Un tempio tuttavia, non c'è: si costruisce. Esso, cioè, presuppone un "costruttore", appunto il Massone.

Questo termine riprende esattamente e prolunga il senso del "demiurgo" greco, parola che nella filosofia di Platone ha assunto il significato di architetto esemplare, di artefice divino del mondo delle forme.

Da dove viene il termine Massone? Esso è il risultato della contrazione del francese franc-macon (inglese: free-mason), letteralmente "libero muratore"

Massone, dunque, come "muratore", in cui il "libero" è ormai sottinteso, simbolicamente, dalla nascita: un ricercatore privo di pregiudizi e di buoni costumi.

Tuttavia, nel mondo medioevale, l'aggettivo aveva una differente valenza: "franco" alludeva al fatto di far parte d'una associazione artigiana - quella degli architetti, o costruttori -che godeva di speciali esenzioni, "franchi" perché appunto muniti di franchigia.

Quanto al termine massone, il modello più antico della parola è, però, latino: macio, macionis, espressione di epoca tardiva che equivale a "costruttore". Dall'ablativo macione discende esattamente il nostro massone, che non è che un altro modo per dire "libero muratore". Il cantiere operativo, o edilizio, si è ormai trasformato in officina simbolica, in atanòr, il mistico forno alchemico nel quale ha luogo il mistero della rigenerazione spirituale. La squadra e il compasso, strumenti essenziali dell'architetto, nell'iniziato del mondo moderno raffigurano il controllo del mondo materiale, basico (la squadra), e di quello spirituale (il compasso, che disegna il cerchio della totalità).

Maometto e la sacra pietra nera



E avvenuta una metamorfosi decisiva: il tempio materiale si è dileguato, al suo posto non v'è che una proiezione interiore. Nel massone esemplare la creazione si è introversa, l'intelligenza rivolta nelle pieghe intimistiche. Si tratta, a ben vedere, d'una necessità dei tempi e - d'altra parte - ogni esperienza autentica di morte e risurrezione simboliche non può che inverarsi all'interno di ciascuno per esteriorizzarsi solo successivamente.

E' la vibrazione spirituale che conta come sembra alludere il senso cifrato del mito di Anfione che, in Grecia, col semplice canto della lira (la trasmutazione vibratoria), eresse le mura possenti della città di Tebe. Padroneggiando ritualmente l'intero scibile, in conformità col disegno tracciato, l'architetto si pone in rapporto integrato col mito: deve, cioè, essere un iniziato dal momento che ha elevato a simbolo il complesso della sua opera. Simbolico è il suo linguaggio e, come tale, allude e rinvia sempre ad un segreto, che è di natura conoscitiva.

Le linee geometriche, i numeri del calcolo, non sono soltanto un fatto tecnico temperato da virtù armoniche, artistiche: il bagaglio teorico degli architetti comporta una visione fondata su modelli esemplari, paradigmi vitalizzati dal rito.

In Egitto, un grande architetto inventore di piramidi, Imhotep, ebbe la ventura di essere divinizzato -post mortem-; nella cultura ebraica, il Tempio di Salomone è stato elevato a simbolo perpetuo di costruzione (non solo materiale). Ogni società non ha trascurato di privilegiare il ruolo demiurgico dell'architetto, riconoscendone la centralità.

Non diversamente dall'Oriente, anche il mondo classico ha riconfermato la stretta equivalenza fra architettura e mito. Perciò i costruttori erano, di norma, iniziati e tradizionalmente raggruppati in comunità di mestiere: i thìasoi in Grecia, i collegia fabrorum a Roma.

Queste associazioni possedevano segreti professionali, praticavano rituali di nascita e morte (la passione della materia assimilata a quella dell'uomo), insegnavano agli adepti un corpus dottrinario che associava gli studi di cosmologia a quelli di metafisica, secondo schemi integrati.

Il nome di questi iniziati era per lo più, comune, collettivo. E' il caso di Dedalo, modello esemplare degli architetti occidentali.

A chiamarsi in tal modo non fu solo il celebre costruttore del Labirinto, padre di Icaro, ma tanti artisti attici e cretesi di epoca arcaica.

In Omero si incontra un Dedalo come autore d'una danza corale per Artemide ed è noto il carattere magico - iniziatico - della danza, qui unita alla qualità sacerdotale dell'architetto.

Dall'esame degli indizi linguistici si può inferire il valore simbolico, esoterico, del nome Dedalo: la radice indiana dal significa propriamente "fendersi" e il participio verbale dalita-s, sempre in sanscrito, vale, appunto, "spaccato".

L'ètimo rinvia dunque all'idea originaria della "pietratagliata" o del "taglia pietre". Lo stesso radicale si ritrova nel latino dolare "lavorare con l'ascia", "sgrossare"; il derivato dolo, dolon è un "bastone con corta punta di ferro", un "pugnale" che richiama, piuttosto, alla mente la spada o il maglietto del costruttore, comunque un tipico attrezzo dell'architettura che scalfisce la pietra grezza, informe. Ma torniamo al greco.

Il più celebre Dedalo è dal mito posto in rapporto con la Sicilia. Egli sarebbe approdato nel pressi dell'odierna Sciacca, nome che ha il significato etimologico di "spaccatura", "fenditura" (arabo saqah). La coincidenza è singolare e l'associazione Dedalo-Sciacca rivela pertinenze non effimere, motivazioni profonde per quanto indiziarie. Ma il mito, si sa, non è storia; da essa rifugge. E gli indizi sono essi stessi null'altro che simboli, vestigia naturae, da decifrare sul terreno proprio della conoscenza simbolica, l'unica esclusiva della dimensione esoterica, cui non si addice il dettaglio che precede e, semmai, giustifica.

Il nome di Dedalo ebbe, nell'antichità greca, tale prestigio che il derivato dàidalon (da Daidalos) assunse il significato peculiare di "capolavoro" (l'opus magnum, o "grande opera regale"). E così daidàllo vuol dire "lavorare d'ingegno", l'aggettivo daidàleos (o daidalos)

sta per "ingegnoso", "fatto con arte". Dedalo, a livello semantico, è dunque l'artista esemplare, epònimo degli architetti ellenici e modello di tutta l'architettura sacra dell'Occidente.

In quanto "sacerdote" l'architetto è sacrificatore, soggetto e al contempo oggetto dell'opera: il suo lavoro è sacrificio, il suo materiale è la pietra-uomo.

Questo accostamento simbolico, d'altronde, è universale e lo si ritrova anche nel cristianesimo. Gesù si rivolge a Simone pescatore: "Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa".

E nota la lettura che del passo evangelico è stata compiuta dalla tradizione cattolica, ma non v'è dubbio che l'affermazione del Cristo abbia anche risvolti e valenze simbolici di ordine muratorio, propriamente massonico: l'Uomo è una I pietra, e sopra questa pietra è possibile edificare, passo su passo, giorno dopo giorno, il Tempio ideale dell'umanità intera.



(tratto da "Hiram", n.12-dicembre 1987, pag. 372 - Ed- Società Erasmo)
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